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2 Aprile 2022 15:00

Differenze tra Doc, Docg, Dop, Igt, Igp: mini guida alle certificazioni di cibo e vino

Quali sono le certificazioni di qualità riferite a cibo e vino? Quali le denominazioni di garanzia degli alimenti? Cerchiamo di spiegare le sostanziali differenze tra Doc, Docg, Dop, Igt e Igp.

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A cura di Alessandro Creta
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Sigle molto simili, facili da ricordare ma che nascondono un mondo decisamente più complesso. Si tratta delle certificazioni dei prodotti enogastronomici. Cosa si cela dietro questi acronimi? Cosa significa “assicurare” a un alimento o un vino uno di questi marchi? Abbiamo realizzato un mini vademecum cercando di spiegare le sostanziali differenze tra Doc, Docg, Dop, Igt e Igp. Alcune di loro indicano solamente prodotti enoici, altre anche alimenti.

Metti una sera a cena…

Siamo stati invitati a cena da amici, magari per celebrare un’occasione speciale, e per fare bella figura decidiamo di acquistare qualche prodotto di qualità (Un vino? Un bel prosciutto? Un formaggio particolare?) lasciandoci esclusivamente guidare dalla presenza di certificazioni di garanzia che ritroviamo sulle etichette. Già, ma tra le tante a quale affidarci? E con quale potremmo fare più bella figura alla nostra cena tra amici?

Doc, Dop, Docg, Igt, Igp: dimenarci nel mondo delle certificazioni di qualità non è certo facile, e un consumatore poco consapevole potrebbe rimanere spiazzato o confuso di fronte a tutte queste sigle di garanzia, capaci di influenzare scelte e valutazioni in fase di acquisto. Se memorizzarle, e "decriptarle", non è impresa complicata, per molti potrebbe essere più difficile sapere cosa significano nello specifico.

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A quali prodotti si riferiscono? Quali sono le maggiori differenze tra una e l’altra? Proviamo a dimenarci in questo marasma di sigle e acronimi strettamente legati all’enogastronomia.

Cosa significano Doc, Docg, Dop, Igt e Igp

Tra le varie differenze, tutte le certificazioni hanno un aspetto in comune. In ogni caso infatti sono previsti dei disciplinari di produzione, con commissioni apposite addette a verificare e garantire l’assegnazione di questi marchi di garanzia ai prodotti per cui si è fatta richiesta.

 1. Doc: denominazione di origine controllata

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Con questo termine si intende la denominazione di origine controllata, certificazione di garanzia tutta italiana e nata nella prima metà degli anni Sessanta. Il primo vino a fregiarsi di questo marchio fu il bianco Vernaccia di San Gimignano. Va specificato come la sigla si sia sempre riferita solamente ai vini, certificandone la zona di origine, la raccolta e lavorazione delle uve, nonché il terroir. Questo è delimitato da un preciso disciplinare che definisce e tutela la natura dei terreni, i vitigni, ma anche particolari metodi di produzione e le caratteristiche che avrà il prodotto finito (come acidità e gradazione alcolica minima).

Una commissione specifica funge da garante di controllo per soddisfacimento di precisi requisiti, sia dal punto di vista organolettico sia da quello chimico/fisico. Dal 2010 la sigla è stata inclusa nella denominazione di origine protetta Dop (istituita, invece, a livello europeo), ma il suo utilizzo è ancora consentito. Oggi sono più di 300 i vini a fregiarsi di questa certificazione, praticamente a rappresentanza di ogni regione del Paese.

Tra i vini Doc prodotti citiamo il Montepulciano d’Abruzzo (prodotto nelle province di Chieti, L’Aquila, Pescara, Teramo), l’Aglianico del Vulture (provincia di Potenza), Lacryma Christi del Vesuvio, Est!Est!!Est!!! di Montefiascone (Viterbo), il Barbera o il Dolcetto d’Alba (Asti e Cuneo) o il Cannonau di Sardegna, prodotto in tutta la Regione, e molti altri ancora.

 2. Docg: denominazione di origine controllata garantita

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Strettamente legata al marchio Doc è la Docg, certificazione che un vino può ottenere dopo almeno 10 anni di “mantenimento” della denominazione di origine protetta. Non tutti i prodotti, trascorso questo lasso di tempo, possono però fregiarsi di questo update. Essendo la Docg la massima certificazione italiana in ambito enoico, solo i vini ritenuti di particolare pregio e qualità potranno esserne riconosciuti.

L’esame, anche sensoriale (l’assaggio è effettuato da una commissione), e il controllo, oltre alla fase di produzione, riguarda pure il processo dell’imbottigliamento (per esempio, tolte poche eccezioni, è consentita la chiusura solo con tappi di sughero e i contenitori devono essere inferiori ai 5 litri). Una resa per ettaro limitata, una precisa gradazione alcolica, colore, gusto e profumi precisi sono altre tra le caratteristiche considerate dai disciplinari per la certificazione di origine controllata e garantita. Anche la Docg, così come la Doc, dal 2010 è riconosciuta all’interno della categoria comunitaria Dop.

Montepulciano d’Abruzzo della provincia di Teramo, Frascati Superiore (Roma), Franciacorta (Brescia), Barolo (Cuneo) e il Brunello di Montalcino (Siena, il primo nel 1980 a ricevere la certificazione) sono solamente alcuni dei vini (oggi 77) a marchio Docg.

 3. Dop: denominazione di origine protetta

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Come detto la Dop è una certificazione più recente rispetto alla Doc, è utilizzata in ambito europeo e in Italia ingloba le stesse Doc e Docg, comprendendone i prodotti. In comune condividono per legge il riconoscimento di un preciso territorio di produzione, delimitato da un apposito disciplinare, e per quanto riguarda la Dop non ci si riferisce solo a prodotti enoici, ma anche alimentari.

La Dop indica un prodotto la cui lavorazione è avvenuta nella stessa area geografica (specificata nel disciplinare) dalla quale provengono le materie prime e da cui ne trae il nome. Ne è un esempio il prosciutto di Parma, per il quale i maiali devono nascere, essere allevati e poi lavorati nella medesima zona di produzione. Pure particolari caratteristiche climatiche e territoriali sono considerate nel disciplinare di produzione.

Vini, birre, aceti (come quello Balsamico Tradizionale di Modena), carni, formaggi (Puzzone di Moena), la mozzarella di Bufala campana, salumi, miele sono solamente alcuni dei prodotti che, rispettando il disciplinare e i requisiti previsti per legge, possono fregiarsi della denominazione di origine protetta a livello comunitario. L’elenco completo è consultabile sul sito del Ministero delle politiche agricole alimentari.

 4. Igt: indicazione geografica tipica

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L’indicazione geografica tipica nasce nel 1992. Dal 2010 è compresa nel marchio Igp (europeo, che vedremo tra poco), come la Doc e la Docg sono “inglobate” della Doc. Anche in questo caso ci si riferisce esclusivamente ai vini, le cui uve devono provenire almeno all’85% dall’area geografica indicata, genericamente ampia (o comunque più ampia rispetto, per esempio, alla Doc) e con indicate particolari caratteristiche organolettiche.

Il disciplinare che regola la realizzazione di prodotti di indicazione geografica tipica è generalmente meno restrittivo rispetto, per esempio, a quello che definisce i vini Doc e Docg. Alcuni prodotti che non rispondono a requisiti per ottenere queste ultime due certificazioni, infatti, possono invece essere riconosciuti dall’Igt. Un vino che per cinque anni mantiene l'indicazione geografica tipica, comunque, solitamente viene ammesso tra quelli a denominazione di origine controllata.

 5. Igp: indicazione geografica protetta

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Il marchio Igp, in poche parole, potrebbe considerarsi la versione “più permissiva” della Dop. A differenza dell’Igt non comprende solamente vini ed è riconosciuto a livello europeo. Presuppone che almeno una delle fasi di produzione, trasformazione ed elaborazione del prodotto avvenga all’interno di un’area geografica determinata, con il rispetto delle regole previste dal disciplinare di produzione è garantito da un organismo competente.

La differenza maggiore con la Dop, insomma, è che l’Igp permette come anche una sola delle fasi di lavorazione avvenga all’interno del territorio specificato. Le materie prime, per esempio, possono essere di origine nazionale, comunitaria e a volte anche extra comunitaria, ma qualora la lavorazione e/o la produzione avvengano nell’area geografica indicata, allora l'alimento può fregiarsi dell’Igp. L'arancia rossa di Sicilia, la mortadella Bologna, la lenticchia di Onano (Viterbo) e la bresaola della Valtellina solo alcuni dei prodotti alimentari nostrani riconosciuti con l'indicazione geografica tipica.

 6. Pat e De.Co

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Fieno di Canepina De.Co – Ph: Officina Visiva

Si intendono per Pat i prodotti agroalimentari tradizionali mentre con De.Co quelli a denominazione comunale. Sono indicazioni riconosciute solamente su territorio italiano, riferite ad alimenti e preparazioni (anche bevande) che il Governo ha deciso di tutelare. Per la prima indicazione ci si riferisce a prodotti "…ottenuti con metodi di lavorazione, conservazione e stagionatura consolidati nel tempo, omogenei per tutto il territorio interessato – specifica il decreto legge del 2000 – secondo regole tradizionali, per un periodo non inferiore ai venticinque anni".

Il marchio De.Co è specifico di prodotti legati a un territorio ancor più limitato, significativi per un determinato comune e strettamente legati alla sua storia. Non si tratta di un marchio, ma di una denominazione assegnata da un provvedimento comunale. Ne è un esempio il Fieno di Canepina, una particolare pasta all'uovo di un piccolo paese in provincia di Viterbo.

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A cura di
Alessandro Creta
Laureato in Scienze della Comunicazione prima, Pubblicità e Marketing poi. Giornalista gastronomico per professione e mangiatore seriale per passione, mi piace navigare tra le pieghe del cibo, perché il food non è solamente cucina, ristoranti e chef. Appassionato di olio evo ma anche di viaggi, sono particolarmente incuriosito da cibi strani e sconosciuti. Mi fate felice con un Verdicchio. Mi trovate su Instagram: @cretalex
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