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9 Febbraio 2021 11:00

La cucina povera: le ricette italiane della tradizione nate per necessità

La cucina italiana deve moltissimo alle ricette di recupero: gran parte dei piatti che oggi tutti amiamo viene infatti dalla tradizione della cucina povera. Ricette nate per necessità e fame, che venivano create sulla base degli scarti di altre preparazioni, sui tagli di carne invenduti, sui residui dei pranzi nobiliari: dalle panzanelle alle zuppe come ribollita, passando per i primi piatti "fuiuti" alla napoletana e per i mondeghili milanesi, fino ad arrivare alla pizza fritta e al pane cunzatu siciliano. Ecco una carrellata delle più belle e golose ricette di cucina povera italiana.

A cura di Francesca Fiore
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Ogni cucina al mondo ha ricette più ricche e altre più povere, ma sono i paesi con una vocazione agricola come l'Italia ad avere la meglio sui piatti di recupero. La cucina povera, nel nostro Paese, è sempre stata fondamentale: sfamare le classi più abbienti non è mai stato difficile, il vero problema è sempre stato dar da mangiare a contadini e lavoratori di vario tipo. Così, nel corso della storia, la nostra gastronomia ha visto un fiorire di ricette create con alimenti di scarto e tagli di carne considerati poco facili da cucinare: piano piano quelle ricette, però, sono diventate parte integrante e spesso punta di diamante della nostra grande tradizione culinaria, tanto da essere spesso riprese, in tempi recente, anche dagli chef gourmet. Vediamo quali sono le principali "star" della cucina povera in Italia, con tutte le ricette da replicare a casa.

1. Recupero del pane: panzanella, pancotto, pappa al pomodoro

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Uno degli alimenti più importanti per l'alimentazione umana: il pane. Tentare di utilizzare anche quello raffermo è da sempre una delle preoccupazioni principali delle fasce meno abbienti, e non solo all'interno delle famiglie di panificatori. Questa esigenza ha fatto nascere piatti incredibili: golosi, nutrienti, confortanti. Fra i più famosi la panzanella, un'insalata di pane raffermo bagnato con acqua e aceto a cui si aggiungono prodotti come pomodori, cipolle, sale, aceto, qualche oliva, qualche verdura di stagione, a seconda del territorio specifico. Non è un piatto solo toscano, ma si fa anche in Umbria, Abruzzo, Lazio e perfino in regioni del Sud Italia come Puglia e Basilicata, dove viene chiamata acquasale o cialledda, ma anche in Calabria. Un po' diversa dalla panzanella, ma con la stessa logica, la ricetta del pani cunzatu siciliano.

Con il pane raffermo si può fare di tutto: sono tante le ricette che lo trasformano in polpette, come le pallotte cacio e ova abruzzesi, ma anche in piatti come i canederli trentini e altoatesini, il pancotto, una zuppa preparata con pezzi di pane raffermo bolliti in brodo o acqua, che fa parte di molte tradizioni regionali, o la pappa al pomodoro, piatto simbolo della cucina toscana.

2. Zuppe: dalla ribollita toscana al macco di fave

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Di zuppe di recupero ne è piena l'Italia: non basterebbe un libro per raccontarle tutte. Noi vogliamo parlare di due su tutte: la ribollita toscana e il macco di fave siciliano. Sono due ricette che partono da una base e la trasformano, riutilizzandola più volte. La ribollita è a base di cavolo nero ed è chiamata così perché le contadine ne cucinavano una gran quantità che venivano "ribollite" in un tegame nei giorni successivi, solitamente sfruttando il forno a legna: le prime tracce di questa preparazione risalgono al 1910, quando viene citata nel libro "L'arte cucinaria in Italia" di Alberto Cougnet. Il macco di fave, invece, risale agli antichi Romani: è un piatto tipico di Raffadali, Agrigento, ma viene preparato in tutta la Sicilia. Si tratta di una crema realizzata con una cottura prolungata di fave secche, alle quali viene aggiunta una verdura, solitamente delle bietole, del finocchietto selvatico, i cosiddetti "tenerumi" (le foglie tenere di una particolare specie di zucchina) e servita con un filo di olio extravergine di oliva: veniva preparata per le tavole nobiliari ma gli avanzi andavano a servitori e cuochi. In molti territori, infatti, la crema viene utilizzata il giorno dopo come si fa con la polenta (di cui parleremo a breve): rappresa e ricotta, spesso in padella, oppure fritta.

3. Primi piatti: dalle vongole fujiute ai passatelli

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A Napoli esiste tutta una tradizione di piatti "fujuti", letteralmente scappati. Fra questi gli spaghetti con le vongole fujute è uno dei piatti più noti: le vongole si sentono, ma non ci sono. La ricetta, infatti, prevede solo spaghetti, prezzemolo, aglio, peperoncino e pomodorini: ricorda la pasta con le vongole ma senza le vongole.

Non solo Napoli: anche dalla Sicilia arrivano tanti primi piatti di recupero. Come ad esempio la pasta alla carrettiera, una ricetta originaria della Sicilia orientale: si tratta di spaghetti conditi con aglio a crudo, olio, peperoncino, prezzemolo tritato e pecorino grattugiato, a cui è possibile aggiungere anche un po' di pane secco grattugiato. Il nome deriverebbe dai carrettieri che preparavano questo piatto perché si conservava a lungo e poteva essere gustato anche freddo.

In varie zone dell'Italia meridionale, poi, si fa la "pasta con i sassi": una tradizione che si ritrova ad esempio a Castellammare di Stabia, dove si chiama pasta cu’ e pprete. In pratica per simulare il sapore dei frutti di mare si cucinava la pasta insieme alle pietre di mare, in modo che queste potessero rilasciare tutto il loro sapore.

Facciamo un salto in Sardegna alla scoperta della zuppa gallurese: una specialità rustica e saporita che si prepara con ingredienti poveri tipici della vita di campagna come pane raffermo, formaggio e brodo di carni miste, alimenti che rendono questa ricetta nutriente e ideale da consumare anche come piatto unico.

Infine, una ricetta romagnola, quella dei passatelli: mette insieme avanzi di pane e necessità di un primo piatto caldo, che fosse nutriente e confortante. Infatti, benché oggi siano considerati il piatto della domenica, i passatelli erano una ricetta di recupero, usata soprattutto da chi faceva il pane: questo veniva (e viene) tradizionalmente schiacciato e passato con uno specifico strumento, formato da un disco leggermente convesso e fitto di fori attraverso i quali vengono fatti passare i passatelli.

4. Recupero della carne: polpette e interiora

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Sul versante carne, esistono davvero tantissime ricette di recupero: tramandate di generazione in generazione soprattutto nelle famiglie di macellai, che vendevano i pezzi più pregiati e tenevano per sé interiora e scarti. Per questo motivo è nata la tradizione del quinto quarto, ovvero tutti quei pezzi (non solo interiora ma anche lingua, piede, muso, orecchie) che, considerati scarti, hanno dato vita a piatti fondamentali della nostra gastronomia. Trippa, fegato, cuore, milza, si cucinano un po' ovunque, come nel caso del fegato alla veneziana, del fritto misto piemontese, della trippa alla romana, del soffritto napoletano.

Un altro elemento fondamentale da usare per creare piatti di riciclo è il pane raffermo che, come nel caso sopra, veniva usato per realizzare golose polpette, mischiandolo con i tagli di carne più poveri, a volte già cotti: è l'esempio delle polpette di bollito, molto usate nell'Italia centrale, ma anche quello dei modeghili milanesi, polpette fatte con resti di carne, solitamente manzo, avanzati dai pranzi di festa.

5. Verdure e contorni di recupero

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Si parte dalla polenta, di solito considerata un piatto unico, che però il giorno dopo si trasforma in scagliozzi, o friscatule, a seconda della zona in cui ci troviamo: si tratta comunque di pezzi di polenta rappresa e fritta, come nella migliore tradizione dei piatti di recupero. Creare nuovi piatti friggendo i resti reimpastati di altre preparazioni è un'usanza che esiste da sempre in tutto lo Stivale: un esempio tipico è la ricetta della rascatura palermitana. Un tradizionale street food che si ottiene raschiando i pentoloni utilizzati per la preparazione di panelle e crocchè, raccogliendo  i residui di impasto che vengono mischiati insieme e poi fritti: un godurioso mix di farina di ceci, patate e prezzemolo.

Un altro prodotto che si presta benissimo a essere recuperato sono le cipolle da cui nasce, in Abruzzo, Molise e in gran parte del Sud Italia, la cipollata: cipolle stufate a lungo nel brodo e condite con olio, sale e pomodori maturi.  C'è poi il capitolo ciambotta, un piatto di verdure in cui a seconda delle zone compaiono anche carne o pesce, che veniva preparato con le parti di scarto di prodotti come patate, melanzane, pomodori, peperoni, peperoncino, cipolla, erbe aromatiche. Inoltre, in quasi tutte le tradizioni ci sono salse e condimenti realizzati a partire dagli scarti delle verdure usate ad esempio per il brodo e liquidi come i fondi di cottura: basti solo pensare ad alcune delle salse tipiche del bollito misto alla piemontese.

6. Focacce e impasti di recupero

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Qualunque pezzo di impasto avanzato – che sia pizza, pane o pasta – può essere riutilizzato per creare nuove pietanze: la regina di questa logica è la pizza fritta napoletana, che veniva cucinata dalle donne prendendo proprio gli scarti dell'impasto della pizza e che ora è uno dei piatti di rosticceria più amati da napoletani e turisti. Non a caso anche il suo ripieno è povero: ricotta, cicoli (o ciccioli, la parte di carne e grasso di maiale che restava attaccata alle ossa), pepe, provola. Anche i diavulilli e gli angiolilli, sempre dalla tradizione partenopea, seguono questa filosofia: sono pezzetti di impasto della pizza che vengono fritti e poi conditi, nel primo caso con ingredienti salati come pomodoro e formaggio grattugiato, nel secondo caso con prodotti dolci come crema, crema di nocciole o zucchero a velo. Altre istituzioni di ricette di recupero sono le foccacce: la focaccia alla messinese, la schiacciata alla fiorentina, su Mustazzeddu sardo, la strazzata lucana. Anche la ricetta del pane cunzatu alla siciliana si può considerare un piatto di recupero: in questo caso si tratta di un pane intero tagliato in orizzontale, come per creare gli strati di una torta, che viene condito con ingredienti a disposizione – di solito pomodori, acciughe, origano, olio e sale – e che diventa un incredibile piatto unico.

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Quello che i piatti non dicono
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