17 Gennaio 2023 11:00

La storia dell’influencer del Medioevo che ci ha convinto a bere il tè e non a “mangiarlo”

Abbiamo cominciato a usare le foglie da tè come bevanda grazie a Lu Yu, uno scrittore cinese del 700, che grazie alla sua influenza sulle autorità ha cambiato il mondo.

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Oggi siamo abituati a sorseggiare una tazza di tè – magari davanti al camino, coperti da un plaid – ma in realtà questa usanza non è sempre stata così comune. La storia del tè è lunghissima ma non sempre lo abbiamo consumato come oggi: il tè nasce come medicinale, in Cina, e poi si trasforma in una zuppa salata con tanti ingredienti diversi. Una sorta di "dado vegetale" contenente un sapore speciale. Nello stesso periodo viene usato anche come moneta di scambio, ceduto in forma di lingotti ai tanti commercianti sulla Via della seta o ai viandanti che giungono nei tanti Stati che popolano la Cina del tempo. Se oggi beviamo il tè e lo prepariamo in un certo modo lo dobbiamo solo a una persona, forse il primo "influencer" di sempre: Lu Yu. Questo scrittore vive nel 700, è ossessionato dal tè e per tutta la vita diffonde la cultura della sua ricerca e preparazione in tutto il mondo. Ancora oggi il suo "Chájīng", tradotto con "Tea classic" è uno dei libri gastronomici più importanti e influenti di sempre, ben 1300 anni dopo la sua prima stesura. Vediamo insieme come siamo passati dal "mangiare" il tè, a berlo.

Beviamo il tè grazie a un influencer del Medioevo

Sembra una storia uscita da qualche libro di mitologia orientale ma è tutto vero: Lu Yu nasce nel 733 a Tianmen, nell'Hubei e in adolescenza viene spedito dai genitori sulla montagna di Huomen per studiare l'arte della scrittura con Zou Fuzi, una sorta di Umberto Eco del Medioevo cinese. Tra i compiti del piccolo Lu c'è quello di preparare il tè per il suo insegnante. Siamo già andati oltre la medicina tradizionale: nel 700 la Cina è consapevole delle proprietà benefiche di questo infuso ma lo usa più in cucina.

Lu decide di preparare un decotto, ma la zuppa risulta immangiabile. Non si lamenta del sapore del tè ma di tutti gli altri ingredienti: le zuppe contengono scalogno, zenzero, datteri di giuggiola, agrumi, menta e altri ingredienti aggiunti poi ai noodles. Il risultato di questa lunga cottura è una zuppa molto densa, a volte quasi cremosa, con tutti questi ingredienti all'interno. Ci sembra difficile dar torto a Lu Yu, non sembra molto invitante. Il punto è che al giovane cinese il tè, da solo, piace molto e se lo prepara tritando le foglie in polvere e mettendole in infusione in un'acqua di fonte limpidissima, da scaldare.

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Una statua dello studioso di tè cinese Tang, Lu Yu (733–804) a Xi’an sul terreno della Pagoda della Grande Oca Selvatica | foto di Nat Krause

Questo suo modo di bere il tè infastidisce tutti gli abitanti della zona: a Houmen mangiano il tè da millenni e, secondo il famoso storico George Van Driem, le popolazioni della zona sarebbero state le prime a scoprire le proprietà energizzanti delle foglie, mangiandole crude. Non sappiamo però quand'è che i cinesi passano da usare queste foglie come snack a immergerle in una zuppa salata per dar sapore all'acqua. La cosa certa è che questa preparazione arriva dopo il II secolo d.C. perché i cinesi mangiano il tè solo dopo aver annesso parte dell'Himalaya orientale, un tempo terra di nessuno e contesa con la Birmania. In pochissimo tempo imparano gran parte dei segreti di queste piante e nei trattati di medicina di Hua Tuo, famosissimo medico dell'epoca, già sono descritte molte proprietà che tutt'oggi apprezziamo nelle foglie di tè. Per un paio di secoli in Cina si usa il tè solo a scopo medicinale finché il sapore non fa breccia: cominciano a bollire le foglie fresche per tenerle in pentole piene di riso e creare una sorta di pudding ante litteram. Questa pappetta diventa popolarissima in estate perché in grado di dissipare il calore. Zhang Yi, uno studioso del III secolo, descrive anche una zuppa di verdure con aggiunta di tè tipica delle zone costiere cinesi usata per rinfrescarsi.

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Se ti stai chiedendo come mai oggi nessuno (o quasi) in Cina proponga una cosa del genere, pur avendo una cucina immutabile nel tempo, il merito è proprio di Lu Yu. Per lo scrittore le zuppe "infangano il tè con altri ingredienti" e queste zuppe sono "proprio come masticare delle verdure bollite", non proprio il massimo. Oltre al sapore c'è tutta la componente mistica: secondo lo storico James Benn in realtà Lu vuole bere il tè puro anche perché lo ritiene un elisir le cui proprietà sono smorzate da ingredienti banali come aglio o riso ed è per questo motivo che avrebbe lottato così a lungo affinché il tè fosse consumato solo con acqua e un pizzico di sale, a seconda delle proprietà dell'acqua.

Lu Yu scrive quindi un libro per convincere i cinesi ad abbandonare gli ingredienti extra, spiegando e garantendo il risultato di una bevanda gustata in purezza. Sottolinea l'importanza di procurarsi acqua di sorgente e polvere di tè fine, utilizzando strumenti di alta qualità come stufe per scaldare la bevanda; ha meccanizzato delle procedure, come sbattere la polvere per produrre un po' di schiumetta. Nel libro lo mette a paragone con le più vendute bevande dell'epoca, dichiarando il tè come "rivale ufficiale" di quelle proposte. Nessuno pensava che il cambiamento di quella realtà avrebbe avuto successo, ma all'uscita diventa subito un best seller e la cosa non è mica un risultato da poco: non sono poi così tanti i cinesi istruiti, in grado di leggere, ma proprio tutti parlano di questo libro.  Nel 763 comincia la "tè-mania" in Cina facendo guadagnare una fortuna a Lu Yu e creando innumerevoli imitatori. Nel giro di mezzo secolo tutti i preconcetti presenti vengono spazzati via: l'impronta che Lu lascia sulla cultura cinese è evidentissima fin da subito. Cambia addirittura l'artigianato locale: tutti i ceramisti del tempo cominciano a creare delle tazze a lui dedicate, fanno perfino delle statuette in ceramica come si fa oggi con i pastori di San Gregorio Armeno e costruiscono delle statue in suo onore in tante località. Lu Yu viene venerato, lo chiamano "il Dio del tè".

Ti starai chiedendo come abbia fatto ad arrivare a tutto questo successo visto che in pochi, all'epoca, sapevano leggere: Lu Yu nasce poverissimo ma fin da bambino ha faccia tosta e propensione all'autopromozione. Gira di villaggio in villaggio facendo il clown, inventando degli spettacoli divertenti finché, a 14 anni, incontra un governatore locale che "adotta" il ragazzo e convince la famiglia a spedirlo in montagna per studiare. Nel suo libro sono citati tra i suoi amici del cuore potenti funzionari, teologi buddisti e taoisti, calligrafi e importanti poeti, che ovviamente acquistano e divulgano a loro volta l'opera. Un vero e proprio network messo su con talento, dedizione, coraggio e una piccola dose di fortuna. Grazie al suo ascendente su queste persone, al suo carattere e anche al modo scanzonato di scrivere, figlio della sua precedente carriera circense, conquista il cuore di tutti e cambia il modo di bere il tè. L'influenza che Lu ha sulla classe dirigente cinese è tale che tutta la nobiltà rifiuta categoricamente zuppe e pappe contenenti caffeina per sempre. Su Che, un celebre funzionario cinese, perfino nell'XI secolo (250 anni dopo la morte dell'autore) distrugge tutti gli intrugli speziati proposti dagli chef di corte perché "Lu Yu lo ordina nel libro".

L‘influenza dell'autore non si è fermata alla Cina: perfino in Giappone, nonostante le guerre tra le due nazioni, i religiosi buddisti importano i semi di tè e il celebre trattato di Lu. Pensa che Samuel Pepys, una sorta di Marco Polo britannico, si ferma proprio nel Sol Levante nel 1660 e già considera questa bevanda come cinese proprio perché glielo dicono i giapponesi, discriminando chiunque non bevesse il tè nel modo decantato da Lu Yu.

Il tè si mangia ancora e c'è chi lo beveva anche prima

La grande forza di Lu Yu sta nell'aver saputo diffondere una cultura che prima era solamente localee nell'aver elevato un alimento semplice a vera e propria liturgia. Lui non è stato il primo a bere il tè in infusione, con acqua bollita e pura (quest'ultimo è un elemento che diamo per scontato ma che nel Medioevo non lo è per niente). Soprattutto nei monasteri buddisti i monaci usano il tè durante le sessioni di meditazione e di digiuno. Secondo alcuni studiosi, lo stesso autore avrebbe preso questa abitudine da un monaco buddista conosciuto in infanzia e che forse proprio questo monaco gli avrebbe parlato del potere "magico" della bevanda. In Cina il tè si beve da centinaia di secoli ma solo dal 700 d.C. questo rito è stato "ufficializzato" e consegnato al grande pubblico.

Dall'altro lato della staccionata c'è chi ancora oggi mangia il tè: gli abitanti dell'Himalaya orientale continuano, dopo millenni, a mangiare queste foglie, esattamente come facevano gli antenati delle tribù Palaung. Perfino il metodo di estrazione è lo stesso da millenni: cuociono a vapore e avvolgono il tè in foglie di banana, quindi depositano questi pacchi in delle fosse scavate per terra e raccolgono il risultato dopo mesi di fermentazione per usarlo nel lahpet thoke, una famosa insalata birmana. Anche la tribù Jino che vive al confine tra Cina, Birmania e Laos mangia questo prodotto ma lo fa in salamoia e usa le foglie fresche per insaporire le verdure saltate in padella.

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Quello che i piatti non dicono
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