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22 Dicembre 2021 15:00

I vini giusti da abbinare alla tradizione del pranzo di Natale

Pranzo di Natale che funziona non si tocca, ma se si ha voglia di qualcosa di nuovo si può puntare sui vini e su abbinamenti non convezionali: ecco qualche suggerimento sui i vini da mettere in tavola.

A cura di Francesca Ciancio
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Se la Vigilia di Natale di solito scivola via ancora tra ultimi acquisti, biglietti da scrivere e preparazioni culinarie, il giorno seguente, ovvero il Natale, è il giorno in cui il tempo rallenta: si è ufficialmente in vacanza e la casa è lo spazio prediletto per il relax totale. Una vacanza, quella  per noi italiani in particolare, che prevede molto tempo da trascorrere a tavola, rinnovando anno dopo anno la tradizione del pranzo di Natale, secondo una sequenza sempre uguale in tutte le regioni della Penisola. E se la sera prima abbiamo fatto onore alle ricette di pesce, come prevede  la consuetudine della Vigilia, Natale è il momento della carne e in generale dei carboidrati. Difficile immaginare piccole/grandi rivoluzioni nei menu di casa, ma se vogliamo sbizzarrirci con qualche tocco creativo perché non provare con il vino? Sono così tanti – e per fortuna tanti buoni  – che è impossibile non trovare il vino perfetto per ogni piatto delle feste.

Gli antipasti del pranzo di Natale: cosa beviamo?

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Spume, creme, mousse poggiate su crostini, rösti, tartine e canapè. L’antipasto di Natale è colorato e soffice, possibilmente sontuoso – caviale, uova di pesce, salmone, gamberetti, ostriche, formaggi e salumi  pregiati – e appagante alla vista. È forse il momento del pranzo a cui si dedicano più energie creative, perché ciò che si mangia, oltre a essere buono, deve essere anche bello: è il biglietto da visita della festa in tavola che si sta per consumare: il consiglio è di andare su bottiglie altrettanto vivaci e inclini al bello.

Un Sangiovese spumantizzato, ad esempio, è già di per sé una proposta non così consueta: l’uva rossa più famosa in Toscana si veste di rosato e mette le bolle con Boh, il metodo charmat lungo di Fattoria La Leccia di Montespertoli, un’etichetta che già dalla grafica è un inno  alla festa. Rimaniamo sui toni colorati che virano verso l’arancio questa volta: ancora un autoctono italiano nobilissimo e spumantizzato, il Nebbiolo. L’etichetta è quella dell’Erpacrife, un’azienda-progetto iniziata 20 anni fa da quattro amici che facevano – e fanno – i viticoltori nelle loro rispettive aziende di famiglia in Langa. Loro però volevano cimentarsi anche con le bollicine ed ecco la nascita di questo marchio. Sono quattro le proposte disponibili ma il 120 Mesi Riserva è un rosato di una complessità e al contempo di una bevibilità che fa amare ancora di più il Nebbiolo.

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Va di moda inserire negli entrée natalizi anche un po’ di esotico con odori e sapori internazionali. Qui ci vuole un vino altrettanto “fuori dalle righe” come un Piwi, ovvero un vino da vitigno resistente, che, badate, non sono uve geneticamente modificate ma frutti che nascono da incroci. La loro peculiarità è quella di resistere alle malattie funginee. L’etichetta da mettere in tavola è HeH dell’azienda Nove Lune, un vino ancestrale da uve Solaris. Il vino può essere bevuto limpido, nel qual caso ha un bellissimo colore giallo dorato, oppure torbido dopo averlo agitato. I profumi sono fruttati e floreali con evidenti sentori di pesca, mela, pera, albicocca e delicate note tropicali.

I primi di Natale, spazio ai brodi e alle paste ripiene. E i vini?

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Cucchiai in tavola e via di brodo: sono i primi tradizionali della tavola di Natale. Non c’è piatto della tradizione natalizia in Italia che non abbia la sua parte liquida, perché il brodo mette d’accordo tutti, da Nord a Sud. Può essere di manzo, di pollo, di cappone o di misto-carne, ma ciò che conta è che sia fumante e arricchito da pasta ripiena. Qui si apre lo scenario delle paste: tortellini, cappelletti, passatelli, ravioli, agnolotti, con ripieno di verdure o di carne e/o salumi. Un piatto solo apparentemente leggero, ma che ha struttura e anche una bella untuosità. Hanno dunque ragioni gli emiliani e i lombardi che ci abbinano spesso del vino frizzante. Quale che sia la vostra interpretazione per un piatto icona ci vuole un vino icona e il consiglio corre subito al Barbacarlo di Lino Maga, fatto con Croatina, Uva rara e Vespolina, un vino rosso appena brioso, rustico il giusto, vinoso e saporito. Da lasciare anche invecchiare se prendete una bottiglia in più. Aumentiamo il numero delle bollicine ma rimaniamo sul rosso, su un Lambrusco di Salamino: l’Albone di Podere Saliceto è una goduria per gli occhi e il palato, con quella spuma viola e quel sapore di mirtilli e more, davvero intenso e profumato, pura allegria in tavola.

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Alternativa altrettanto sostanziosa è quella della pasta al forno: lasagne, gnocchi, pasticci di pasta, crêpes, l’abbondanza gratinata del Natale. Non c’è un numero di ingredienti codificato, dalle carni, al pomodoro, dai formaggi alle uova, tutto è permesso, a patto che ci sia sempre la crosticina a colorare il tutto. Alla versione bianca e con verdure potremmo provare ad abbinare qualche bianco importante, tipo il Vulcaia Fumé dell’azienda veneta Inama, un Sauvignon che fa legno e che racchiude in sé note di caffè, di frutta tropicale e e di agrumi. Bello il finale un po’ affumicato, tipico dei vini della zona di Soave. Ancora agrumi, ma anche cedro e pesca nel Riesling di Falkenstein, un vino di montagna della Valle Venosta in Alto Adige che tira fuori, dopo qualche tempo, anche quella nota di idrocarburo così tipica del vitigno e che fa pendant con l’affumicatura della crosticina del piatto.

Dove vince il rosso del pomodoro meglio andare sul sicuro e scegliere un rosso. Al più classico dei piatti delle feste vogliamo affiancare qualcosa di inusuale ai più, ovvero una Tintilia del Molise, in particolare il vino Beat dell’azienda Agricolavinica: macerazione semi-carbonica a grappolo intero per un succo davvero intenso che sa di frutta rossa e di viola. Soprattutto colpisce per la natura anche “ardente” per una una forte nota di pietra focaia che sprigiona.

Quali vini abbinare ai secondi piatti di Natale

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È il momento del Natale che tocca alle carne: brasati, arrosti , lessi, polli, capponi, ariste, tacchini. Cucinata da sola o accompagnata da verdure o da salse di frutta, secondo una tradizione più nordeuropea e americana che nostrana, ciò che conta è che sia appagante, che dia il senso dell’abbondanza e della condivisione grazie al taglio in tavola. Senza dubbio è la portata più ricca del menu e per un abbinamento all’altezza vale la pena considerare qualche prestigiosa denominazione italiana. Montalcino ad esempio, che offre sia la versione più “easy” del Rosso di Montalcino – nel prezzo come nella complessità del vino – sia la versione più nobile del Brunello. Aziende che fanno fare bella figura con entrambe le etichette sono Pietroso, Baricci, Canalicchio di Sopra, Gorelli, tra le altre.

Discorso simile si può fare con il Nebbiolo: il vitigno più famoso del Piemonte, che ha diverse declinazioni, a partire dal Langhe Nebbiolo e Nebbiolo d’Alba passando per il Barbaresco e il Roero per arrivare al Barolo. Anche qui tante scelte a seconda dei gusti e delle tasche. Etichetta da tavola elegante è senz’altro il Nebbiolo d’Alba Doc Vigna Santa Rosalia di Brezza; interprete raffinato del Roero da sempre è l’azienda Matteo Correggia; con i Barbaresco dell’azienda Sottimano non si sbaglia mai e infine chiudiamo su un Barolo rassicurante, perché sempre buono, come il Vigna Lazzairasco di Guido Porro.

Dulcis in fundo vale anche per il vino

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Il tripudio natalizio della tavola ha la chiusura più degna con i dolci: panettone e pandoro dominano su tutti e sono immancabili ovunque, che si festeggi al Nord come al Sud. C’è poi la tradizione dei pandolce, pani speziati ricchi di frutta secca e di spezie, quella dei tronchetti di Natale, morbidi e con cioccolata, le tante varianti dei torroni, i dolci carichi di miele come gli struffoli napoletani o le cartellate pugliesi.  La regola del pairing in questi casi vuole vini dolci ma non troppo, o meglio: più carico di zuccheri è il cibo meno zuccherino deve essere il vino per non creare una sensazione eccessivamente stucchevole.

Anche nell’ambito dei vini l’Italia vanta un panorama vastissimo di tipologie di vini dolci. A cominciare da un unicum, il Moscato d’Asti Docg, prodotto con Moscato Bianco di Canelli, un’uva e un vino che esistono solo qui: leggermente frizzante, dal basso grado alcolico e un profumo e un sapore delicatamente aromatici. Tra le cantine da segnalare, Ca d’Gal, Marco Capra e Tojo Winery.

Più corpo e struttura hanno senz’altro i passiti che richiamano la frutta secca e i canditi: se ne fanno buonissimi nei posti di mare della Penisola come a Pantelleria – Donnafugata con il suo iconico Ben Rye, il Bagghiu della cantina Gabriele, lo storico Bukkuram dell'azienda De Bartoli –, nelle isole Eolie con la Malvasia delle Lipari Passito – provate quella dell'azienda Fenech, l'interpretazione di Caravaglio Vini e quella dell'azienda Virgona – in Liguria con la Sciacchetrà – azienda Possa e una piccola produzione di passito da uva Ansonica – Nantropò Ansonica Passito della cantina Fontuccia – su un’isola altrettanto piccola come è quella del Giglio, nell’arcipelago Toscano. Qui gli abbinamenti corretti sono con il cioccolato, fondente possibilmente, o con panettoni poco dolci e perché no con un sigaro o semplicemente al posto del dolce stesso, per chiudere il pranzo di Natale in modo liquido e in totale relax. Li chiamano, non a caso, vini da meditazione.

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Quello che i piatti non dicono
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