Un pane antico tipico di tutto l'arco alpino fatto con segale e altri cereali integrali. Nato in un'abbazia in provincia di Bolzano, oggi è tipico soprattutto in Valle d'Aosta e molto diffuso fra le cosiddette "perle alpine": Chamois, La Magdeleine e Cogne. Un pane fatto una volta l'anno, ma conservato a lungo nei mesi invernali, protagonista di gustose ricette.
Esiste in Italia un pane antico che accomuna tutta una catena montuosa: il pane nero delle Alpi. Nato in Trentino ma diventato famoso sulle cosiddette "Perle alpine", tre città che sorgono sull’arco alpino in Valle d’Aosta, ovvero Chamois, La Magdeleine e Cogne. Si tratta di una pagnotta di pane semplice, chiamata così perché sia per le farine che gli donano il suo tipico colore scuro, sia perché è una ricetta comune a tutta la catena montuosa.
Pare che la ricetta originale sia stata scritta per la prima volta dai frati benedettini dell’Abbazia di Monte Maria situata nel comune di Malles, in provincia di Bolzano. Probabilmente questo tipo di pane è sempre stata una produzione di tutto l'arco alpino ed è per questo che due regioni tanto distanti come Trentino Alto-Adige e Valle d’Aosta sono accomunate da questa pietanza: il colore è dovuto alle farine povere, alla segale e ai semi, che resistono meglio a temperature rigide.
Oggi è tipico soprattutto in Valle d’Aosta e non ci sorprende: la coltivazione dei cereali nella più piccola regione d’Italia è presente fin dal Medioevo, a differenza delle altre regioni alpine. Questo, stando a quanto scritto dallo storico Jean Baptiste de Tillier nel ‘700, è dovuto alla presenza di numerosi feudi in cui i contadini dovevano dare, volenti o nolenti, una quantità copiosa di frumento e segale ai propri padroni. La coltivazione di queste terre ancora oggi è difficile quindi la produzione cerealicola si sviluppa in particolare nella media montagna con frumento, segale, avena, orzo, alcuni legumi e foraggi di una buona qualità. Stando a quanto scritto dal professor Laurent Argentier nel suo "Cahier III Culture des plantes", è verosimile pensare che dove oggi si coltivino le patate, prima si coltivassero principalmente cereali.
Di tutti questi semini avanzati che i padroni non volevano, i contadini dovevano pur far qualcosa: ed ecco allora il pane, tradizionalmente cotto in luna calante cosicché a Natale il lievitato fosse ancora sufficientemente fresco da poter essere tagliato a fette. Il pane veniva cotto una sola volta l’anno, prima dell’inverno, e conservato per tutto il periodo.
I panifici più "tecnologici" avevano la tsambra di pan, una zona di panificazione con una stufa per l’acqua, una madia senza coperchio per impastare, dei tavoli di legno per la lievitazione e il raffreddamento e infine un tavolo di legno col bordo rialzato per trattenere la farina. La temperatura ambientale in questa zona doveva essere elevata per consentire la lievitazione del pane.
Nei primi tempi la produzione media dei panifici doveva soddisfare un consumo annuo di cento pani a persona, che corrispondevano ad un impasto di un quintale di segale.
Prima del pane doveva essere però preparato il lievito. Tramite l’Inventario del Patrimonio Immateriale delle Regioni Alpine, apprendiamo che nella zona di Saint-Vincent e Châtillon veniva usato il luppolo che cresceva spontaneo nei campi. La preparazione del lievito era affidata ad una donna anziana con molta esperienza, poiché il compito era impegnativo. La farina di segale, miscelata con acqua, veniva lasciata per qualche tempo nella stalla, dove il caldo l’avrebbe fatta fermentare e trasformata in lievito.
Questo processo richiamava famiglie e comunità, che spesso erano la stessa cosa nei villaggi valdostani: le donne anziane preparavano il lievito, gli uomini impastavano, le donne giovani prendevano il pastón, lo posavano sul grande tavolo e lo coprivano con un lenzuolo, poi rielaboravano la pasta in pezzi più piccoli facendo le forme di pane. Ogni forma aveva un segno caratteristico diverso, così da capire a chi sarebbe andato quello specifico pezzo di pane.
Era un prodotto casalingo, che per molto tempo è stato preso in scarsa considerazione: nel secondo dopoguerra, con l’esplosione nel mercato della farina 00, il pane nero aveva un’accezione negativa, simbolo di povertà e fame. Fortunatamente, dagli anni ‘80 in poi c’è stata una riscoperta dei valori tradizionali nell’enogastronomia e, a questo processo, ha partecipato anche questo prodotto. Oggi i panettieri cercano di personalizzare la propria versione, aggiungendo dosi variabili di semi di finocchio, cumino selvatico e altre erbe provenienti dalle valli.
Il risultato è straordinario: il pane nero delle Alpi è profumatissimo, leggero e soffice; ottimo da solo, perfetto con i formaggi delle malghe. Nelle regioni alpine ogni piatto povero della tradizione prevede il pane nero tagliato a pezzetti o inzuppato.
Oltre al carattere prettamente invernale di questo pane, ci sono ben quattro riti che accompagnano i panettieri alpini nella realizzazione del lievitato:
Grazie alla sua preparazione annuale tante ricette delle Alpi vedono questo prodotto come protagonista. Il pane veniva mangiato fresco fin quando si poteva; una volta seccato era perfetto per i piatti cucinati.
Una delle pietanze più buone con il pane nero delle Alpi è la zuppa dell’asino, fatta con pane di segale duro, zucchero e vino rosso. Non si tratta di una vera e propria zuppa e, a dispetto del nome, non c'è carne d'asino né di altre tipologie. La ricetta è molto semplice: basta tagliare il pane a pezzi grandi e metterli in una terrina, aggiungere lo zucchero e versare sopra il vino rosso per rinfrescare il pane. Un piatto ottimo se accompagnato col formaggio.
Altro piatto molto interessante è la seuppa de l’ono, un dolce molto semplice che in tempi antichi era considerato rinvigorente perché veniva offerto agli asini per dargli forza. La preparazione è molto simile proprio alla zuppa dell’asino: qui il vino rosso sul pane va versato in padella, dopo che quest’ultimo è stato bruschettato con del burro; lo zucchero va aggiunto alla fine della cottura.
Infine il piatto che viene semplicemente chiamato sueppa, forse il più goloso fra le pietanze realizzate col pane nero delle Alpi: bisogna imburrare una teglia da forno, disporre a strati le fette di pane, il formaggio e la fontina DOP. L’ultimo strato deve essere di formaggio e burro. Prima di cuocere in forno per un’ora il consiglio è di innaffiare la teglia con del buon brodo caldo che, con l’evaporazione in forno, donerà un profumo unico a tutto il piatto.
Oltre alle ricette della tradizione, vista la grande riscoperta del pane come alimento nella gastronomia contemporanea, la Valle d’Aosta ha siglato un accordo con l’AIFB, l’Associazione Italiana Food Blogger, e all’Unione Cuochi Valle d’Aosta. L’obiettivo della regione è sfruttare il pane nero delle Alpi nelle ricette innovative per sostenere la diffusione della cultura del pane nero di montagna, attraverso la promozione di un contest aperto a tutti.