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18 Marzo 2024 11:00

Piscialandrea: la focaccia dallo strano nome tra la Liguria e Nizza

Si tratta di un lievitato gustoso tipo pizza a base di pomodoro, acciughe, cipolle, olive, capperi e aglio molto diffuso nella provincia di Imperia. Ecco com'è fatto e perché si chiama così.

A cura di Federica Palladini
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Paese che vai, focaccia che trovi. Anzi, se sei in Liguria, il termine passa direttamente al plurale, perché le varianti che si possono gustare in questa regione sono molteplici, pur non condividendo tutte la stessa popolarità della focaccia genovese o di quella di Recco, per citare due tra le più note. Nel caso specifico ci troviamo nel Ponente Ligure, in particolare nella provincia di Imperia, che confina con la Francia, dove nei panifici è facile imbattersi in quella che viene chiamata piscialandrea. Si tratta di una specialità gastronomica locale a metà tra una pizza e una focaccia: si prepara con un impasto di farina, olio extravergine d’oliva, acqua, sale e lievito che fa da base a un saporito condimento realizzato facendo imbiondire le cipolle in padella e unendole in seguito a pomodori pelati leggermente schiacciati. Si stende la pasta in una teglia rettangolare o tonda, si distribuisce il sugo e si completa con acciughe, olive, capperi e qualche spicchio di aglio in camicia, per cuocere tutto in forno. In particolare a Oneglia, la piscialandrea viene chiamata anche pizza all’Andrea, riferendosi a uno dei concittadini più illustri, l’ammiraglio Andrea Doria. Vediamo cosa c’entra.

Le origini della piscialandrea: perché si chiama così

La piscialandrea si può definire come una proto pizza, che condivide probabilmente le stesse origini della sardenaira sanremese, con protagoniste le sardine al posto delle acciughe e la pissaladière nizzarda, profumata con erbe aromatiche provenzali, e bianca, senza pomodoro così come lo era anche la piscialandrea quando è nata, si stima attorno al ‘400. Doveva essere, infatti, una ricetta povera, diffusa soprattutto tra naviganti e uomini di mare, in cui la semplice pasta di pane veniva arricchita dagli ingredienti che c’erano a disposizione, tra cui il pesce sotto sale, chiamato peis salat, mescolato alle cipolle sott’olio.

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La sardenaira di Sanremo

I due cibi insieme sono le fondamenta della pissalat, una salsa tipica di Nizza che affonda le sue radici negli insaporitori di epoca romana fatti con pesce azzurro macerato, e del machetto, la variante diffusa nel Ponente Ligure, che può essere preparata sia con le sardine che con le acciughe. A questo condimento di cipolle e pesce, si aggiungevano altri alimenti facilmente reperibili nel territorio, come olive taggiasche o nere, l’aglio e i capperi, a volte anche del formaggio fresco, così da creare un intingolo molto sfizioso.

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La pissalndiére nizzarda

Ed è qui che entra in scena Andrea Doria, il quale si narra fosse un buongustaio, che amasse la cucina della sua terra e questa focaccia, tanto da associarli etimologicamente nel corso dei secoli. Come detto in precedenza, il pomodoro che adesso è presente nella piscialandrea, all’inizio non c’era, in quanto dopo essere stato importato dalle Americhe, ci ha messo un bel po’ a diventare di uso comune in Italia, passando prima dalla Spagna e poi a Napoli, tra il ‘700 e l’800.

Una, cento, mille: le (non) varianti della piscialandrea

Basta dare un occhio ai libri di ricette della Riviera di Ponente, chiedere a qualche autoctono o agli stessi panettieri per intuire che, in realtà, una ricetta vera e propria della piscialandrea non c’è, ma che è un piatto pieno di contaminazioni, un po’ come tutte le specialità regionali. C’è chi mette del latte nell’impasto per renderlo più morbido, chi usa olive nere, verdi o taggiasche, chi le acciughe dissalate o quelle sott’olio, chi la cipolla bianca o rossa. La piscialandrea di Imperia è entrata da qualche anno nella lista dei prodotti De.Co, di denominazione comunale, così come lo sono anche la pisciadèla di Ventimiglia o la pisciarà di Bordighera. Cos’hanno di diverso? Certamente solo minime variazioni per chi non ci è cresciuto, ma che servono a non commettere l’errore di considerare l’una come sinonimo delle altre, per la gioia degli amanti della tradizione di ogni età. E va benissimo così.

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Quello che i piatti non dicono
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