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27 Agosto 2020 15:00

Glutammato monosodico: cos’è, quali conseguenze comporta e in quali alimenti si trova

Accusato di essere la causa di diversi fastidi (la cosiddetta "sindrome da ristorante cinese") e malattie anche molto gravi, per anni è stato denigrato e messo al bando dalla cultura occidentale. Parliamo del glutammato monosodico, una sostanza naturalmente presente in moltissimi alimenti, responsabile di un sapore unico e inconfondibile: l'umami. Scopriamo insieme dove è possibile trovarlo e se il suo consumo può provocare effettivamente danni alla salute.

A cura di Emanuela Bianconi
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Avreste mai creduto che il tanto bistrattato glutammato monosodico fosse, in realtà, una sostanza naturalmente presente in moltissimi alimenti come pomodori, alghe e addirittura Parmigiano Reggiano? E che proprio quest'ultimo – fiore all'occhiello tra le eccellenze gastronomiche italiane – fosse uno dei prodotti con il quantitativo più elevato (circa 1,2 grammi per 100 grammi)? Ebbene sì.

Cos'è il glutammato

Da un punto di vista chimico, il glutammato è il sale sodico dell'acido glutammico, un aminoacido non essenziale (ossia che può essere sintetizzato dal nostro corpo), naturalmente presente in quasi tutti gli alimenti, in particolare in quelli ad alto contenuto proteico – come i prodotti caseari, la carne e il pesce – e molte verdure come i funghi e, appunto, i pomodori; venne scoperto nel 1908 dal chimico giapponese Kikunae Ikeda, professore all'Università Imperiale di Tokio, che riuscì per la prima volta a estrarre il glutammato dall'alga kombu, uno degli ingredienti fondamentali per realizzare il brodo dashi, elemento base della cucina giapponese.

Per descrivere la sensazione che il glutammato produceva quando veniva aggiunto ai cibi salati, Ikeda utilizzò un termine: l'umami, una locuzione giapponese che indica un gusto a sé stante, il quinto per l'esattezza (gli altri sono dolce, amaro, aspro e salato); letteralmente vuol dire "saporito" e sta a indicare, in buona sostanza, "il gusto particolare che noi sentiamo come ‘umai' (saporito) derivante da pesce, carne e così via". Così come il cloruro di sodio stimola i recettori del sapore "salato", il glutammato e l'acido glutammico stimolano quello umami. Convinto che fosse presente in altri alimenti tipici della cucina occidentale, proseguì i suoi studi e i risultati gli diedero ragione: l'umami non si trovava solo nei funghi shiitake, nell'alga kombu e nel pesce essiccato katsuobushi – questi gli ingredienti base del delizioso brodo – ma anche nei prodotti caseari, soprattutto il parmigiano, nei salumi come il prosciutto e nei pomodori. Ecco spiegato il perché sia impossibile resistere davanti a un bel piatto di pasta condita con un semplice sughetto di pomodoro e una generosa spolverizzata di parmigiano grattugiato.

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Sempre nel 1908 il professore Ikeda riuscì a estrarre 30 grammi di acido glutammico da 40 chili di alghe kombu fatte bollire in acqua; l'anno successivo il primo barattolino di glutammato di sodio, con il nome di Ajinomoto (che significa "all'origine del gusto"), venne messo in commercio, divenendo ben presto uno degli ingredienti fondamentali della cucina orientale. Inizialmente questa polverina dal sapore delizioso venne prodotta a partire dagli scarti della barbabietola da zucchero, ma la crescente richiesta spinse l'industria alimentare a trovare dei metodi di estrazione più efficaci: si passò alla sintesi chimica in laboratorio, ma nel 1973 venne sviluppato un processo meno costoso e altrettanto valido, quello della fermentazione batterica. Questo è il metodo di produzione utilizzato ancora oggi.

In quali alimenti si trova

Tutti gli alimenti proteici stagionati e fermentati sono ricchi di glutammato monosodico. Carne, pesce e anche prodotti fermentati come la salsa di soia, abbondantemente impiegata nella gastronomia cinese e giapponese; un altro esempio è il parmigiano che, essendo un formaggio stagionato, ne contiene moltissimo: 1,2 grammi ogni 100 grammi di prodotto. E ancora la colatura, specialità tipica di Cetara, in Costiera Amalfitana, ottenuta grazie alla fermentazione delle alici pressate in botti e sotto sale. Tra i vegetali, spiccano i pomodori: questi presentano una delle più alte concentrazioni di acido glutammico libero, che aumenta con la maturazione e la cottura.

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Una curiosità: il celebre chef Heston Blumenthal – mago della cucina molecolare, e chef tristellato del ristorante The Fat Duck, nel Berkshire, in Inghilterra – ha pubblicato una ricerca per il Journal of Agricoltural and Food Chemistry, insieme ad alcuni ricercatori dell’Università di Reading, proprio sull'umami (ed è anche co-autore del libro "Umami: The Fifth Taste"). Blumenthal, in particolare, fa una distinzione tra la parte soda del pomodoro, quella proprio sotto la buccia, e la polpa semiliquida contenente anche i semini: diversi studi scientifici hanno dimostrato che quest'ultima parte, talvolta eliminata dagli chef anche per questioni estetiche, presenta inaspettatamente una concentrazione di acido glutammico sei volte superiore a quella presente nel resto del pomodoro. Ed ecco spiegato perché nella sua irresistibile essenza di pomodoro, con cui aromatizza i burger, non utilizza la parte soda dell'ortaggio ma esclusivamente quella semiliquida centrale, molto più sapida e carica di gusto. Altri vegetali stimolatori dell'umani, ma in misura minore rispetto al pomodoro, sono i piselli, il mais, le cipolle, le verze, gli asparagi e gli spinaci.

Il glutammato, oltre a essere disponibile in natura, viene largamente impiegato in forma sintetica dall'industria alimentare, allo scopo di rendere maggiormente appetibili e gustosi gli alimenti a cui viene aggiunto; è anche inodore, caratteristica che gli consente di essere abbinato a qualunque sapore, rendendolo anche particolarmente versatile. Dove possiamo trovarlo? Nei cibi confezionati, nei prodotti surgelati, nelle zuppe liofilizzate o in scatola, e nei dadi da brodo, vegetali e di carne.

Viene identificato con il codice E620 ed esistono delle direttive europee che ne regolamentano l'uso. Nonostante goda di una cattiva, benché infondata, reputazione, è stato scientificamente dimostrato che questa sostanza può essere utilizzata per esaltare il gusto degli alimenti senza che vi siano rischi per la salute. Ma è davvero così? Vediamolo insieme.

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Il glutammato fa male?

Nonostante il glutammato monosodico venga utilizzato in Oriente, dai primi anni del Novecento, come insaporitore di numerose pietanze, l'Occidente si dimostra ancora piuttosto scettico nei confronti di questa sostanza. Il famigerato insaporitore è, infatti, al centro di una delle tante bufale alimentari: accusato di essere responsabile di una serie di sintomi come mal di testa, debolezza, asma, rossore in viso e palpitazioni (la cosiddetta "sindrome del ristorante cinese"), per anni è stato denigrato e messo al bando, nonostante numerosi studi scientifici abbiano concluso che tale sindrome non esista e che questa sostanza sia assolutamente innocua. La stessa Commissione Europea, prima nel 1991 e poi nel 2006, conferma le medesime conclusioni a cui è arrivata la scienza.

Come sostituire il glutammato

Nonostante la scienza abbia dimostrato l'innocuità del glutammato monosodico, il consiglio, valido sempre, è quello di evitare il più possibile gli alimenti che lo contengono; non per la sostanza in sé per sé ma soprattutto perché questa viene aggiunta a prodotti industriali, confezionati e dallo scarso valore energetico. Operando scelte consapevoli e prediligendo prodotti freschi, rigorosamente di stagione e locali, ci si assicura piatti appaganti, ricchi di sapori e altamente nutritivi; è importante rieducare il palato ai sapori semplici e genuini, evitando il più possibile esaltatori chimici del gusto e sostituendo il sale o il dado industriale con erbette aromatiche fresche, spezie e condimenti naturali. Potete utilizzare il gomasio per esempio, un gustoso mix a base di semi di sesamo e sale marino integrale, delle alghe, dei semini misti che, oltre al gusto conferiranno alla preparazione anche un'irresistibile e piacevole croccantezza, oppure potete preparare il dado vegetale fatto in casa. Semplice da realizzare e completamente naturale, è anche una soluzione anti-spreco e un'alternativa economica al classico prodotto da supermercato.

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Quello che i piatti non dicono
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