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26 Aprile 2024 14:30

Ricci del Gattopardo: la storia dei biscotti di clausura

I ricci del Gattopardo sono una specialità di Palma di Montechiaro, in provincia di Agrigento: protagonisti di un racconto inserito nel romanzo, si possono acquistare dalle suore di clausura, con un metodo molto particolare.

A cura di Monica Face
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A Palma di Montechiaro, un piccolo paese in provincia di Agrigento, c’è il Monastero benedettino del SS. Rosario, dove le monache producono dei dolci che vendono al pubblico. Tra i vari, i più famosi sono sicuramente i ricci del Gattopardo: bastoncini teneri e rigati, a base di mandorle, la cui ricetta è rimasta invariata nei secoli. Ma cosa hanno di particolare e come mai hanno un nome così curioso? Scopriamo la storia di questi biscotti, dalle origini alla vendita, che avviene esclusivamente dentro il monastero.

La vetrina che non c’è: la rota dei ricci del Gattopardo

Quando vuoi acquistare un dessert in una pasticcera, probabilmente ti soffermi a guardare la vetrina  prima di entrare, osservi i dolci in vendita e, se hanno una “bella faccia”, entri e scegli quale comprare. Ma visitando il monastero benedettino di Palma di Montechiaro, costruito tra il 1653 e il 1659, tutto questo non c’è. Non solo perché questi biscotti vengono venduti, appunto, all’interno dell’istituto ecclesiastico invece che in un negozio, ma anche perché al posto della vetrina c’è una ruota di legno, proprio quella che si usava per lasciare i neonati. Come in molti altri conventi, infatti, c’era questo dispositivo, noto come ruota o rota degli esposti, una struttura cilindrica rotante, generalmente in legno, con una sezione esterna e una interna, che veniva usata per accogliere i bambini in modo anonimo. Accanto alla rota si trovava spesso una campana, utilizzata per segnalare la presenza del neonato, e una sorta di cassetta per le donazioni, simile a una buca per le lettere, destinata a raccogliere contributi a favore degli addetti alla cura dei piccoli. Non vi era quindi alcun contatto visivo tra l’interno e l’esterno.

Le monache, vincolate da una rigida regola di clausura, mantengono una tradizione secolare per interagire con il mondo esterno in modo unico e riservato. E il visitatore che vuole acquistare i biscotti, dopo aver suonato un campanello, viene accolto dalla voce di una suora, visibile solo attraverso la grata. Dopo aver comunicato le proprie scelte e saldato il conto, i biscotti, confezionati con cura in vassoi, vengono consegnati attraverso la rota.

Questo metodo di vendita non solo garantisce il rispetto della clausura, ma permette anche alle monache di offrire i loro dolci, frutto di ricette tradizionali essenziali per il loro sostentamento. Insomma, si acquista alla cieca, senza la possibilità di vedere i prodotti prima, come usualmente accade negli acquisti tradizionali, ma con la certezza di ottenere dolci artigianali squisiti e aromatici.

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Dal monastero al romanzo: curiosità sul nome

Ma che legame c’è tra questa antica tradizione e il nome ispirato al famoso romanzo? Ebbene, la produzione di questi mandorlati, inizia intorno alla metà del XVII secolo, quando le suore del monastero del Santissimo Rosario svilupparono una ricetta per omaggiare la visita del Duca Santo Giulio Tomasi di Lampedusa, antenato di Giuseppe Tomasi, l'autore del celebre romanzo Il Gattopardo. II monastero, soggetto a severi vincoli di clausura che proibivano l'accesso agli uomini, faceva un'eccezione per il Principe, un privilegio che, come narra il romanzo, era motivo di orgoglio per lui. Durante le sue visite, le suore gli preparavano dei biscotti mandorlati, seguendo una tradizione locale. Questo episodio è stato romanzato e inserito nell'opera ed è per questo motivo che vengono chiamati così.

I ricci del Gattopardo sono un esempio di come la cucina monastica abbia influenzato la tradizione dolciaria siciliana tanto che, nel dicembre 2023, sono stati ufficialmente iscritti al REI "Registro delle Eredità Immateriali della Sicilia". Questa tradizione riflette non solo un’usanza religiosa, ma anche un’interazione unica tra la comunità monastica e quella laica, preservando la clausura e offrendo un prodotto di alta qualità fatto a mano.

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La ricetta

La Sicilia, nota per il suo clima ideale, vanta una ricca tradizione nella coltivazione di mandorle, in particolare quelle di Avola. La farina di mandorle, base di molti dolci siciliani, conferisce ai preparati una consistenza morbida e un sapore ricco tipicamente mediterraneo. Lo zucchero e le uova servono a legare gli ingredienti, mentre la scorza di limone aggiunge freschezza e profumo, bilanciando la dolcezza delle mandorle. Ecco come fare i ricci del Gattopardo.

Ingredienti

  • 400 g di farina di mandorle
  • 400 g di zucchero semolato bianco
  • 4 uova intere
  • la buccia grattugiata di un limone non trattato

Procedimento

  1. Mescola farina e zucchero, unisci la scorza di limone grattugiata. Aggiungi le uova una alla volta, impastando, fino a ottenere un composto morbido, da poter trasferire in un sac à poche.
  2. Usa una bocchetta a stella grande e crea dei bastoncini di ugual misura, lunghi circa 6-7 cm.
  3. Inforna a 180 °C per 10-15 minuti circa finché non saranno dorati. Poi lasciali raffreddare.
  4. I ricci del Gattopardo si conservano in scatole di latta per 2-3 settimane.
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