video suggerito
video suggerito
20 Aprile 2025 9:00

Dolci conventuali, i “peccati di gola” nati nei monasteri

La gola è uno dei sette vizi capitali, ma non per le suore del passato: nel corso dei secoli, infatti, proprio le monache, spesso persino di clausura, hanno sfogato la loro creatività creando dolci. E non dolci qualsiasi, ma ricette che sono diventate vere icone della pasticceria italiana.

A cura di Martina De Angelis
0
Immagine

Ti verrebbe mai in mente di associare i dolci più mitici della pasticceria italiana a suore e conventi? Scommettiamo di no, eppure hanno molto più in comune di quanto tu possa immaginare: buona parte dei dolci più iconici della gastronomia italiana – soprattutto siciliani e napoletani, ma non solo – sono nati proprio tra le mura di luoghi sacri, monasteri e conventi, in particolare di clausura, dove tantissime giovani donne si trovavano spesso non per propria volontà.

Era pratica comune, nei secoli scorsi, che famiglie (soprattutto abbienti) mandassero almeno una figlia in monastero, spesso accompagnata a ingenti donazioni, che portavano il monastero a svilupparsi come una vera e propria azienda. Dedite quindi a una vita di preghiera e lavoro, spesso queste donne trovavano il loro sfogo nell’arte, anche e soprattutto in quella dolciaria: creare dolci, per molte, era un modo di realizzarsi nonostante la costrizione, spesso l’unica forma di svago dalle regole monastiche proprio perché considerata, in qualche modo, “peccaminosa”.

Un’arte che le monache di molti conventi svilupparono con tale maestria che questi luoghi divennero i primi laboratori di pasticceria della storia e loro idearono dolci eccezionali. Queste specialità prima furono usate come per favori e servizi offerti alle suore da parte di prelati, medici e altre figure con cui entravano saltuariamente entravano in contatto e poi divennero, tramite la vendita diretta, delle vere e proprie fonti di sostentamento dei conventi.

Il risultato è una serie di dolci “conventuali” entrati a far parte così profondamente della cultura italiana da non chiedersi più come o dove sono nati, e che invece si devono a quelle donne vissute all’ombra del monastero che, nel preparare i dolci, trovarono la loro vera vocazione. Ed è un fenomeno che non riguarda solo l’Italia: tanti altri prodotti di pasticceria europei sono nati nelle cucine di monasteri e conventi, per esempio il pastel de nata portoghese e i macarons e le madeleines francesi.

I cannoli

cannoli-siciliani

Non hanno bisogno di presentazione i cannoli, uno dei dolci siciliani più amati in tutta Italia e nel mondo, una delizia a base di cialde croccanti, una voluttuosa crema di ricotta e zucchero a velo e guarnizioni che comprendono con ciliegie, scorza d'arancia candita, gocce di cioccolato o granella di pistacchi. Sulleorigini del cannolo esistono diverse tipologie di ipotesi, ma tutte le versioni concordano su un dettaglio: sono state le suore all’interno dei conventi a idearli, nello specifico le consorelle del convento di Badia Nuova o monastero di Santa Maria di Monte Oliveto, situato in via Incoronazione a Palermo. La leggenda vuole che in occasione di un Carnevale una suora particolarmente giocosa volle fare uno scherzo alle consorelle, così decise di svuotare la cisterna d'acqua riempiendola con la crema di ricotta preparata per fare altri dolcetti, sostituendo poi la bocca di erogazione del rubinetto (di fatto delle semplici canne) con una cialda avvolta su sé stessa. Dopo un primo momento di smarrimento generale evidentemente, e per fortuna, qualcuno si accorse del perfetto connubio tra i due ingredienti, e si decise di ideare un dolce che potesse unire ricotta e cialda croccante; la parola cannolo, in dialetto siciliano, non a caso indica proprio un particolare tipo di rubinetto antico.

La frutta di Martorana

Immagine

Più conosciuta la storia della frutta di Martorana, altra icona della pasticceria siciliana (ma diffusa anche in Calabria) e forse uno dei dolci conventuali più celebri: si tratta di pasta di mandorle modellata in meravigliose miniature di frutta e ortaggi, che vengono dipinte con coloranti alimentari per imitare alla perfezione gli originali. La ricetta è stata inventata circa 500 anni fa dalle suore Monastero della Martorana, fondato a Palermo dalla nobildonna Eloisa Martorana nel 1194: la leggenda racconta che un giorno di autunno arrivò il re per ammirare il leggendario giardino del convento, ma che gli alberi erano spogli per la stagione. Così la suora cuoca inventò di manipolare il suo dolce alle mandorle e miele a forma di frutti, e di dipingerli in modo che sembrassero veri frutti appesi agli alberi. La trovata fu un successo, e il resto è storia.

La pastiera napoletana

Pastiera salata

Non c’è dolce che rappresenti la ricchissima tradizione pasticcera napoletana quanto la pastiera, ricetta tipica della Pasqua partenopea ma ormai amata ben oltre i confini della città. È un prodotto così radicato nella tradizione locale da essere legato a tutta una serie di leggende, tra cui quella della sirena che portò gli ingredienti in dono agli dei, i quali li mescolarono creando la pastiera per poi incaricare Partenope di farne omaggio ai napoletani. In realtà, la nascita della pastiera si deve probabilmente alle monache di clausura del Convento di San Gregorio Armeno, famose per essere delle eccellenti pasticcere. Furono loro, nel XVI secolo, a ideare un dolce che fosse un simbolo di pace da preparare per il Giovedì Santo, con ingredienti che simboleggiassero la resurrezione (le uova, per esempio) e i fiori d’arancio del loro giardino. Di solito le sorelle preparavano la pastiera per i nobili e l’alta borghesia napoletana, e la leggenda racconta che quando i servitori andavo a ritirare l’ordine, aprissero il portone abbastanza da far uscire nei vicoli il profumo del dolce, per dare un conforto ai meno fortunati.

Le minne di Sant'Agata

minne-di-santagata

Cambia nome e decorazione in base alla città in cui sono preparate, ma nella maggior parte dei casi sono conosciute semplicemente come le minne di Sant’Agata, particolarissimi dolcetti a forma di seno di donna diventati il simbolo di Catania. Come è possibile che questo dolce dall’aspetto molto “pagano” sia legato al mondo religioso? Esistono diverse teorie, ma la più accreditata vuole che siano dolcetti derivanti da antichi culti in onore di Iside, onorata come dea madre, e non a caso la festa di Sant’Agata (che cade il 5 febbraio) proverrebbe nientemeno che da questi culti. Ciò si riconosce in diversi aspetti pagani delle celebrazioni, non ultimo proprio il dolce a forma di seno assorbito dalla tradizione cristiana per onorare la Santa che, durante il martirio, si vide proprio tagliare il seno. Alcune teorie le vogliono direttamente derivanti “minne delle vergini”, nate invece nel Collegio di Maria di Sambuca, altra specialità conventuale che richiama il seno, in questo caso delle giovani donne vergini.

Gli amaretti di Santa Croce

Immagine
Foto di www.sagretoscane.com

La Sicilia vanta sicuramente un ruolo di primissimo rilievo quando si tratta di dolci conventuali, ma non è l’unica regione che deve alle suore la nascita di ricette iconiche: i celebri amaretti di Santa Croce per esempio, prelibatezza tutta toscana, sono nati tra le mura del convento di Santa Cristiana di Santa Croce sull’Arno da cui prendono anche il nome. La data di nascita ufficiale è la fine dell’Ottocento, ma sicuramente le monache preparavo i biscotti già da diversi secoli per usarli come ringraziamento verso i loro benefattori. La ricetta degli amaretti rimase dentro le mura della comunità monastica fino alla metà del secolo scorso, quando poi venne resa pubblica e raggiunse i fornai e i pasticceri della città: fu così che gli amaretti divennero dominio degli artigiani dolciari santacrocesi. La tradizione si sopì per alcuni anni, ma ha preso vigore di nuovo grazie alla Pro Loco e ai fornai locali, che hanno lavorato insieme per far sì che i preziosi amaretti inventati dalle suore non andassero perduti.

La sfogliatella Santa Rosa

Immagine

La sfogliatella Santa Rosa, per tutti semplicemente la sfogliatella, è un’eccellenza della pasticceria napoletana. La sua origine non è però legata alla città di Napoli ma a un antico convento della Costiera Amalfitana, il monastero di Santa Rosa, oggi diventato un hotel incastonato tra le scogliere di Conca dei Marmi. Un giorno accadde che una delle monache notasse alcuni avanzi di semola bagnata nel latte, e non volendo sprecarla ebbe un’idea: la miscelò con ricotta, frutta secca e liquore al limone, la infornò e la inserì in un impasto di due sfoglie chiuse, dandole la forma di un cappuccio da monaco. Era nata la sfogliatella, e fu così amata dalle altre sorelle da iniziare a essere venduta al popolo per qualche moneta. A Napoli ci arrivò 200 anni dopo, quando il futuro pasticcere Pasquale Pintauro la scoprì e se ne innamorò: trasformò la sua osteria in via Toledo in un laboratorio dolciario, rivisitò la ricetta e cambiò la forma della sfoglia.

I biscotti ricci

Immagine

I biscotti ricci, così chiamati per via della loro particolare forma sinuosa, sono dei dolcetti squisiti a base di farina mandorle, zucchero, uova e buccia di limone. Li ha resi immortali lo scrittore Giuseppe Tomasi di Lampedusa nel suo romanzo Il Gattopardo, ma quasi nessuno sa che sono stati inventati anch’essi tra le mura di un convento, precisamente quello di Palma di Montechiaro, un piccolo paese della provincia di Agrigento. La ricetta originale risale alla fine dell’Ottocento e le monache di clausura del SS. Rosario ancora oggi li producono usando la stessa ricetta originale per prepararli e venderli ai visitatori tramite un sistema particolare che permette alle sorelle di non infrangere il loro voto.

Il cous cous al pistacchio

Immagine

Il cous cous è una ricetta tipicamente nordafricana, ma in seguito alle dominazioni che si sono susseguite nel corso dei secoli è entrato a far parte anche della tradizione siciliana, sia nella classica versione salata sia in una particolare variante dolce. Il cous cous al pistacchio è una ricetta tipicamente di Agrigento, inventata dalle monache cistercensi del Monastero di Santo Spirito e tramandata per secoli da una generazione all’altra di consorelle. Ancora oggi le monache lo confezionano con gli antichi e originali sistemi, impastando a mano la semola di grano duro insieme a mandorle e pistacchi. Proprio per questo, la ricetta originale rimane un segreto ben custodito dalle sorelle del monastero.

Le fedde del Cancelliere

Il Monastero del Gran Cancelliere di Palermo non esiste più, ma la sua invenzione più celebre continua a vivere tra le strade della città. Sono le “fedde” (natiche, in dialetto) del Cancelliere, un dolcetto di pasta di mandorle al pistacchio, ripieno di crema e dalla forma singolare che gli è valsa il curioso nominativo. È tra le mura di un altro ex convento palermitano che la tradizione dolciaria di questa particolare prelibatezza viene tenuta in vita: le fedde del Cancelliere, infatti, vengono realizzate nella dolceria I Segreti del Chiostro, nell’ex Monastero domenicano di Santa Caterina.

Il trionfo di gola

Immagine
foto di www.siciliaagricoltura.it

L’ex Monastero domenicano di Santa Caterina è stato teatro anche di un’invenzione tutta sua: è il trionfo di gola, preparato ancora con orgoglio da I Segreti del Chiostro, progetto di riscoperta e valorizzazione delle antiche ricette della pasticceria conventuale palermitana. Sontuoso, elaborato e complesso, il trionfo di gola è una torta a base di pan di Spagna, pasta di mandorle, pistacchi e canditi, un’espressione perfetta dell’opulenza dell’arte pasticcera siciliana. Era il dolce centrale fra tutti quelli serviti nei banchetti dell’aristocrazia palermitana, e infatti viene citato ne Il Gattopardo e in altre opere letterarie siciliane.

Le genovesi di Erice

Genovesi di Erice

Il bellissimo borgo di Erice, oltre a essere famoso per la bellezza dei suoi panorami, è conosciuto anche per i dolci e in particolari per le genovesi, dei dolcetti composti dadue dischi di pasta frolla ripieni di crema pasticcera e ricoperti di zucchero a velo. Queste squisite preparazioni nacquero per mano delle monache nelle cucine del convento di San Carlo ma la loro sopravvivenza di deve a Maria Grammatico, una donna locale che a undici anni è entrata nell’istituto e ha vissuto per anni insieme alle monache di clausura, da cui ha imparato l’arte pasticcera e la preparazione delle genovesi. Abbandonato il convento Maria aprì un suo primo laboratorio e, successivamente, quello attuale gestito ancora dalla nipote: l’Antica pasticceria del Convento, diventata una vera istituzione di Erice, propone ancora i genovesi preparati con la ricetta originale, oltre a tutta una serie di tipici dolci ericini a base di pasta di mandorle.

La monachina napoletana

Immagine

C’era una volta un convento di clarisse cappuccine nel centro storico di Napoli, chiamato il Monastero delle Trentatrè dal numero massimo di suore che poteva ospitare in contemporanea. Il convento esiste tutt’oggi, così come esiste l’eredità lasciata dalle sorelle del monastero fondato a metà Cinquecento: si ritiene che proprio qui nacque la monachina napoletana, un dolce di pasta sfoglia ripieno con crema pasticcera e confettura di amarene, cantato anche dal poeta napoletano Salvatore di Giacomo. Dal lontano 1700, epoca della loro invenzione, le monachine sono presenti nei bar e nelle pasticcerie della città e si gustano insieme al caffè per colazione.

Gli struffoli

struffoli ricetta

Rimaniamo ancora a Napoli per scoprire la storia degli struffoli, squisite palline dolci fritte, tuffate nel miele e guarnite con confettini di zucchero colorati e canditi a cubetti. Tutti sanno che sono un must delle feste natalizie, ma forse invece non conosci la loro storia: gli struffoli che conosciamo oggi sono opera del lavoro di alcune monache che, tra il XVI e il XVII secolo, recuperarono un’antica ricetta portata a Napoli dagli antichi Greci quando colonizzarono l’Italia del sud. Esistono due varianti della storia: una vuole che i dolci siano stati riportati alla luce dalle consorelle carmelitane della chiesa della Croce di Lucca (chiamato così perché si venerava un crocefisso proveniente da Lucca), l’altra li attribuiscono invece all’opera del convento di San Gregorio Armeno. In entrambi i casi la tradizione concorda sullo scopo della preparazione: le consacrate erano solite preparare gli struffoli nel periodo di Natale come dono da dare ai nobili durante l’anno si erano distinti per le loro generose offerte, ma anche per distribuirli ai poveri e ai fedeli che visitavano il convento.

Immagine
Quello che i piatti non dicono
Segui i canali social di Cookist
api url views