22 Aprile 2022 11:00

‘O pere e ‘o muss’: tutto sullo street food più strong di Napoli

Una consistenza unica nel suo genere: gelatinosa e al tempo stesso callosa, un'insalata fredda composta principalmente da piede di maiale, muso e centopelle di vitello. Un cibo da strada povero e antichissimo: 'o pere e muss' napoletano.

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L'aspetto non è dei più invitanti, è vero, ma al palato è una goduria. Stiamo parlando del pere e muss' napoletano: piede del maiale e muso del vitello. In pratica si tratta di un'insalata fredda fatta con gli scarti del suino e del bovino, quindi muso, piedi, centopelle (la parte più magra della trippa), a volte perfino le mammelle e la lingua. Pur essendo "un'insalata" è uno dei capisaldi dello street food campano: servita in un cuoppo ben oliato, con sale e abbondante limone, questa pietanza è una delle esperienze più belle che possiate fare sul lungomare di Mergellina e non solo.

Alla scoperta del pere e muss'

Dobbiamo essere onesti: questo non è un piatto per tutti. L'estetica non è delle più appetitose e la stessa consistenza è callosa e gelatinosa, può non piacere. In realtà a dispetto del pregiudizio che si ha verso questa pietanza e questi ingredienti, l'assaggio non è così traumatico: la consistenza è unica nel suo genere, per questo parliamo di "esperienza culinaria", ma i sapori non sono così brutali come ci si aspetta dalle frattaglie. Sale e limone stemperano ed esaltano allo stesso tempo le varie "particelle" di sapore di questi elementi di scarto, resi immortali dall'arte di arrangiarsi tutta italiana.

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‘O pere e muss' partenopeo è un piatto antichissimo, tra i più antichi della tradizione culinaria italiana. Solitamente venduto per strada, in un carretto, in un furgoncino o, cosa più comune, in una sorta di "edicola" votiva sullo stile degli acquafrescai: tutto questo ben di Dio esposto con luci, verdure, acqua che scorre a cascata per tenere sempre fresca la carne. Al contempo è un po' macabro e un po' affascinante, come spesso accade nei fatti della città di Napoli.

Molti napoletani si riferiscono a questo piatto con il generico nome di "trippa", da non confondere con la ricetta calda e col pomodoro, molto simile alla trippa romana, o con la "zuppa ‘e carnacotta", il cosiddetto soffritto napoletano. Questa è tutt'altra cosa: è fredda e va mangiata per strada. Originariamente il piede e il muso erano entrambi del maiale (ancora oggi molti pensano che il "musso" sia del maiale) ma con il boom economico si è passati al muso di vitello. Sta di fatto che pur non essendo una "trippa" nel senso stretto del termine, i venditori di questa pietanza sono chiamati "trippaiuoli".

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Fa tutto parte della tradizione popolare più povera, le parti di scarto "riciclate" da chi non può permettersi nulla di meglio e che, soprattutto, non può gettare via nulla. È la Napoli delle zentraglie, quelle donne costrette a sopravvivere raccogliendo gli avanzi del re, gli scarti delle trattorie, che si son dovute ingegnare per cavare fuori qualcosa dalla "spazzatura" e sfamare i propri figli. Quello delle zentraglie è stato un lavoro ostracizzato dalle classi sociali più alte perché sinonimo di poca cura dell’igiene personale, di donne prive di qualsivoglia briciolo di educazione, di persone poverissime costrette a mangiare i rifiuti. Tra quegli scarti ci sono però dei tesori come il soffritto e "la trippa", due piatti che sono sopravvissuti a guerre e carestie, due piatti che fanno ancor oggi godere chiunque abbia il coraggio di assaggiarli.

Com'è fatto ‘o per' e ‘o muss'

Come arriva a noi questa prelibatezza? Oggi basta andare da un qualsiasi venditore ambulante, chiamato anche "ventraiuolo" oltre che trippaiuolo, per portare a spasso uno dei piatti clou del cibo da strada. Molti mangiano questo piatto anche a casa, comprando pere e muss' dal macellaio di fiducia. Solitamente viene venduto già lessato e il cliente deve solo risciacquare molte volte tutti i pezzi sotto l'acqua corrente, così da eliminare i succhi di cottura e gli eventuali cattivi odori. Nella ricetta tradizionale la parte più importante è proprio la cottura perché deve intenerire i pezzi, senza renderli mollicci. La caratteristica principale di pere e muss' è proprio la callosità quindi questo passaggio è delicato.

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La pietanza ha diverse varianti a seconda dei ventraiuoli che la vendono. Tra gli ingredienti che compongono il piatto, oltre ai canonici piede di porco, muso di vitello, centopelli di vitello (uno degli stomaci dell'animale), possiamo trovare anche il piede del vitello o del capretto, la mammella della mucca da latte, l'utero e il retto della vitella. Queste parti sono molto più rare perché il sapore è grave, contrasta con un'altra caratteristica fondamentale di questo street food: il gusto è rinfrescante, equilibrato, leggero. I venditori ambulanti più accorti chiedono al cliente anche di ulteriori condimenti: gli ingredienti più usati per questa "insalata" sono lupini, olive, finocchi e peperoncino.

Pere e muss', Napoli e non solo

Questo tipo di preparazione è iconicamente partenopea per tutta una serie di ragioni: i carretti sono ancora sparsi per tutta la città, è un cibo apprezzato da grandi e piccini dove magari altrove il gusto è cambiato, c'è tutta una scena social che asseconda il folklore con video visti da milioni di persone. Anche lo show business ha i suoi meriti: i trippaiuoli sono presenti nei video del rapper Liberato, si vedono in Gomorra, Un Posto al Sole e nelle fiction firmate da Maurizio De Giovanni. Non è una tradizione in via di estinzione, tutt'altro. La pop culture è pregna di queste figure e di questo squisito cibo da strada.

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È importante sottolineare però che non si tratta di una tradizione solo partenopea. Non allontanandoci così tanto dal capoluogo campano scopriamo che a Salerno c'è una vivida tradizione e che, ancora oggi, tra Pagani, Scafati, Nocera Inferiore e Superiore esiste la lavorazione casalinga di pere e muss'. Un'esperienza molto verace, con teste e piedi cotti in bidoni colmi d'acqua, sulla falsa riga delle conserve di pomodoro, e tutto il processo seguito dall'intera famiglia fino alle due o alle tre del mattino. I venditori, con i propri carretti, ad aspettare impazienti, pronti a partire fin dalla notte verso Napoli o Salerno, due città più grandi in cui poter vendere tutta quell'abbondanza. Nell'agro-nocerino-sarnese si trovano alcuni dei migliori trippaiuoli di tutta la regione. La tradizione del pere e muss' è presente in tutto l'ex Regno delle due Sicilie: in Molise, Basilicata, Puglia e Abruzzo questi carretti spuntano come funghi nelle feste di piazza. Più rari trovarli in Calabria; in Sicilia invece la tradizione è mutata creando il celebre pani ca’ meusa a Palermo.

Allontanandoci un po' di più dall'epicentro di questa storia scopriamo che alla fine del Settecento i poveri di tutta Italia cuociono piedi di maiale e teste di maiale o vitello per mangiarli con i condimenti più disparati. Pellegrino Artusi cita questo piatto in una riedizione del suo celebre "La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene": secondo il gastronomo emiliano questo piatto è tipico di Piemonte, Toscana, Emilia-Romagna, Umbria, Lazio e Campania. Scavando ancora più a fondo scopriamo che Vincenzo Corrado, il primo cuoco a mettere per iscritto la "cucina mediterranea" nel 1773, dice che pere e muss' da piatto dei poveri diventa un piatto da ricchi grazie a Ferdinando I, il "Re Lazzarone" che amava stare in incognito tra i popolani. Pare che il re Borbone, dopo aver assaggiato questo piatto insieme al suo popolo, decise di farlo preparare anche al Palazzo Reale di Napoli.

Pere e muss' è un piatto storico, legato a Napoli ma appartenente a tutta Italia, una pietanza nata nella povertà più assoluta e capace di conquistare i palati più raffinati dell'Illuminismo e non solo, fino ai giorni nostri.

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Quello che i piatti non dicono
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