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3 Novembre 2022 13:00

Mostarda o senape? Ecco spiegato l’arcano: storia della mostarda e tipologie

Confondiamo senape e mostarda a causa di un disguido linguistico: cerchiamo di capire tutte le differenze attraverso le tante varietà che ci sono in Italia.

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Colorata, profumata, squisita, perfetto accompagnamento per formaggi, carni e perfino dolci: parliamo della mostarda, una conserva antichissima e diffusa in tutta l'Italia centro-settentrionale. Non c'è una ricetta univoca perché variano i frutti a seconda della stagione e della zona in cui si prepara ma, a seconda delle ricette, trovi zucchero o miele, mosto o senape distintamente. Andiamo alla scoperta dei segreti della mostarda, partendo da un grande dubbio culinario che confonde tante persone.

La differenza tra la mostarda e la senape

Il termine "mostarda" è un equivoco intrinseco perché in Italia spesso ci riferiamo a questo prodotto per indicare la senape, soprattutto al Sud dove la conserva non è così usata. La confusione è data dalle dominazioni passate e da un'errata traduzione: in francese la senape si chiama "moutarde", da qui l'ambiguità del nome.

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La cosa divertente è che francesi e inglesi (che invece la chiamano mustard) hanno preso il nome dal latino mustum ardens, ovvero "mosto ardente/piccante" e noi lo abbiamo acquisito nel modo sbagliato da loro: un giro incredibile che ci ha tratto in inganno. Non è questo l'unico motivo di confusione però: ad esempio a Cremona, Mantova e in alcune zone del Veneto la mostarda contiene tanti elementi piccanti e molta senape, ma è priva di mosto, mentre a Carpi, in Piemonte e in alcune zone del Centro sud hanno il mosto ma non la senape.

In Emilia Romagna c'è frutta mista ed è a base di mosto ma puoi trovare o non trovare la senape a seconda di chi la prepara, tranne a Bologna dove la mostarda può essere senza mosto né senape o contenerli entrambi. In tutto ciò è bene tenere a mente che spesso la senape è un ingrediente della mostarda stessa.

Sei più confuso di prima? Ti capiamo. Tieni a mente che sono due cose diverse e che la senape di Digione (o mostarda di Digione) è la più comune che trovi in commercio ed è molto diversa dalle nostre mostarde: tra gli ingredienti troviamo senape bruna, aceto, sale e acido citrico. A seconda delle varianti, si possono aggiungere anche spezie e aromi come curcuma, paprika, aglio: questi elementi mancano sempre nelle mostarde italiane.

Le più famose e buone tipologie di mostarda

Abbiamo contribuito a creare questo caos allora cerchiamo di districarci tra le varie tipologie di mostarda.

Partiamo da quella semplice, da quella "tradizionale" se così vogliamo dire, o meglio da quella che puoi trovare al supermercato. Preparata con diversi tipi di frutta, si rifà alla mostarda di Cremona, la più celebre e diffusa, preparata con mele, pere, mandarini, fichi, cedro e ciliegie. Solitamente si usano le mele cotogne ma non è un obbligo: è un sublime accompagnamento al bollito misto e al pollo.

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Discorso diverso per la mostarda di Mantova che pretende la mela campanina, una varietà di frutta molto piccola e dal gusto dolce-acidulo, è usata anche come ingrediente nei tortelli di zucca (se trovi la mela cotogna non ti scandalizzare, le campanine sono piuttosto rare).

Altrettanto celebre è la mostarda bolognese, quella più densa di tutte, con  mele cotogne, pere, prugne secche, mandorle sbucciate, uvetta sultanina, cannella e scorza di limone. Molto interessante anche la mostarda di Voghera, simile a quella cremonese ma con uno sciroppo aromatizzato alla senape che stempera la piccantezza.

Impossibile poi ignorare la mostarda di Cognà, quella più scura e vellutata perché a base di uva nera di Barbera, Dolcetto o Moscato, con mele cotogne, zucca, pere, fichi, prugne, noci, nocciole tostate, scorza d’arancia e di limone. Probabilmente è la più dolce del lotto.

Abbiamo poi le due antichissime tipologie toscane: la più famosa oggi è a base di uva, mele, pere, vin santo e cedro candito, si accompagna a bolliti e arrosti; quella più antica è invece a base di uva Canaiolo e cedro candito.

Sebbene sia un prodotto tipicamente nordico e adattissimo al freddo Natale del settentrione, anche al Sud c'è una versione di mostarda, molto diversa da quelle nordiche: più semplice e dolce viene fatta con mosto, noci e fichi. Tipica di Sicilia e Puglia, non molto utilizzata nelle altre regioni meridionali.

La storia della mostarda

Oggi la mostarda viene percepita come una preparazione elegante e raffinata ma in realtà la sua origine è estremamente umile. I contadini devono fare i conti con i mesi invernali e così si inventano questa tipologia di conserva per far durare la frutta il più a lungo possibile.

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In base alle fonti storiche sappiamo che la sua ricetta viene messa a punto nel Medioevo e arriva alla versione che conosciamo oggi nel 1600; l'uso del mosto cotto per la conservazione della frutta è molto più antico, usato proprio in combinazione col miele dai Romani.

La mostarda "senapata" moderna la dobbiamo, probabilmente, agli speziali del Medioevo o del Rinascimento dell'area lombarda ma anche in questo caso le fonti storiche sono confusionarie e imprecise. Le notizie certe sono sulla mostarda di Carpi, citata nel 1621 tra i doni a un membro dello Stato Pontificio; sulla mostarda romagnola e sulla mostarda toscana perché le cita Pellegrino Artusi nel 1891. Ci sarebbe poi una menzione più antica, risalente addirittura al ‘500 in uno scambio epistolare di Berni, ma viene semplicemente nominata, non sappiamo né la tipologia né se il riferimento fosse alla mostarda per come la intendiamo oggi.

La mostarda di verdure

Tutte queste varietà di mostarda ci devono far aprire gli occhi su un punto: più che un prodotto si tratta di un metodo di preparazione, per questo possiamo farla in così tanti modi. I contadini dell'800 devono aver intuito questa cosa e cominciano a sostituire la frutta con la verdura a seconda delle zone d'Italia, del periodo e della disponibilità degli ortaggi. Oggi troviamo mostarde con peperoni, finocchi, cetrioli, melanzane, zucche, cipolle, pomodori. Basta aggiungere zucchero o miele, vino bianco, senape e succo di limone: in pratica è come una giardiniera ma ha note più dolci e piccanti, mentre la preparazione tipica delle cascine piemontesi ha invece nell'acidità il suo gusto più accentuato.

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Quello che i piatti non dicono
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