Dalle polpette ai fiori di zucca fritti: i piatti preferiti di Giacomo Leopardi sono un vero e proprio omaggio al peccato di gola. A Napoli è conservato un foglio su cui, fronte-retro, sono elencati i suoi 49 piatti preferiti consumati a Napoli e cucinati dal suo chef personale, Pasquale Ignarra.
Un foglio di carta avorio, lungo e sottile, una scrittura chiara e precisa, con un inchiostro bruno che è sopravvissuto al tempo: così Giacomo Leopardi fa giungere fino a noi i suoi 49 piatti preferiti. La lista racchiude tutti i piatti realizzati a Napoli a partire dal 1833, anno del suo arrivo nella città partenopea insieme all'amico e biografo, Antonio Ranieri e a Pasquale Ignarra, il suo cuoco personale. L'elenco è diventato virale sui social ed è presente in "Leopardi a tavola", un libro curato da Domenico Pasquariello e Antonio Tubelli. Nel volume si fa luce su un aspetto meno noto dell'autore di Recanati: la sua grande passione per la gastronomia. Nell'immaginario collettivo la figura di Leopardi è malinconica e malconcia ma, almeno stando alla lista che ci ha lasciato, a tavola se la godeva alla grande: zucca fritta, ricotta fritta, gnocchi, polpette.
La lista dei 49 cibi preferiti di Leopardi è stata nascosta per anni, custodita da collezionisti bibliofili e studiosi del grande autore italiano. Si trova alla Biblioteca Nazionale di Napoli insieme alle carte autografe del poeta di Recanati ed è stata portata in auge dal libro uscito nel 2008 e dalle pagine Facebook negli ultimi mesi. I piatti elencati spaziano tra la tradizione partenopea e marchigiana, ci sono molti fritti e molte paste; ci consegna la visione di un Leopardi pantagruelico a tavola, in grado di godersi i piaceri della vita:
Per anni ci siamo immaginati un "giovane favoloso" sempre chino sulle carte, impegnato nello studio matto e disperatissimo. L'interesse per il buon cibo è stato invece pregnante nella vita di Giacomo Leopardi e questo lo si sottolinea molto nel film del 2014 di Mario Martone con Elio Germano nei panni del poeta. Proprio in questa pellicola vediamo più volte Germano al tavolino di un bar, intento a godersi un buon gelato. Stranamente il gelato non è segnalato nella lista ma è stato appurato che Leopardi adorasse questo dolce: pare che mangiasse avidamente sia i gelati sia le granite da Vito Pinto, un bar ormai scomparso di piazza Carità a Napoli. Adorava anche i confetti, li adorava al punto che, secondo qualcuno, furono proprio loro la causa della sua morte: si dice, infatti, che il poeta morì per un'indigestione di cannellini acquistati dalla signora Paolina il giorno di Sant'Antonio.
La salute cagionevole che ha accompagnato per tutta la vita il poeta marchigiano ha fatto sì che fosse sempre sotto controllo, ma su certe cose Leopardi era intransigente. Gli era stato vietato di bere caffè e di ridurre i dolci ma l'autore disobbedì a tutte le prescrizioni, nonostante le reticenze del cuoco Ignarra, una figura molto importante alla fine della vita dello scrittore.
La figura di Pasquale Ignarra è stata fondamentale per Leopardi perché, grazie a lui, "sugli occhi di Leopardi vidi apparire un barlume di letizia che non gli avevo mai scorto". Almeno così scriveva Antonio Ranieri nelle sue memorie, ricordando gli anni di sodalizio con il poeta di Recanati. Oltre ad essere un classico monzù dell'epoca, Ignarra è stato anche un grande rivoluzionario: partecipò attivamente alla creazione della Repubblica Napoletana, un’entità statuale proclamata a Napoli nel 1799, ed esistita per alcuni mesi prima della soppressione dei francesi. A questa "utopia", oltre a persone del popolo, parteciparono intellettuali di spicco come Eleonora Piementel Fonseca, Luisa Sanfelice e Francesco Caracciolo.
Nella lista leggiamo di spinaci e cavolfiori certo, ma le verdure sono una percentuale bassissima della dieta leopardiana. Il poeta prediligeva cibi grassi, ipercalorici e fritti. L'odio che Leopardi aveva per le verdure è notissimo grazie a un suo componimento giovanile, molto giovanile. All'età di 11 anni il piccolo nobile decise di schierarsi contro le verdure, le minestre e tutti i piatti affini attraverso una poesia goliardica dal titolo inconfondibile, "A morte la minestra":
Metti, o canora musa, in moto l’Elicona
E la tua cetra cinga d’alloro una corona.
Non già d’eroi tu devi, o degli Dei cantare,
ma solo la Minestra d’ingiurie caricare.
Ora tu sei, Minestra, dei versi miei l’oggetto,
e dirti abominevole mi porta gran diletto.
O cibo, invan gradito dal gener nostro umano!
Cibo negletto e vile, degno d’umil villano.
Si dice, che resusciti, quando sei buona, i morti;
Ma il diletto è degno d’uomini invero poco accorti!
Una vera e propria "dichiarazione di guerra" alle verdure, che fa sorridere pensando a quanto sembri un capriccio infantile e fa anche pensare perché Leopardi a 11 anni era già in grado di tirar fuori un componimento del genere.