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12 Dicembre 2021 15:00

Da luoghi di passaggio a punti di ritrovo: come sono cambiate le stazioni grazie al cibo

Dagli chef stellati alle eccellenze del gelato, della pasticceria e della pizza: le stazioni ferroviarie si trasformano da luoghi di passaggio a punti di ritrovo.

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Dalla grande pasticceria d'autore al fast food, dai cuochi stellati ai sushi bar: le grandi stazioni ferroviarie italiane non sono più solo un posto in cui arrivare per andare da un'altra parte, sono anche un posto in cui arrivare e mangiare cibo prelibato. Questo cambiamento nasce da un intento nobile: le stazioni hanno sempre avuto dei problemi con la microcriminalità, soprattutto nelle grandi città. Le zone che le circondano hanno un tenore di vita molto basso e spesso, la disperazione, può portare a gesti inconsulti. Per questo motivo, da circa un decennio, alcuni importanti manager hanno pensato bene di riqualificare le zone creando degli shopping district e delle food hall.

C'è una società nata nel 2016, la Grandi Stazioni Retail, che è la "concessionaria ufficiale" di tutto il processo ed appartiene al Gruppo Ferrovie dello Stato Italiane. Ci sono anche tante altre realtà che in gruppo o da sole stanno partecipando a questa riqualificazione necessaria e bellissima di uno snodo fondamentale della viabilità nazionale.

Andare in stazione per mangiare

Voler rendere le stazioni ferroviarie un luogo "d'arrivo" e non "di partenza" è un processo partito molti anni fa, che ha avuto uno scatto in avanti nell'ultimo lustro. Il motivo principale è la riqualificazione, certo, ma questa volontà si regge su un'intuizione meramente economica: nei prossimi anni la mole di viaggiatori su ferro crescerà moltissimo e l'Italia sta facendo enormi investimenti infrastrutturali per migliorare questa esperienza e incoraggiare questo tipo di trasporto. Le food hall vanno così di pari passo che il gruppo delle ferrovie italiane conta di portare a termine il progetto enogastronomico nelle 14 stazioni più grandi entro il 2026, stesso anno in cui dovrebbe terminare il potenziamento del trasporto su ferro. L'amministratore delegato di Grandi Stazioni Retail, Alberto Baldan, ha detto al Sole 24 Ore che per questo progetto "il food è di vitale importanza" perché "il 35% del business riguarda proprio questo settore".

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Negli ultimi 5 anni le sole food hall di GSR hanno aumentato i propri introiti del 44%, una cifra aiutata proprio dalla pandemia grazie allo sviluppo di delivery, asporto e delle piattaforme online di consegna a domicilio. Se ai dati dell'incremento offerti dalle Ferrovie dello Stato si aggiungono gli investimenti dei singoli o del gruppo del Mercato Centrale, i numeri salgono a dismisura.

In principio furono McDonald's e Burger King

Grandi Stazioni Retail è un progetto nuovo, in divenire, ma come spesso è accaduto nella storia della ristorazione, i primi a intuire il futuro sono stati i due marchi leader mondiali nel settore del fast food. La sfida tra McDonald's e Burger King, in Italia e non solo, si è spesso giocata tra i binari dei treni. Se ci pensate, il format offerto è perfetto: cibo a basso costo, servito il più velocemente possibile. Spesso alle stazioni le persone non hanno tempo, sono di corsa tra una coincidenza e l'altra e quale miglior soluzione del fast food? Le due catene potete trovarle ovunque: nei pressi, o all'interno, delle stazioni delle città più grandi d'Italia, ma non solo. Ravenna, Padova, Palermo, Udine, tra alti e bassi hanno ospitato alcune delle sedi più longeve e remunerative dei due gruppi americani. Magari a volte chiudono, qualche volta riaprono poco distanti o in un altro stabile, ma ci sono sempre e ci sono da decenni, fin dall'arrivo degli "archi dorati" in Italia: il primo McDonald's nel Bel Paese è stato aperto nel 1985 a Bolzano, in piazza Walther von der Vogelweide, a soli 300 metri dalla stazione dei treni.

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L’amatriciana di Antonello Colonna a Roma

Una volta tracciata la strada dagli americani, è stata la volta degli italiani: i grandi marchi si sono organizzati e hanno provato a creare dei poli più o meno di successo, soprattutto nelle grandi città. La "terrazza Termini" è forse l'esempio più fulgido di un gruppo di imprenditori in grado di fare qualcosa di qualità all'interno di una stazione, ancora oggi è un esempio florido di ciò che può offrire una food hall in continuo divenire: la stazione centrale di Roma sta subendo un restyling che si concluderà nel 2022 con la creazione di una grande food lounge sulla terrazza che termina con il bistrot dello chef stellato Antonello Colonna.

Oltre alla canonica terrazza, alle spalle della Stazione Termini c'è già il Mercato Centrale e qui si apre un altro capitolo di questa vicenda. Il progetto Mercato Centrale nasce nel 2014 da un’idea di Umberto Montano e della famiglia Cardini-Vannucchi. La sinergia ha dato vita a un nuovo modo di intendere il cibo in convivialità, rendendo questi luoghi dei posti in cui fare la spesa, mangiare, arricchirsi gli uni con gli altri; proprio come i vecchi mercati rionali. In breve diventa una catena con al centro sempre e solo gli artigiani del posto che rispettano e conoscono profondamente la città. L'unico Mercato Centrale all'interno di una stazione è proprio quello della Città Eterna e dentro potete trovare nomi eccellenti: la pizza di Bonci e Seu, il ramen di Akira Yoshida, il trapizzino di Stefano Callegari e tantissimi altri nomi noti.

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Il Trapizzino di Stefano Callegari al Mercato Centrale di Termini

Grandi nomi della ristorazione, riconosciuti e riconoscibili per la loro qualità, che si riuniscono in un luogo solo: l'unione che fa la forza. Il risultato è strabiliante perché, numeri alla mano, le stazioni si stanno trasformando da luoghi di passaggio a punti di ritrovo. Anticamente sono state pensate proprio così: edifici che, dal punto di vista storico, artistico e di posizione, rappresentassero il punto di riferimento della metropoli di cui fanno parte; poi la gentrificazione ha allontanato il "centro" cittadino da punti di approdo come ferrovie e porti, facendo diventare questi luoghi sempre più pericolosi e malfamati.

Tra gli indipendenti vince Iginio Massari

Il più grande pasticciere d'Italia per il Gambero Rosso si gode quest'altro, incredibile, primato. Il lavoro che Iginio, con i figli Nicola e Debora Massari, ha fatto sul brand è straordinario, senza mezzi termini. In pochissimi anni si è trasformato da piccolo bottegaio della provincia italiana a vero e proprio brand internazionale, mantenendo intatta l'eccellenza della propria proposta. Sono ben nove i pop up aperti dalla famiglia lombarda in questi anni, solo uno al centro città (quello di Pescara), tutti gli altri sono all'interno delle stazioni.

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Foto da Facebook

Parliamo di piccole boutique, bellissime, che trasudano classe da ogni poro, e vendono le specialità "trasportabili" del maestro Massari. Niente monoporzioni dunque ma prodotti secchi confezionati: si va quindi dai macaron, ai biscotti, per proseguire con le tavolette di cioccolato e praline fino ai celebri baci di dama e ai panettoni artigianali (tra i migliori dello scorso Natale). Le sedi dei pop up sono nelle stazioni di Brescia, Genova, Roma (sia Termini sia Tiburtina), Torino, Milano, Napoli e Verona.

A occuparsi di tutto il progetto sono i figli Debora e Nicola che, oltre a seguire le orme del padre nel laboratorio, hanno creato un brand vincente. L'idea è quella di estendere il concetto di "temporary store" anche alla pasticceria, per farla diventare un'esperienza condivisa. Iginio Massari ha più volte detto che il cibo non può essere solo buono "ma deve essere anche bello, elegante e coinvolgente"; proprio da questo credo nasce tutto l'impianto che riguarda i pop up alle stazioni.

Il titolare della Pasticceria Veneto non è l'unico "indipendente" che possiamo trovare nelle stazioni, è però l'unico ad aver "esportato" il proprio brand con successo. Gli altri si sono limitati alla propria città: troviamo bar, caffetterie, pizzerie, nomi noti con dei piccoli locali all'interno delle stazioni, che fungono più da richiamo turistico che da vera e propria avanguardia di frontiera. A modo suo è una cosa bella: la bottega cittadina che non perde la propria essenza. C'è da registrare però un abbassamento medio della qualità di questi marchi una volta arrivati in stazione: vuoi per un packaging non eccelso, vuoi per sufficienza. Fanno comunque parte di questa nuova storia della ristorazione italiana, importata a piè pari dall'America: per una volta il nostro Paese si cosparge il capo di umiltà nel mondo della ristorazione e impara qualcosa di utile dall'estero (migliorandolo in alcuni casi).

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Quello che i piatti non dicono
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