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29 Maggio 2022 15:00

Dare dignità al pesce di scarto: alla scoperta di zuppe e brodetti d’Italia

Tanti nomi, tante varietà, una sola necessità per un’origine comune: recuperare i pesci di scarto per creare delle sostanziose ricette di recupero di mare. Alla scoperta di alcune zuppe e brodetti di pesce d’Italia.

A cura di Alessandro Creta
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Se c’è un motto alla base di molte delle preparazioni delle varie cucine regionali italiane, questo è probabilmente “l’arte di arrangiarsi”. Tante ricette tipiche sono nate grazie all’ingegno di contadini, pastori, pescatori, capaci in tempi andati di ricavare il massimo dal poco che spesso, se non sempre, avevano a disposizione. Ricette di recupero, utili per non sprecare cibo e risorse in epoche (fino almeno all’inizio del 1900) in cui se in molti casi da questo passava l’andare a dormire con la pancia piena o vuota, in molti altri vi dipendeva direttamente la sopravvivenza.

Grazie all’ingegno e alla capacità creativa, data dalla necessità, di chi faticava per campi, per laghi o per mari, abbiamo oggi tante ricette derivate dalle loro trovate. Ne sono un esempio la panzanella, ne è un esempio l’acquacotta per citare due preparazioni figlie dei campi e dei loro prodotti. Emblematica anche la pignattaccia; una sorta di zuppa a base di quinto quarto di bovino, le parti che i mandriani non riuscivano a vendere perché comunemente considerate poco pregiate.

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Spostandoci dalla terra all’acqua il discorso non cambia: i pescatori condividevano le stesse necessità, gli stessi bisogni, di chi coltivava i campi o portava al pascolo gli animali. E il soddisfacimento di queste necessità passava attraverso il riuscire a recuperare e non sprecare quanto fosse frutto del loro lavoro. In questo caso da ciò che rimaneva a disposizione dal pescato giornaliero.

Capitava spesso che alcuni pesci, o dei loro tagli, rimanessero invenduti per esempio al mercato perché ritenuti di bassa qualità. Le scelte d’acquisto erano più legate alla grandezza del pesce stesso: più grande era, più poteva fare bella figura sulle tavole imbandite, per esempio, dei nobili.

E le specie più piccole e di minor valore? Quelle considerate di serie b? La cosiddetta “minutaglia”? Pur di non sprecarle i pescatori garantivano seconda vita a queste materie prime, rendendole protagoniste di gustosi e saporiti piatti di recupero come zuppe (più sulle coste tirreniche) o brodetti (dalla parte adriatica). In molti casi aromatizzati con erbe e resi più sostanziosi dall’uso, per esempio, di pomodoro o di pane. La preparazione? O direttamente sulla barca, oppure in grossi paioli una volta tornati sulla terraferma. Fatto sta che ogni zona, di fatto, ha dato i natali alla propria ricetta di riferimento, custodendola gelosamente.

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Ne è un esempio il cacciucco, ne è un esempio il brodetto marchigiano o quello veneto, così come la sbroscia di lago. Chiamiamole come vogliamo, sono tutte ricette figlie di una medesima necessità. La stessa da Nord a Sud d’Italia: recuperare del pesce freschissimo tanto valido quanto quello venduto.

E se pensate che sia una tendenza dei secoli scorsi quella di preferire alcune varietà ad altre, avete mai sentito parlare dei pesci dimenticati?

Quali sono le zuppe di recupero del pesce

Iniziamo quindi questo viaggio attraverso le coste italiane, alla scoperta di alcune delle storiche zuppe di recupero arrivate sino ai nostri giorni. Diventate da ricette anti spreco delle autentiche specialità della cucina contemporanea.

La parola d’ordine? Sicuramente varietà: l’utilizzo di una specie o di un’altra di pesce dipendeva, sostanzialmente da due fattori. Da ciò che veniva pescato e, conseguentemente, da ciò che rimaneva invenduto.

1. Buridda ligure

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Non proprio una vera e propria zuppa, specialmente nella versione savonese. Pesci come seppie, acciughe, grongo, palombo, triglie, code di rospo in questo caso sono tagliati in piccoli pezzi e cotti in umido con pinoli, pomodoro, patate olive nere e prezzemolo. Il tutto sfumato con del vino bianco. Nella variante genovese è conosciuta anche come pesce in tocchetto.

2. Brodetto alla veneta

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O broeto in dialetto regionale, è la preparazione a base di pesce povero che si realizza tra le città costiere del Veneto. Tra le varianti più note c’è il broeto ciosoto, cioè di Chioggia, a base per lo più di ghiozzi (fondamentali e immancabili), cannocchie, code di rospo, tracine e scorfani.

3. Cacciucco livornese

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Una ricetta nota, anche solo per sentito dire, da Nord a Sud d’Italia. Il cacciucco è il re della cucina di mare livornese, un must da provare per chiunque transiti per la città toscana. Come per le altre ricette già citate, e quelle che seguiranno, non c’è un “disciplinare” preciso nella realizzazione del cacciucco, perché tutto dipendeva e dipende dalle materie prime a disposizione e dalla loro quantità. I pesci, comunque, da tradizione vanno cotti insieme nel medesimo recipiente. A non variare sono aromi e condimenti: aglio, della cipolla, del peperoncino e della salvia non possono mai mancare.

4. Brodetto adriatico

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Famoso è quello di Fano, celebrato anche da una festa locale. A base di canocchia, gattuccio, mazzola, pesce prete, rana pescatrice, razza, pesce San Pietro, scorfano, seppia e tracina il brodetto fanese è tra i più noti della riviera romagnola, ma meritano una doverosa citazione anche quelli di Senigallia, Ancona o Porto Recanati, differenti per varietà utilizzate e preparazione, tutti unici a modo loro.

5. Sbroscia laziale

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Tipica del lago di Bolsena, il più grande di origine vulcanica di tutta Europa, è una zuppa di pesce d’acqua dolce per principio e origine uguale alle sue cugine di mare. Oggi è il coregone la varietà più utilizzata nella sbroscia, ma si tratta di una specie qui introdotta solamente un centinaio di anni fa. Tinche, lucci e anguille storicamente sono i pesci protagonisti della zuppa, con la cottura che avveniva in grossi paioli detti pignatte con materie prime povere della terra, tra cui patate, cipolle e aglio. Il tutto, stando alla tradizione, era preparato con l’acqua del lago.

6. Quatàra di Porto Cesareo

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Conosciuta anche come zuppa di pesce gallipolitana, prende il nome dalla quatara; vale a dire il recipiente di rame messo sul fuoco in cui si cuociono fino a 21 specie di pesci diverse. Prima viene preparato il sughetto, in cui si rosola insieme aglio, cipolla, prezzemolo e pomodorini, in poco olio d’oliva. Il tutto si insaporisce in acqua di mare per circa due ore, poi viene aggiunto gradualmente il pesce. Il piatto viene servito con crostoni di pane fritti.

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Quello che i piatti non dicono
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