
C’è chi storce il naso al solo sentire la parola “surrogato” e chi, invece, considera le alternative al caffè un alleato prezioso. Fatto sta che orzo, cicoria e, perfino, fichi si impiegano ancora oggi per realizzare dei sostituti alla bevanda più amata dagli italiani: ma, appunto, non da tutti gli italiani. Per motivi di salute, gusto o abitudini, non sempre il caffè, con relativa caffeina, rientra nella dieta ed è qui che compaiono i surrogati facendo finire nella tazzina radici, cereali e legumi. Questi sostituti, però, non nascono da esigenze moderne. In passato, soprattutto nei periodi di guerra, erano ampiamente usati per ragioni decisamente differenti: il caffè costava troppo o scarseggiava e bisognava per forza ricorrere a soluzioni economiche o variazioni sul tema con quello che si aveva a disposizione.
Cosa s’intende per surrogato
Per definizione il termine surrogato indica qualcosa che sostituisce l’originale, solitamente associato a una qualità inferiore. Nel caso del caffè, però, non sarebbe corretto parlare di un declassamento: certo, storicamente, l’obiettivo principale era quello di trovare alternative a un prezzo minore, ma non è detto che l’esperienza si riveli meno piacevole. Al posto dei chicchi della pianta del caffè, infatti, si ricorre a succedanei che non contengono caffeina, quindi adatti a chi non non può o non vuole assumere questa sostanza psicoattiva, tostando e macinando tipologie differenti di cereali, semi, radici e persino frutta essiccata.
Origini
Potremmo dire che la storia dei surrogati del caffè va a braccetto con il caffè stesso e la sua diffusione, con quest’ultimo che inizia a farsi conoscere in Europa nella seconda metà del Cinquecento. Dopo almeno un paio di secoli di diffidenza, la bevanda conquista le classi nobiliari in primis e poi quelle borghesi come prodotto di lusso, che giungeva nel Vecchio Continente attraverso i territori al di là dei mari. Un prodotto di cui vogliono godere sia gli stati che non beneficiano di possedimenti con piantagioni, sia le classi meno abbienti, ingegnandosi con versioni più economiche partendo da altre piante, legumi e cereali.
Ma è soprattutto nei periodi di crisi tra il XVII e il XIX secolo, dovuti alle molteplici guerre e ai blocchi delle importazioni, che il caffè diventa merce rara e che i surrogati iniziano la loro carriera. Tra le prime alternative utilizzate c’è la cicoria, disponibile in abbondanza nell’Europa del Nord: per esempio, nel 1770 la pianta viene coltivata allo scopo di trasformarsi in uno pseudo caffè in Prussia, grazie a un privilegio accordato dal sovrano Federico II.

Per quanto riguarda l’Italia, dopo la pace della Belle Epoque, con il caffè che registra un'altissima richiesta nel nostro Paese, sono gli anni della Grande Guerra, del fascismo e del Secondo conflitto mondiale a vedere protagonisti i surrogati che restano un ricordo indelebile legato a quel periodo buio per coloro che l'ha vissuto. Il caffè, infatti, scarseggia nell’ambito dell’economia di autarchica imposta da Mussolini, fino a diventare introvabile: veniva importato esclusivamente dai paesi del Corno d’Africa dell’Impero coloniale italiano che finisce nel 1941 con la sconfitta dell’esercito da parte degli inglesi nella Campagna d’Africa. Le soluzioni? Si incentiva il consumo di “finti caffè” a base di cicoria, orzo e perfino ghiande, responsabili queste ultime della bevanda conosciuta come “ciofeca” e passata ai posteri come parola dispregiativa proprio per definire un caffè cattivo.
I principali surrogati
Rispetto a quello che ci si può immaginare, le materie prime con cui preparare un caffè-non-caffè sono molteplici: abbiamo già citato le ghiande come base insolita, a cui si aggiungono pure le nocciole, i funghi, le pere essiccate, alternative che, però, sono ormai in disuso o poco considerate. Quali sono quelle che ancora, invece, resistono o stanno riscuotendo un rinnovato interesse? Di seguito, ecco le principali da conoscere.
1. Caffè d’orzo

Iniziamo da quello più famoso: lo si trova facilmente al bar e al supermercato, solubile e in capsule. Si tratta della scelta più comune quando si vuole sostituire il caffè e si ricava dall’orzo mondo, decorticato, tostato e macinato. Per il suo gusto morbido, leggermente amaro e l’assenza di caffeina è adatto anche ai bambini.
2. Caffè di segale

Sapore rustico e deciso, è un “caffè” che in passato veniva largamente consumato dalle famiglie contadine nelle zone alpine (in particolare quelle dell’Alto Adige) e nel Nord Europa, dove questo cereale cresce in abbondanza (e con cui si fa il pane nero). Adesso lo si trova soprattutto nel mercato statunitense e canadese, con la segale ampiamente usata anche nella produzione del rye whiskey.
3. Caffè di cicoria

È forse il surrogato più “storico” d’Europa. Le radici di cicoria, una volta essiccate e tostate, sviluppano un aroma intenso e amaricante, simile a quello del caffè tradizionale grazie al suo contenuto di inulina. Durante l’Ottocento era in voga in molti stati, in particolare in Germania: in Italia ha avuto grande popolarità soprattutto durante il ventennio fascista, comprato dalle fabbriche tedesche.
4. Caffè di malto

Deriva dalla germinazione dell’orzo che viene messo in ammollo per estrarne gli amidi. I semi, in seguito, vengono fatti essiccare e poi tostati: durante la tostatura gli zuccheri caramellizzano, donando un profilo delicato e che tende al dolce.
5. Caffè di fichi

Può sembrare sorprendente, ma i fichi sono stati a lungo una delle materie prime maggiormente impiegate per realizzare surrogati del caffè. Si usano i fichi secchi che vengono macinati e poi tostati: una polvere fruttata che per consuetudine non si usa in purezza, ma per realizzare miscele con caffè classico, orzo e/o cicoria, per blend che variano di aroma e di gusto.
6. Caffè di lupini

Concludiamo con una chicca, simbolo di un piccolo paese del Trentino-Alto Adige a quota 1200 metri, dimenticata per molto tempo e che è stata riscoperta negli ultimi anni, diventando nel 2022 Presidio Slow Food. Stiamo parlando del lupino di Anterivo, un legume che i contadini della Val di Fiemme, specialmente nell’800, avevano nel proprio orto: serviva come cibo per il bestiame, ma anche per essere tostato e messo in infusione nell’acqua, creando così un tipico sostituto del caffè che tutti si potevano permettere.