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27 Aprile 2023 15:00

Alla scoperta del Caciocavallo silano Dop, eccellenza di cinque regioni

Tra i più antichi formaggi a pasta filata del Mezzogiorno, il Caciocavallo silano Dop deve il suo nome all'abitudine di appendere le forme in coppia a cavallo di assi.

A cura di Monica Face
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Forme di formaggio tonde o ovali, con o senza testine, legate in coppia e appese a stagionare: probabilmente l’origine del nome è del nome è legato a questo. Ma di questo tipologia di formaggio in Italia, in particolare al Sud, ne esistono diversi tipi, come il caciocavallo impiccato o quello dell'emigrante. Tra i vari c'è anche il Caciocavallo silano Dop, di cui oggi scopriamo metodo di produzione, le caratteristiche e ma soprattutto i suoi usi in cucina.

La zona di produzione

Le prime notizie certe sul caciocavallo silano Dop risalgono al 500 a.C. anche se successivamente nei documenti di vari autori latini, tra cui Plinio, si trovano più citazioni sul butirro, una sorte di antenato del caciocavallo. Dunque meno popolare di altre lavorazioni ma comunque molto antico, il caciocavallo è arrivato fino ai giorni nostri pronto per essere gustato a crudo o cotto.

La denominazione "silano" è evidentemente legato alla zona di produzione, che comprende ben cinque regioni: la Calabria (in particolare le aree interne delle province di Crotone, Vibo Valentia, Catanzaro e Cosenza), la Campania (soprattutto la zona di Avellino, Benevento, Caserta e Napoli), il Molise (con le province di Isernia e Campobasso), la Puglia (le zone delle province di Bari, Taranto e Brindisi) e la Basilicata (Matera e Potenza).

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Metodo di produzione

Una volta raccolto, il latte viene lavorato con caglio di vitello o di capretto,  alla temperatura di 36-38 °C. Poi, raggiunta la giusta consistenza, si procede alla rottura della cagliata fino a ottenere grumi della dimensione di una nocciola, messi a riposare per un periodo che va dalle 4 alle 10 ore. Per verificare il giusto punto di maturazione si fa la prova della filatura, ossia si preleva una parte di impasto e si lavora fino a raggiungere la forma desiderata: se la pasta fila, si procede con la modellazione, per dare la forma desiderata e, laddove prevista, si procede anche alla formazione della testina. Le forme vengono poi immerse in acqua fredda per la salatura, per un minimo di 6 ore, dopo di che vengono legate e appese a coppie, per almeno 30 giorni. La produzione si può dire completa solo dopo la marchiatura.

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Caratteristiche organolettiche

Caratterizzato da un'elevata concentrazione di vitamine, proteine e sali minerali, dovuta alla considerevole quantità di latte utilizzato per la sua produzione (ne servono ben 10 litri per ogni chilogrammo di formaggio), il Caciocavallo silano Dop ha una forma ovale o conica, può avere o meno la testina e solitamente presenta lievi insenature in corrispondenza dei legacci. L’odore ha intensità aromatica medio bassa o media, a seconda della stagionatura. La crosta è sottile e liscia di colore giallo paglierino, mentre la pasta ha una consistenza omogenea con qualche piccola sfoglia, di colore giallo paglierino. Il sapore è aromatico, delicato e tendenzialmente dolce ma tende a diventare più piccante man mano che aumenta la maturazione.

Cosa usarlo in cucina

Puoi acquistarlo in forme intere, di circa 2-3 kg, o porzionato in spicchi o tranci, con un costo intorno ai 30 euro al chilo. La cosa che devi tenere presente per verificarne l'autenticità è la forma impressa con il marchio a fuoco. Una volta a casa meglio conservarlo in un luogo fresco e asciutto, o in frigorifero posizionandolo nel ripiano meno freddo, intorno ai 4 °C, e lasciandolo a temperatura ambiente per almeno mezz’ora prima di mangiarlo.

Ottimo gustato a crudo, puoi provare a squagliarlo sulla piastra oppure a usarlo in preparazioni per esempio per arricchire un risotto oppure per farcire una torta salata. Essendo un prodotto tipico di ben 5 regioni, sono molti i piatti tipici che lo vedono protagonista: tra i tanti le bombette pugliesi, gli anelletti al forno, la pasta incasciata, o le melanzane ammuttunate.

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Quello che i piatti non dicono
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