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18 Dicembre 2021 11:00

La Vigilia di Natale, che vini scegliere per i piatti di pesce della tradizione

Nel rispetto della tradizione della Vigilia di Natale in tavola si preferisce portare il pesce: dall'antipasto al secondo ecco i vini più indicati per fare un ottimo abbinamento.

A cura di Francesca Ciancio
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Sera e cena di magro, ma non per questo meno gustosa. É la cena della vigilia di Natale che in buona parte vede protagonista il pesce un po’ ovunque in Italia. In molti pensano che sia un precetto religioso, quanto in realtà è più giusto parlare di una tradizione popolare consolidata. Gli amanti della carne però sono rassicurati dalla Costituzione Apostolica Paenitemini, firmata nel febbraio 1966 da Paolo VI che stabilì che il digiuno fosse necessario solo il mercoledì delle Ceneri e il Venerdì Santo, e l’astinenza dalla carne tutti i venerdì dell’anno, ma non più nelle vigilie. Quindi non c’è da preoccuparsi, qualche piatto di carne non stonerà la sera della vigilia, ma concentriamoci sul pesce e soprattutto sui corretti abbinamenti con il vino.

Gli antipasti della Vigilia di Natale

Piccoli bocconi freddi o tiepidi da poter servire anche in piedi possono essere un carpaccio di salmone, delle capesante gratinate, una mousse di tonno, sapori marini, ma non eccessivamente “pesciosi”, anzi, che presentano una certa cremosità laddove c’è aggiunta di creme e burro, nonché una buona untuosità. Regola vuole che il calice adatto tenda a sgrassare la portata nel piatto ed ecco dunque comparire le prime bollicine.

Andiamo su qualcosa di molto secco, con zero residuo zuccherino, quindi spumanti pas dosè Metodo Classico con bollicine molto piccole che solleticano il palato e lo puliscono istantaneamente. Sugli uvaggi abbiamo ampia scelta, dagli Chardonnay in purezza dell’Alta Langa a un Erbaluce spumantizzato per rimanere in Piemonte. Oppure qualche Franciacorta, sempre con base di Chardonnay ma anche con una piccola percentuale di Erbamat, vitigno autoctono bresciano che sta dando grandi soddisfazioni nei processi di spumantizzazione. Non possiamo non tener conto anche della vasta proposta di Trentodoc, le bollicine di montagna che, proprio come le vette al tramonto, si tingono di rosa grazie alla presenza di Pinot nero.

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Se la buona pratica del rispetto della stagionalità vale anche per i cenoni natalizi è giusto portare in tavola il pescato invernale come alici, sardine e sgombri, tutti aperitivi buoni e salutari perché ricchi di omega -3, gli acidi grassi così detti "buoni". Qui c’è da compensare la naturale sapidità dei prodotti con un vino secco ma anche dal finale avvolgente, che richiami la mandorla, come fa il Verdicchio dei Castelli di Jesi o il Soave a base di uva Garganega che, con qualche anno sulle spalle, regge benissimo il confronto con la salinità del pesce azzurro.

C’è poi chi non dà inizio ai festeggiamenti se non porta in tavola ricchi plateau di crostacei e frutti di mare. Aragoste, gamberi e granchi hanno una chiara tendenza dolce e a loro va affiancato un vino da note delicatamente floreali, tipo un bianco Friulano che richiama i fiori di campo e la camomilla, una Malvasia delle Lipari secca che, se da un lato mantiene una matrice leggermente aromatica, finisce scattante sulla salinità del luogo da cui proviene – le Eolie – oppure un rosato fermo, che gioca anche con la somiglianza cromatica dei crostacei: potrebbe essere un Gaglioppo calabrese che finisce nella Doc Cirò o un Faro rosato, vino della provincia di Messina.

Ecco arrivare i primi della Vigilia di Natale

Che siano paste lunghe, corte o ripiene, il protagonista è ancora il pesce: dagli spaghetti con le vongole alle linguine con la bottarga, dai tagliolini all’astice al risotto al nero di seppia, passando per i ravioli ripieni di cernia. Il mare trionfa e spesso si unisce a ingredienti di terra come zucchine, patate, funghi, verdure e frutta secca. Abbiamo dunque piatti sontuosi e ricchi di sapori, talvolta anche in contrasto. Ecco perché il vino va scelto in maniera calibrata, dovendo accompagnare ma non sovrastare la ricetta. Andremo quindi su tipologie abbastanza neutre in fatto di odori e gusto, dalle note non eccessivamente intense ma dal corpo presente e dotato di buona mineralità e dal sorso lungo. Rimanendo sul mare si può pensare a un Vermentino di Gallura, oppure addentrarci negli interni con un Trebbiano d’Abruzzo o una Falanghina del Sannio.

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Da non sottovalutare l’abbinamento con le etichette delle vette, come i Pinot Bianco dell’Alto Adige. Sapori e abbinamenti che cambiano se entra in gioco il pomodoro: pensiamo a paste condite o a zuppe di pesce. Qui il calice deve farsi più importante e strutturato e si può optare per qualche rosso, magari partendo da qualche rosato, tipo un Cerasuolo d’Abruzzo o un Negramaro in versione rosé se amiamo i color sgargianti e brillanti, quasi dei “rossi non rossi” che ci avvicinano al momento dell’etichetta realmente rossa. Abbiamo poi tutta la gamma dei rosati tenui, color cipria o buccia di cipolla, come i Chiaretto di Bardolino o i Chiaretto della Valtenesi che, nel rispetto del richiamo geografico, ci portano subito a pensare a un abbinamento con pesci di lago come la trota, il persico, la tinca o le ottime sardine di Montisola.

Ancora pesce per le seconde portate della Vigilia di Natale

Sbaglia chi pensa che rimanendo sui prodotti ittici, la varietà in tavola possa risentirne: non solo perché abbiamo decine di pesci diversi da considerare, ma anche perché ciascuno di questi può essere  preparato in tantissimi modi. Gli “integralisti” opteranno per un pesce cotto al sale, per godere delle sue carni bianche nel modo più essenziale possibile; altri sceglieranno la via “dell’acqua pazza”, ovvero un metodo di cottura che arricchisce le carni con la presenza del pomodoro e di un sughetto dove troviamo anche aglio e prezzemolo, oltre all’olio extravergine di oliva. C’è poi chi si destreggia con tecniche di altri paesi dal richiamo orientale, come la cottura a vapore, in pentole come il wok o friggendo in tempura. In tutti e tre i casi l’idea è quella di preservare il più possibile il sapore originario dell’ingrediente che verrà poi arricchito con verdure e spezie. Potremo invece definire universale il modo di cucinare in forno, la tecnica che più di altre conserva e accentua sapori e odori non solo del pesce ma anche dei prodotti che lo accompagnano, in primis le patate. E poi si sa, la parte più buona è il sugo di cottura, dove la scarpetta è d’obbligo, anche con il pesce.

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Chi ama sfidare il freddo pungente dell’inverno prende in considerazione anche la griglia, che non necessariamente deve stare all’aperto, perfetta non solo per pesci di buona pezzatura, ma anche per seppie e crostacei. Qui la peculiarità del gusto è nell’affumicatura che varia a seconda dei legni usati. Grande classico poi, soprattutto al Sud, è il fritto misto e qui ci si può sbizzarrire con anguille, merluzzo, triglie, calamari, gamberi e alici. Andando con ordine, se prediligiamo cotture delicate andremo su bianchi altrettanto tenui come una Passerina marchigiana, una Inzolia siciliana o un Lugana veneto; se vogliamo sperimentare qualche pairing con piatti di pesce cucinati all’asiatica orientiamoci su vitigni un po’ aromatici che possono tenere a bada la spinta aromatica delle spezie. Può fare al caso nostro un Muller Thurgau, un Sauvignon, un Riesling renano o italico, o anche una Schiava altoatesina se vogliamo tentare l’accoppiata con un rosso leggero e dai richiami pepati.

Guazzetti, cotture in forno e griglie possono permettersi dei calici tinti di rosso. La regola è quella di orientarsi su annate recenti, maturazioni veloci e poco o zero passaggio in legno del vino. In questo modo berremo sì un rosso, ma il frutto sarà ancora vivace e croccante, il colore tenderà al purpureo o al rubino e l’acidità sarà ancora spiccata. Muovendoci lungo la penisola possiamo scegliere un vino mediterraneo e ligure come un Rossese di Dolceacqua, oppure un Chianti giovane dei Colli Fiorentini, un Bardolino veneto floreale e colorato, un Ciliegiolo umbro o un Etna rosso per chiudere in Sicilia.

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Discorso a parte va fatto per i fritti, dove torniamo sulle amate bollicine: l’anidride carbonica del perlage aiuta a sgrassare il palato, ecco perché rimane la coppia vincente, ma se siete già stanchi di Champagne e Metodo Classico, potreste optare per qualche vino frizzante, che non è spumante perché ha una pressione in bar inferiore. Tra i più noti ci sono i Lambrusco, vini della tradizione emiliana che vestono le bolle di rosso, diventando così accattivanti e divertenti: provateli con il baccalà fritto. Il trend enoico degli ultimi anni parla la lingua dei rifermentati ancestrali, ovvero  vini che mantengono il sedimento dei lieviti presente in bottiglia, detto anche Confondo o Colfondo o Sur Lie, letteralmente “sui lieviti”. Non siamo dinanzi a calici dalla bollicina fitta e persistente, al contrario sono vini che conservano una leggera presenza di anidride carbonica ma che si avvicinano molto a vini fermi. Sono dunque un buon compromesso per chi non impazzisce per la sensazione frizzante nel bicchiere, ma vuole comunque godersi un fritto accompagnandolo con un po’ di brio nel bicchiere.

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Quello che i piatti non dicono
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