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15 Agosto 2025 16:00

Perché il pranzo di ferragosto è così importante? Origini e tradizioni di una festa tutta italiana

Dagli antichi Romani a Mussolini, ecco la storia del perché si festeggia il 15 agosto mangiando, possibilmente lontano dalla città, in famiglia e con ricette più rappresentative della grigliata.

A cura di Federica Palladini
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Ferragosto è molto più di una semplice data sul calendario: è uno dei momenti iconici dell’estate italiana, quando le città si svuotano e le tavole si riempiono sotto il segno della convivialità e di piatti che sono diventati un vero e proprio simbolo delle festa. Il pranzo del 15 agosto, infatti, anche se nel corso del tempo si è aperto alle ricette più disparate, per molti fa ancora rima con timballi, pasta al forno, lasagne, cibi che arrivano in realtà da lontano e che si sono radicati nei secoli nelle nostre abitudini, magari cambiando forma, ma non sostanza. Andiamo insieme alla scoperta di questo rito collettivo e del perché è strettamente legato al concetto di gita fuori porta.

Ferragosto: dall’Imperatore Ottaviano Augusto a Mussolini

Iniziamo dal principio: il termine “ferragosto” deriva dal latino Feriae Augusti, ovvero “il riposo di Augusto”. Fu l’Imperatore Ottaviano a istituire questa festività, inaugurata il 1° agosto del 18 a. C., come momento di sosta dopo le grandi fatiche agricole. Era un’occasione per celebrare i raccolti, ringraziare dei della fertilità e concedere una tregua al lavoro nei campi. Un giorno di stacco che si univa ad altre ricorrenze tipiche del mese, come i Nemoralia (dal 13 al 15 in onore di Diana, la dea dei boschi e della caccia), i Vinalia rustica (il 19, per Giove, affinché portasse una buona vendemmia) e i Consualia (il 21 agosto, per il dio Conso, protettore dei granai). Si organizzavano corse di cavalli, banchetti, spettacoli circensi e i padroni porgevano dei doni ai propri servi, in un clima di condivisione e spirito di comunità.

Con l’avvento del Cristianesimo, il Ferragosto pagano si è progressivamente fuso con l’Assunzione di Maria Vergine, spostandosi nel giorno che tutti conosciamo, ovvero il 15 di agosto, assumendo un forte significato religioso: ecco fioccare processioni mariane in tutta la Penisola, in particolare nelle aree rurali.

Sarà il fascismo, negli anni ‘30, a dare il profilo fortemente identitario che ha tutt’ora, appropriandosi abusivamente dell'eredità storica della Roma Imperiale, epoca particolarmente cara in senso “patriottico” al Duce: Mussolini nel 1931 introduce i cosiddetti Treni popolari di Ferragosto, che consentivano, grazie a biglietti a prezzi ridotti, alle famiglie meno abbienti di concedersi uno svago al mare o in montagna, stimolando così il consenso. Durante queste gite il cibo lo si portava da casa: ecco che “nasce” il pranzo al sacco, quello composto dalla teglia di pasta al forno, dalla frittata di maccheroni e dal vino, che si gusta all’ombra di un albero, così come in spiaggia.

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I piatti della tradizione del pranzo di Ferragosto

Da qui si può già intuire come le radici del pranzo ferragostano siano complesse e, pure, sorprendenti: dietro c’è un intero linguaggio gastronomico fatto di tradizioni condivise e storie familiari, dove la “cucina della nonna” ha origine dai piatti delle feste dei contadini di Carlo Magno. Ebbene sì, perché diffuso da Nord a Sud, ben prima delle moderne grigliate, era era l’impiego di oche, anatre ed altri volatili da cortile, considerate un tempo una forma di ricchezza in tavola: alcuni proverbi toscani citano “Per Ferragosto, piccioni e anitre arrosto”, mettendo nel menu regionale proprio i due uccelli. In quel di Foggia compare il galletto o “galluccio” ripieno, con una farcia a base di erbe aromatiche e pane raffermo, mentre a Roma sappiamo essere una star il pollo con i peperoni, accompagnato dal vino dei Castelli. L’oca in porchetta è tipica dell’Umbria e nel perugino si condiscono gli gnocchi con il sugo di papera.

Dal “pranzo al sacco” sopra citato, pratico da trasportare, ma non per questo light, derivano alcune delle specialità del territorio più note. Qualche esempio cult? Gli zitoni di Ferragosto della Costiera Amalfitana, con un sugo di pomodori freschi, secchi e capperi, che per essere portati in giro vengono ripassati al forno con mozzarella di bufala e parmigiano; la tiella barese chiamata semplicemente “riso, patate e cozze” dagli elementi che la compongono o la parmigiana di melanzane in Puglia, mentre in Calabria a farla da padrona è la pasta pasta chijna, con la salsa al pomodoro che si arricchisce di polpettine di carne, uova sode, caciocavallo e molto altro. Nelle Marche, poi, ecco appaiono i vincisgrassi, un timballo di pasta che ricorda le lasagne in chiave ancora più sontuosa, con le rigaglie di pollo nelle versioni tradizionali.

E i dolci? Pure loro raccontano la geografia dei sapori italiani. In Piemonte, sulle sponde del Lago Maggiore, fanno capolino le eleganti Margherite o Margheritine di Stresa, biscotti burrosi messi a punto nel 1857 dal pasticciere Pietro Antonio Bolongaro dell’omonima pasticceria in onore della principessa di Savoia. A Napoli si sgranocchia un tarallo dolce al limone, da abbinare al caffè, e il gelo di melone (o mellone, così come si indica l’anguria) corona il pranzo del Ferragosto siciliano.

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Quello che i piatti non dicono
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