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29 Marzo 2022 11:00

Guida all’uso del sale: tipologie, come si utilizza in cucina e come poterlo sostituire

Come si utilizza il sale in cucina? Quali sono le differenze tra una tipologia di sale e l'altra? Quali i benefici o i danni alla salute dovuti al consumo di sale? Abbiamo risposto a queste e altre domande assieme a una nutrizionista e una docente di chimica degli alimenti.

A cura di Alessandro Creta
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Se c’è un ingrediente in grado di unire indistintamente tutte le cucine del mondo, questo è sicuramente il sale. Una materia prima comune, di base poco costosa, presente praticamente in ogni casa e il cui utilizzo è quasi dato per scontato. Allo stesso tempo, però, il sale è anche in grado di dividere l’opinione pubblica. Specialmente per quanto riguarda i suoi effetti sulla nostra salute.

Esaltato da molti per la capacità di ravvivare il gusto delle vivande e quasi osteggiato da tanti altri, il sale è tra le materie prime più controverse e discusse in campo alimentare. Un elemento tanto (apparentemente) semplice nel suo utilizzo quanto complesso per quanto riguarda il peso nella dieta e nel benessere fisico di tutti noi. Per provare a fare chiarezza sul vasto mondo del sale, abbiamo interpellato la nutrizionista dott.ssa Chiara Manzi (ideatrice del metodo Cucina Evolution) e la docente di chimica degli alimenti prof.ssa Luisa Mannina (Sapienza Università di Roma), voci autorevoli e “istituzionali” alle quali ci siamo affidati per tentare di dimenarci nel vasto mondo del sale da cucina, ricavandone una “guida” per quanto possibile completa ed esplicativa.

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In quali occasioni è preferibile evitarlo? Di quale tipologia, invece, ne è consigliabile l’uso? Quali sono i quantitativi raccomandati? Quali i suoi effetti sulla salute umana? In cosa si differenziano dal sale "tradizionale" le varie tipologie colorate che troviamo in commercio? Queste e altre molte domande alle quali proveremo a dare una risposta il più esauriente possibile nelle prossime righe.

Il sale, nella storia non solo in cucina

Per quanto oggi comune e di basso costo, il sale in passato era quasi una rarità. Soprannominato per lungo tempo "oro bianco" (il salario era appunto la paga in sale data dai romani ai propri soldati) per la sua difficoltà di reperimento ed estrazione, nel corso dei secoli è entrato progressivamente nelle case di praticamente tutto il mondo, diventando una presenza costante (e per certi versi eccessiva) della nostra vita. Se in passato veniva utilizzato come ingrediente raro e prezioso, si è progressivamente sedimentato nelle nostre abitudini alimentari al punto da diventare presenza fissa e costante nella dieta. Questo nonostante la nostra non necessità di aggiungerlo agli alimenti, molti di questi già contenenti cloruro di sodio.

Oggi il sale è ritenuto quasi fondamentale in cucina: potenzia ed esalta i sapori, rende le preparazioni più buone e gustose, favorisce quel senso di umami sempre più ricercato nella cucina moderna. Dall’altro lato della medaglia, però, ci sono aspetti ai quali dover tener conto; come gli effetti sulla salute di un eccessivo utilizzo (e sforare, vedremo, è più semplice del previsto) di questo ingrediente così piccolo nelle dimensioni ma grande nella sua importanza tra i fornelli.

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Abbiamo dedicato un focus poi alle varie tipologie di sale oggi presenti in commercio: da quello rosa dell’Himalaya a quello rosso delle Hawaii, passando per la varietà scozzese o cipriota. Tutte accomunate da una caratteristica; un colore differente dal sale che solitamente abbiamo in cucina. A cosa è dovuta questa differenza? È vero o una falsa leggenda che sali del genere “facciano bene” alla salute? Perché costano così tanto? Per scoprirlo rimanete sintonizzati su questi canali.

Come è fatto il sale

Il sale alimentare viene ottenuto dall’acqua di mare, da giacimenti salini (salgemma) o salamoie naturali. Se scendiamo più nel dettaglio scopriamo come esistano tantissimi tipi di sale, alcuni esotici e colorati, ma bisogna partire dal presupposto come il sale da cucina debba contenere comunque almeno il 97% di cloruro di sodio. Tutti i sali che utilizziamo, da quello “tradizionale”, allo iodato, fino ai più esotici ed estetici, contengono come minimo questa quantità di cloro e sodio. Questo è importante da comprendere, come spiega la prof.ssa Luisa Mannina, e da qui non si scappa.

Prima di iniziare questo viaggio nel mondo del sale qualche premessa è d'obbligo. Oggi noi per sale da cucina intendiamo proprio il cloruro di sodio (composto quindi da sodio e cloro) e, anche se in tanti con il termine sodio intendono generalmente il sale, va detto che i due elementi coesistono (perché insieme formano il cristallo di sale). Il sodio, di base, serve all'organismo ma pur sempre nelle giuste quantità: una sua carenza può portare a nausea o vomito, mentre l'eccesso a ritenzione idrica e pressione alta.

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Si tratta di un minerale, come spiega Chiara Manzi, che ricopre un ruolo fondamentale nello scambio di sostanze tra le cellule e gli spazi extracellulari, favorendo l'ingresso nella cellula dei suoi nutrimenti e la fuoriuscita degli scarti. Il sodio però è naturalmente presente negli alimenti e già così basterebbe per svolgere la sua funzione. Per questo non abbiamo bisogno del sale per integrare il sodio nella dieta. Anzi, aggiungendone in cucina rischiamo di abusarne e andare incontro a problemi cardiovaloscari, perché il sale per la sua capacità di trattenere l'acqua rende più denso il sangue nelle vene e nelle arterie, costringendo il cuore a un ulteriore sforzo in fase di pompaggio.

Un'altra distinzione è quella riguardante l'appena citato cloruro di sodio e il sale iodato, risultato dell'aggiunta al sale comune di iodio, il quale è naturalmente presente nell'organismo e favorisce il regolare funzionamento del metabolismo e della tiroide. Per questo in fase di acquisto è sempre preferibile optare per il sale iodato rispetto al normale cloruro di sodio.

Sale iodato, l'unico da prediligere

È proprio il sale iodato, come ci specificano in coro la prof.ssa Mannina e la dott.ssa Manzi, l’unico ad avere un utilizzo giustificato e giustificabile. Lo iodio infatti è importante per la nostra alimentazione: è un alleato della tiroide e del metabolismo, ma molti di noi non lo assumono tanto quanto si dovrebbe. Quali sono le principali fonti di iodio? Il pesce, per esempio, che però non piace a tutti e non è disponibile per tutti, ma anche la carne e i vegetali lo contengono. Considerato l’uso che facciamo del sale in cucina è bene, a questo punto, utilizzare quello iodato. Ciò tuttavia non giustifica un eventuale abuso, bisogna pur sempre rimanere nei 5-6 grammi consigliati. Il suo uso comunque ha un senso maggiore rispetto per esempio ai sali colorati, perché permette di assumere una sostanza di cui il nostro organismo necessita.

Il falso mito dei sali colorati

Eccoci, probabilmente, al paragrafo che per molti potrebbe risultare spiazzante: i sali colorati, ai fini salutistici e di nutrizione (e a differenza di quanto affermino alcune aziende che li commercializzano) sono sostanzialmente inutili. O, comunque sia, non apportano maggiori o particolari benefici rispetto al sale tradizionale.

Detto che ogni tipologia di sale alimentare si compone per almeno il 97% di cloruro di sodio, perché molte varianti sono così cromaticamente diverse e appariscenti?

Questi prodotti più “esotici” al loro interno contengono quantità, irrisorie (e inferiori al 3% quindi), di minerali come per esempio, il ferro (per il sale rosa, che tra l'altro arriva dal Pakistan e non dall'Himalaya) o il carbone vegetale (per il nero), i quali tuttavia proprio per la loro minima presenza non apportano benefici alla salute. Ricordiamo, infatti, come la quantità massima di sale giornaliera sia di 5 grammi e che questi minerali rispetto al cloruro di sodio sono presenti solo in tracce minime.

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Affermare come convenga consumare un sale rispetto all’altro perché ha proprietà nutrizionali particolari non ha senso, perché se il sale rosa contiene tracce di ferro, quanto ne dovremmo consumare per avere un effettivo beneficio di questo elemento (o chi per lui), se al 97% comunque andiamo ad assimilare cloruro di sodio? Una quantità enorme, dannosa per l’organismo.

Dal punto di vista salutistico e nutrizionale, insomma, i sali colorati non apportano benefici rispetto al tradizionale. Dal punto di vista chimico si differenziano solo per quella minima quantità di elementi, quanto basta per dare il caratteristico colore e renderli più appetibili e accattivanti sul mercato. È, insomma, una differenza puramente estetica, la quale non giustifica la sproporzione di prezzo.

Per dare un'idea (visivamente parlando) dei minerali contenuti nei sali colorati, tra l'altro, è sufficiente (come ci spiega la prof.ssa Mannina)  scioglierne i cristalli in un bicchiere acqua, così che questa ne assuma la pigmentazione. Vedere un'acqua rosa, nera o blu fa tutt'altro effetto rispetto ai granelli di sale, e probabilmente molti di noi non la berrebbero mai.

Il sale iodato, quello sì, è l’unico consigliato e consigliabile e di cui la differenza di prezzo ha un senso. Tutti gli altri sali sono fondamentalmente inutili a scopi nutritivi: non hanno nessun tipo di valenza salutistica.

Ora, alla luce di quanto detto, quel pacchetto di sale rosa che avete in dispensa non sembra più così magico, vero?

Sali nascosti e l'importanza dell'etichetta

In cucina, per abitudine, ci ritroviamo spesso a salare alimenti che già naturalmente contengono sale, oppure cibi ai quali l'industria ne ha aggiunto in modo ulteriore (sia per motivi di conservazione sia di maggior appetibilità). Ecco perché sforare nel consumo di cloruro di sodio oggi è davvero semplice.

Come ci dice la dott.ssa Manzi il sale è contenuto in tantissimi prodotti industriali e lavorati. I dadi da brodo, per fare un esempio, sono composti quasi al 50% da sale, ma anche biscotti, merendine, brioches in generale ne hanno, così come il pane in praticamente tutte le sue varianti. Stesso discorso per i pomodori pelati o legumi bolliti e confezionati: anche se la nostra sensazione è di comprare un prodotto puro e naturale in realtà c'è un importante quantitativo di sale aggiunto. L’industria lo mette dappertutto, quindi sarebbe meglio quando possibile comprare gli ingredienti freschi, non lavorati.

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Sembrerebbe un paradosso, ma anche i dolci (oltre che di zucchero) per esempio ne sono sono pieni. Questo mix non è casuale: stimola nel cervello il “centro della felicità”, creando una sensazione di benessere, il cosiddetto bliss point (il punto di beatitudine); motivo per cui quel barattolo di crema alle nocciole che avevamo in dispensa è durato così poco. Questo senso di "dipendenza" porta a un consumo quasi compulsivo, e quindi in proporzione ci spinge maggiormente ad acquistare determinati alimenti.

In quest'ottica diventa fondamentale non solo prestare attenzione all'etichetta dei prodotti, ma saperla leggere adeguatamente. In particolare bisogna considerare due voci: quella riguardante gli ingredienti in generale, notando l'effettiva presenza o meno di sale, e quella sui valori nutrizionali, che ci informano su quanto sale eventualmente c’è. Potremmo ritrovarci, per esempio, a comprare un prodotto senza sale aggiunto, il quale però lo contiene in modo naturale. Un esempio? L'uovo, pur essendo un alimento di per sé naturale, nell'albume contiene del sodio. Idem la barbabietola.

Come sostituire il sale in cucina?

Giunti a questo punto la domanda viene quasi spontanea: è possibile, alla luce di quanto detto, poter eliminare (o quantomeno ridurre sensibilmente) il sale dalla nostra dieta? La risposta è sì, da non sottovalutare però il fattore "abitudine". Da tutta la nostra vita, di fatto, siamo educati al sapore sapido, quasi al punto da diventarne assuefatti. Il nostro palato è abituato a certi gusti, a certi condimenti, ma al contempo può essere "allenato" a nuove sensazioni.

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Se pensiamo a poche centinaia di anni fa, quando il sale non era disponibile come lo è ora, le persone non erano certo avvezze a certi sapori. Di sicuro a noi piace mangiare gustoso, percepire quel senso di umami, ma questo senso è raggiungibile anche attraverso altri insaporitori naturali di alimenti. Le spezie potrebbero essere una valida alternativa: importante è saperle usare e abbinare in cucina per ovviare il minor utilizzo di sale. Per la realizzazione di pani o pizze in casa si può utilizzare magari lievito madre (più saporito) o farine composte da un mix di cereali al posto di quella, insapore, di tipo 00.

Altra strategia per dare gusto agli alimenti può essere utilizzare (sempre nei limiti previsti) il glutammato naturale, presente per esempio nel pomodoro concentrato, nel lievito di birra, nei funghi secchi, in alcuni ortaggi o nel parmigiano: uno dei formaggi meno salati eppure molto gustoso per la presenza naturale di questo elemento. Non a caso l'acido glutammico è la molecola, isolata già nel 1908 da un professore giapponese, "responsabile" del gusto umami.

Assimilazione, in cottura o a crudo

In quanto micronutriente l'assimilazione del sale da parte dell'organismo non viene condizionata da differenti abbinamenti. Utilizzarlo con fibre, piuttosto che con proteine o carboidrati, per esempio, non presuppone nessuna differenza. Ogni tipo di sale viene assorbito allo stesso modo, e questa specifica ovviamente è valida anche per i sali colorati.

La cottura, invece, può condizionare il processo di assimilazione del sale iodato, in quanto lo iodio sublima a 112 gradi. Quindi, mettendone nell’acqua della pasta, questa mantenendosi sui 100 gradi (ma ne bastano anche di meno) “preserva” lo iodio. Diverso il discorso, invece, se viene usato su pesce o carni che vanno in forno: a temperature superiori a 112 gradi lo iodio passa da solido a gassoso, evaporando col fumo della cottura.

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Se utilizziamo il sale iodato, insomma, è bene o mantenere la temperatura al di sotto di quella soglia. Se invece la superiamo ma stiamo usiamo una pentola, poniamo il coperchio per non far fuoriuscire i fumi della cottura e con lui il sodio che dovremmo assumere.

In linea generale, comunque, il consiglio è quello di insaporire le vivande con meno sale e salare a inizio cottura invece che alla fine. Il motivo? Condendo prima di cuocere i granelli si sciolgono penetrando nell'alimento, e ne basterebbe una minore quantità per insaporirlo adeguatamente. Un esempio pratico lo portiamo con il risotto: Chiara Manzi ci suggerisce di salare il riso in fase di tostatura anziché utilizzare un brodo salato, in modo da permettere ai chicchi di poter assorbire il sale già nella prima fase di preparazione. Il risultato sarà un piatto ugualmente buono, ma con un minor quantitativo di sale. Il giusto compromesso, dal quale partire per poterci abituare a mangiare in modo diverso, consapevole e più sano.

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Quello che i piatti non dicono
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