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15 Dicembre 2025 9:00

Struffoli: da dove viene il dolce di Natale più famoso di Napoli

Quella delle palline fritte ricoperte di miele e zuccherini colorati e frutta candita è una storia che parte da lontano, quando ancora la città si chiamava Partenope. Torniamo indietro nel tempo, e facciamo anche un giro per l'Italia alla scoperta di dolci molto simili che probabilmente condividono le stesse origini.

A cura di Federica Palladini
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Gli struffoli sono un dolce che fa subito pensare a Napoli e alle tradizioni gastronomiche natalizie che attraversano tutta la penisola: una specialità di cui ogni famiglia ha la sua ricetta e la sfoggia in conclusione del cenone della Vigilia, rendendo delle semplici palline di pasta fritta (realizzate con farina, burro, uova, zucchero, liquore e agrumi) una prelibatezza che profuma tutta la casa, da servire condita con generoso miele di acacia o millefiori e “addobbata” con zuccherini colorati e frutta candita. Una montagnola golosissima che in versioni differenti è diffusa anche in altre regioni del Centro e del Sud Italia e di cui le origini sono antichissime, quando ancora la città si chiamava Partenope.

La storia degli struffoli: un viaggio indietro nel tempo

Probabilmente uno dei dolci più identitari di Napoli non è nato a Napoli, ma non c’è nulla di cui stupirsi o restare delusi, perché il forte rapporto con la città non viene certo messo in discussione, anzi, ne valorizza le origini più antiche, quelle greche di Partenope, il primo leggendario insediamento all’ombra del Vesuvio che divenne in seguito Neapolis. Il nome struffoli, infatti, deriverebbe dall’ellenico strongýlos, che significa “rotondo, arrotondato”: in Grecia ancora adesso si gustano i loro antenati, i loukoumades, che come la specialità campana si presentano sotto forma di golose palline di morbida pasta fritta irrorate di miele. Un ruolo fondamentale per la conservazione e la rielaborazione di questo dolce nel tempo sembrano averlo avuto i conventi, dove le suore lo realizzavano per donarlo ai nobili, come ringraziamento delle laute donazioni di cui beneficiavano i monasteri, nel solco della classica pasticceria conventuale, caratterizzata da vere e proprie leccornie sontuose.

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Anche la dominazione spagnola, però, parrebbe averci messo lo zampino: per circa due secoli (tra il ‘500 e il ‘700) il Regno di Napoli restò sotto il controllo della Corona Spagnola, con i vicerè inviati da Madrid a governare: è possibile, quindi, che si sia entrati in contatto con il piñonate, dolce tradizionale iberico dove i tocchetti di pasta fritta sono allungati.

Gli struffoli napoletani giunti fino a noi hanno la particolarità di essere piccoli e tondi, miscelati con abbondante miele che li compatta – più sono uniti tra loro, più lo è anche la famiglia, si narra – e devono assolutamente prevedere una ricca e colorata guarnizione: confettini bianchi e argentati, zuccherini colorati meglio noti come diavulilli, pezzetti di frutta candita, dall’arancia al cedro, alle ciliegie, passando per la cucuzzata (o cocozzata, la tipica zucca) non trasmettono solo allegria, ma sono anche considerati a livello simbolico dei portafortuna. Ad oggi, la versione fritta più classica si accompagna a quelle al forno o in friggitrice ad aria, più leggere e pratiche, oppure al cioccolato, per chi non ne può fare a meno.

Gli struffoli nelle altre regioni d'Italia: gemelli diversi

Come succede con molte specialità gastronomiche regionali, ricette simili si possono trovare anche al di fuori della Campania. Si tratta, infatti, di una preparazione costituita da pochi e semplici ingredienti che in declinazioni leggermente diverse – con o senza uova, aromatizzate da liquori, agrumi, spezie – compare nella tradizione di festa di molte zone del meridione d’Italia che in passato hanno condiviso contaminazioni politiche, economiche, culturali e culinarie, basti pensare alla Magna Grecia, ovvero quella parte della nostra penisola che fu colonizzata in tempi antichi dai Greci, o agli spagnoli citati in precedenza.

Non è un caso che in Sicilia e in Calabria si trovi la cosiddetta pignolata: palline di pasta fritta disposte in montagnette che ricordano le fattezze di una pigna (da qui il nome) e che vengono ricoperte di miele, oppure nella più nota versione messinese con due glasse, una a limone e una al cioccolato, diventando un dolce ancora più goloso. Sempre in Calabria, e diffusa anche in Basilicata, abbiamo la cicerata o cicirata, sferette che ricordano i ceci, servite in una composizione a forma di ciambella e decorate con confettini colorati, mentre nelle regioni centrali di Abruzzo, Molise e Marche tra i prodotti tradizionali si annovera la cicerchiata – termine che probabilmente rimanda al tipico legume – che non manca a Carnevale.

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Nemmeno la Puglia resta indenne al fascino di questi dolcetti: si chiamano sannacchiudere a Taranto e purceddhuzzi nel Salento, gnocchetti avvolti nel miele che profumano di cannella, limone e arancia. Pure in Sardegna, sull’Isola di San Pietro, si può risalire a un piatto carlofortino che condivide la base fritta con i precedenti: i giggeri, che vengono però guarniti con zucchero caramellato, scorzette di limone e qualche mandorla.

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Quello che i piatti non dicono
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