25 Maggio 2020 11:00

Salse pestate: storia e curiosità del condimento tra i più semplici e amati della storia

Pesto genovese e non solo. Tra i condimenti più semplici e amati della gastronomia italiana, le salse pestate hanno conosciuto negli anni infinite versioni e variazioni. Tutte con un elemento in comune: l’utilizzo del mortaio e del pestello per amalgamare a freddo gli ingredienti prescelti. Con risultati, in quanto a gusto, cremosità e aromaticità, davvero ineguagliabili.

A cura di Emanuela Bianconi
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Preparazione base della gastronomia italiana, le salse pestate sono uno dei condimenti più antichi della storia. Nonostante le numerosissime versioni, che mutano a seconda dell’epoca storica, della zona geografica e delle esigenze, hanno tutte una caratteristica in comune: la lavorazione a freddo degli ingredienti, mescolati a pressione, per mezzo di un mortaio e di un pestello (da qui il termine “pestate”).

Il risultato? Una crema dal sapore rustico, straordinariamente fragrante (grazie agli oli essenziali rilasciati dagli aromi) e dalla consistenza voluttuosa, capace di esaltare qualunque alimento – dalla pasta fresca ai crostini di pane appena tostati – e di rendere speciale anche il piatto più semplice e improvvisato.

Lo strumento essenziale è il mortaio, un vaso profondo, a parete spessa, di pietra, bronzo o legno: la scelta del materiale è molto importante e va fatta in base al prodotto da pestare. Il mortaio si utilizza per spezzettare, polverizzare o amalgamare gli ingredienti vari e lo si fa per mezzo di un pestello preferibilmente di legno (per evitare di intaccare le pareti del mortaio).

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Sempre più spesso sostituiti, nella pratica moderna, da frullatori a immersione o mixer da cucina, questi strumenti sono legati a una gestualità antica, quasi rituale, e regalano preparazioni assolutamente ineguagliabili: soprattutto nel pesto ligure, la salsa pestata più amata, nel quale la frantumazione progressiva e delicata degli elementi – grazie ai movimenti rotatori continui – crea un’armonizzazione aromatica e una cremosità davvero avvolgente.

Una storia che parte da lontano

Le prime tracce di una salsa che fa da companatico a “focaccette rustiche di farina integrale o fette di un pane tipo Altamura, Gravina, Genzano” le ritroviamo addirittura nell’Appendix vergiliana, una raccolta di opere attribuite a Publio Virgilio Marone e scritte tra il I secolo a. C. e il II secolo d.C. (in realtà le probabilità che siano state scritte proprio dal poeta romano sembrano piuttosto basse). Al di là della paternità dello scritto, il Moretum – questo il nome sia dell’opera sia della preparazione – ci fornisce una testimonianza importante di quali fossero le abitudini dell’epoca. Fondamentalmente di cosa si trattava? Di una preparazione a base di formaggio, aglio ed erbette varie quali sedano, coriandolo e ruta che, pestati nel mortaio (dal latino moretarium), e legati con olio e aceto, davano vita a un composto cremoso e sodo “tanto da poter essere foggiato a guisa di palla, senza sformarsi”, dal sapore rustico e deciso.

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Nel De Re Rustica dello scrittore romano Columella, nel Libro XII, vi sono ulteriori ricette di moretum e una in particolare, che prevedeva l’aggiunta dei pinoli, ricorda il celebre pesto. Nonostante la ricetta più simile a quella attuale risalga ai primi anni dell’Ottocento – come evidenzia anche Massimo Alberini nel suo "I Liguri a Tavola. Itinerario gastronomico da Nizza a Lerici" – questa salsa ligure deriva certamente da un’altra ben più antica e di origine marinara: l’agliata. Siamo nel periodo della Serenissima Repubblica di Genova e questo battuto, ottenuto schiacciando solo teste d’aglio con un pizzico di sale e un filo di olio, veniva preparato in grandi quantità proprio dagli equipaggi marittimi. Accompagnato a pane o, quando disponibile, alla pasta, sfruttava le proprietà conservanti dell’aglio (e dell’aceto in alcune versioni) durante i lunghi viaggi in mare.

Da questa ricetta base ne sono nate molte altre arricchite con erbe aromatiche come basilico, timo e salvia o da una componente grassa come la frutta oleosa (pinoli e noci) o il formaggio. Nota ancora oggi è l’agliata bianca o salsa di noci, utilizzata come condimento tradizionale dei pansoti.

Simili a questa anche il machetto, una salsa di acciughe, e il marò, anche conosciuto come pestun de fave: confezionati amalgamando gli ingredienti crudi in un mortaio, questi due condimenti – anch’essi particolarmente ricchi di aglio – avevano la funzione primaria di preservare i cibi.

Le salse pestate più celebri

Ecco una breve rassegna delle salse pestate più celebri: ricette sopravvissute a lungo e che ancora oggi sono diffuse in varie zone della nostra Penisola.

1. Pesto ligure

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L’abbiamo citato più volte e non è certamente un mistero: il pesto è senza ombra di dubbio la più celebre delle salse, per così dire, pestate. Ma basta questo, ovvero mescolare un po’ di ingredienti insieme in un mortaio, per realizzarne un’ottima versione? I genovesi direbbero: “Cómme se abbâstasse solo pestâ, pe fâ ’n pö de pésto”. Certamente no.

Nonostante le infinite piccole varianti, per semplificare, si distinguono due tipologie di pesto: quello di Ponente, di cui fa parte anche il pesto alla genovese, e quello di Levante. Il primo, più semplice, si caratterizza per un sapore deciso, mentre il secondo, con una proporzione minore di aglio e l’aggiunta di altri elementi che ne ingentiliscono il risultato finale, è più ricco e raffinato.

L’ingrediente imprescindibile, valido per qualunque versione, è la presenza del basilico giovane di Genova, coltivato sulle alture di Pra’, e raccolto proprio nel momento in cui la pianta è in fiore. Tutelato dal marchio Dop, ha un sapore delicato e non mentolato, ideale per la preparazione di questa salsa.

Nel pesto di Ponente le piccole foglie di basilico vengono schiacciate in un mortaio, possibilmente di marmo, insieme a un buon pizzico di sale grosso (necessario per il frangimento delle fibre del basilico e per conservarne il colore verde brillante), spicchi di aglio, pecorino sardo, parmigiano stagionato e olio della Riviera Ligure a filo. Il tutto lavorato con un movimento rotatorio (e non dall’alto verso il basso, mi raccomando), fino a ottenere una consistenza cremosa e omogenea.

Nel pesto alla genovese, nella ricetta tratta da “La vera cucina genovese” di Emanuele Rossi, non compaiono, invece, il pecorino – sostituito con un “poco di formaggio d’Olanda” –  i pinoli e il sale grosso. Nella formula di Levante, preparata da Nervi fino alla Lunigiana, si dimezza la dose dell’aglio e vengono aggiunti pinoli freschi, che si possono anche leggermente tostare in forno, parmigiano e una piccola parte di pecorino sardo.

Estremamente versatile, il pesto è il condimento prediletto di trenette, lasagne, trofie, gnocchi di patate e anche minestrone; se alla pasta vengono aggiunti in cottura patate e fagiolini, questo viene chiamato secondo una consuetudine tipicamente ligure “avvantaggiato”.

Con il termine pesto, infine, viene definito anche un trito finissimo di aglio e prezzemolo, stemperato con l’olio, con cui in Lunigiana si condiscono i testaroli: una pasta acqua e farina cotta su un apposito utensile da cucina, il testo.

2. Salsa di noci

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Meno conosciuta della sorella genovese, la salsa di noci o agliata bianca è ben più antica di questa. Di origine asiatica, probabilmente persiana, le noci arrivarono in Liguria durante la Serenissima Repubblica grazie agli intensi scambi commerciali tra Genova e l’Oriente.

Nonostante ogni famiglia ligure abbia la sua personale versione, questa salsa viene realizzata pestando nel mortaio i gherigli di noce, scottati in acqua e pelati (mantenendo la pellicina si avrebbe una nota amara più spiccata), la mollica di pane, ammollata con un goccio di acqua, e l’aglio. Legata con olio extravergine di oliva e prescinsoeua, un latte cagliato, si ottiene una crema di colore chiaro, fine e omogenea. Ideale per condire paste asciutte e in particolare i pansotti, una pasta ripiena tradizionale simile a un raviolo triangolare e imbottita con erbette selvatiche.

3. Mataroccu

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Si tratta di una salsa siciliana tipica della zona di Marsala. Simile a quella ligure per l’utilizzo di alcuni ingredienti (tra tutti basilico, aglio e pinoli), il mataroccu viene spesso definito anche pesto alla siciliana o “pesto di Favignana”, dal nome dell'isola delle Egadi al largo di Trapani. Nella ricetta tratta da “Il libro d’oro della cucina e dei vini di Sicilia” di Pino Correnti, il basilico viene pestato nel mortaio insieme ad aglio, pinoli, prezzemolo, foglie di sedano, pezzetti di pomodoro fresco, olio extravergine di oliva, possibilmente siciliano, sale e pepe, fino a ottenere una poltiglia lieve, soffice e particolarmente saporita. Ideale per condire gli spaghetti o un altro formato di pasta secca a piacere. Una prelibatezza che racchiude tutti i sapori e i colori del Mediterraneo.

4. Pesto alla trapanese

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Qui cambiano alcuni addendi – come le mandorle che prendono il posto dei pinoli – ma il risultato finale, come si suol dire, non cambia ed è sempre vincente. Questa salsa di origine sicula, avvolgente e di colore rosso, grazie alla presenza dei succosi pomodori, è il condimento d’elezione delle busiate (o busiati), una pasta fresca tipica della regione; insieme danno vita a una ricetta antichissima: la pasta cu l'agghia pistata (con l’aglio pestato in dialetto siciliano).

Il pesto alla trapanese trae origine dall’agliata – quella salsa ligure da cui tutto nacque – ma viene rielaborata utilizzando i prodotti del territorio. Alla versione base, realizzata con pomodori ramati, mandorle pelate e tostate, parmigiano grattugiato, basilico e aglio, se ne aggiungono numerose varianti, differenti a seconda della zona e addirittura della consuetudine famigliare. Le mandorle si possono sostituire parzialmente o completamente con i pinoli o con una parte di pistacchi; il pecorino può prendere il posto del parmigiano e, per un sapore ancora più intenso e deciso, si può prevedere di aggiungere anche qualche pomodorino secco. Al contrario, per una texture più cremosa e un gusto più delicato, è possibile incorporare anche la ricotta di pecora o di mucca, fresca o stagionata. Insomma a ciascuno il suo pesto.

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