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27 Novembre 2021 11:00

Buccellato o cucciddatu: la storia del dolce siciliano tipico delle feste

Il buccellato, anche chiamato cucciddatu, è il dolce siciliano tipico delle festività natalizie. Solitamente si prepara per la prima volta in vista dell'Immacolata. La sua storia comincia nell'antica Roma ed ha una leggenda strettamente legata a uno dei monumenti più belli di Palermo: Palazzo Zisa.

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Con l'arrivo di dicembre in tutte le case siciliane entra un dolce compagno di viaggio: il buccellato, anche chiamato cucciddatu. Si tratta di una ricetta diffusa in tutta l'isola, con le dovute varianti, e consumato nel periodo delle festività natalizie. Di solito il primo buccellato della stagione si mangia all'Immacolata ed è una tradizione secolare, in continua evoluzione, tant'è che oggi le versioni di buccellato sparse in tutta la Sicilia sono davvero tante.

Attorno a questo dolce antichissimo (pare risalga all'epoca dei Romani) ci sono poi tante leggende come per tutte le preparazioni del Bel Paese. Ci è voluta una giornalista americana, Faith Willinger, a ricordarci una cosa che spesso tendiamo a dimenticare: "L'Italia, come nazione, ha poco più di 150 anni. Le sue tradizioni culinarie di anni ne hanno 3000". Vediamo quindi la storia di un dolce che ha fatto parte della nostra tradizione a partire dagli albori della civiltà.

La storia del cucciddatu siciliano

La produzione di questo dolce è tipicamente siciliana, infatti è riconosciuta dall'assessorato regionale delle politiche agricole ed è protetta dal Ministero in quanto prodotto agroalimentare tradizionale italiano (con la sigla P.A.T.). Se siete passati almeno una volta dalla terra di Andrea Camilleri avrete sicuramente notato dei fichi asciugati al sole e infilati in lunghi fili di spago, o addirittura "incannati" ovvero infilzati in spiedi di canne. Parte di questi fichi serviranno per fare i buccellati in tutte le case, preparazione natalizia che ancora oggi contrasta i nordici panettoni e pandori.

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Il cucciddatu è un impasto di pasta frolla, con una sfoglia abbastanza spessa, farcito con fichi secchi, mandorle, scorze d'arancia e uva passa. Il tutto è a forma di ciambella e solitamente ha una dimensione importante. Va sottolineato che ingredienti, grandezza e forma variano a seconda delle zone ma quello tradizionale ha sempre questi elementi di base. Tutto questo lo sappiamo con certezza, perché la storia del buccellato comincia a Roma e ci sono tantissime testimonianze scritte a riguardo: l'antenato del buccellato si chiamava "panificatus", un pane dell'Impero ad alta conservabilità che poteva essere "buccellatum", ovvero "sbocconcellato". Il panificatus era importantissimo nella cultura del tempo: è proprio questo prodotto che gli imperatori (o chi per essi) lanciavano alla popolazione durante le feste e gli incontri gladiatori. L'addetto alla distribuzione si chiama infatti "buccellarium" e da qui arriva la storpiatura del nome in "buccellato".

I primi buccellatus venivano preparati con acqua, semola o fiore di farina, di qualità differente in base a coloro ai quali era destinato, proprio come sarebbe successo con il codice segreto dei fornai durante il Medioevo. La variante più diffusa sarebbe poi diventata la "panis nuticus", usata dai legionari, e la "panis castrensis", usata dai marinai. Queste ciambelle venivano impilate su di un bastone e sfilate alla bisogna. I marinai avrebbero poi usato l'acqua di mare per insaporire il pane: il buccellato moderno è figlio di questi due prodotti e ha una "sorella" campana. La fresella napoletana, cotta con la pietra refrattaria, è anch'essa a forma di ciambella e deriva proprio da questa antichissima preparazione Romana legata all'ambiente marinaresco.

Tornando al dolce siciliano vi sarete accorti che, fino a questo momento, di "dolce" c'è ben poco. Intorno al 400, con l'incombente fine dell'Impero Romano, cambiò lo stile di vita dei cittadini e con esso cambiarono le abitudini alimentari. Nonostante la crisi, il cibo assunse valore e le persone cominciarono a mangiare meglio, cercando varietà nei piatti. I Romani preparavano il buccellatus con frutta fresca e secca, soprattutto con i fichi, cospargevano la ciambella di miele e di tutto ciò che gli stuzzicava la fantasia.

Il buccellato moderno, tra Arabi e lucchesi

Con il Medioevo arrivano gli Arabi, i grandi promotori delle spezie e della frutta secca ed è infatti a loro che si assegna il perfezionamento del buccellato siciliano: cedro, mandorle, fichi secchi, sono abbinamenti introdotti in Sicilia durante la dominazione saracena. C'è però anche un'altra possibilità e arriverebbe da molto più vicino: nel Trecento, a Palermo, si insedia una folta rappresentanza di mercanti lucchesi.

Gli abitanti di Lucca intravedono nel capoluogo siciliano un grande sbocco economico. Si stabilizzano alla Loggia di Palermo e formano una confraternita chiamata Zita o Santa Cita, una santa molto venerata in Toscana. Il luogo di culto diviene un monastero domenicano in grado di offrire soccorso e riparo a tutti i lucchesi presenti in città e a chiunque ne avesse bisogno. Oltre alla sapienza medica e ai prodotti toscani, vengono introdotti anche dei piatti, tra cui questo dolce a ciambella ripieno di frutta secca. Esiste infatti un "Buccellato di Lucca" fatto però con ingredienti diversi.

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Foto da Pinterest | la volta della Sala delle Fontane

In realtà non si sa bene a chi dobbiamo la ricetta definitiva di questa squisitezza siciliana, probabilmente né agli Arabi né ai lucchesi, visto che alcuni elementi della ricetta moderna non sarebbero arrivati in Europa fino alla "scoperta" delle Americhe. La cosa che si sa con certezza è questa: uno degli elementi più iconici, che ha un forte significato religioso. Imprescindibile per ogni cucciddatu una folta presenza di diavulcchi all'esterno, quelle scagliette di zucchero multicolore che richiamano la forma della coda del diavolo. La nomea popolare di questa decorazione è un rimando ai diavoletti rappresentati sulla volta dell'arco all'ingresso della Sala della Fontana, a Palazzo Zisa. Secondo la leggenda, nascosto nel palazzo, sarebbe nascosto un grandissimo tesoro, custodito da innumerevoli diavoli che impediscono agli avventurieri di scovarlo. Nel cucciddattu il tesoro c'è, è il suo ripieno dolce, e i diavulicchi custodiscono proprio ciò che è nascosto nel dolce tipico della cucina siciliana.

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Quello che i piatti non dicono
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