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3 Aprile 2020 11:00

Risotto, storia di un piatto italiano

Una vera e propria epopea quella del risotto, una storia che abbraccia episodi fondamentali dell'Europa e che è stata discussa da firme illustri come Pascoli, Bianchi, Goldoni e Gianni Brera. Coltivato già dai Babilonesi, la pratica di cucinare il riso si è diffusa in Italia grazie ai Greci prima e agli Aragonesi dopo; ma la nascita del risotto come piatto è tutt'oggi un mistero.

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La storia del risotto attraversa i secoli e si perde nelle pieghe più cupe del Medioevo ma allo stesso tempo è un piatto nuovo e ancora in evoluzione. Codificato parzialmente solo nel ‘900, ancora oggi i più importanti cuochi al mondo discutono su quale sia il riso adatto ad un determinato risotto e viceversa.

La sua storia è tutt'oggi piena di incongruenze e leggende: probabilmente nasce intorno al 1500 come piatto povero nelle case dei ceti meno abbienti ed è per questo che sono pochissime le testimonianze su questa celebre preparazione, almeno fino all'800. Ma ecco tutto quello che dovete sapere sul risotto.

In principio era il riso

Quando si pronuncia la parola “risotto”, nell'immaginario degli italiani, l’immagine va immediatamente al giallo vivo del risotto alla milanese, alle lande desolate del Triangolo del Riso (Pavia-Novara-Vercelli): ma il riso è un cereale di origine asiatica.

In pochi sanno che nella Mezzaluna Fertile – dove Assiri e Babilonesi cominciarono a stanziarsi e a mettere le basi della società civile – uno dei prodotti più coltivati era proprio il riso. Non è dato sapere cosa facessero questi due popoli col riso, ma sicuramente non lo mangiavano: probabilmente lo usavano come mangime per gli animali. I primi a “ingerire” il riso sono stati gli Egizi che usavano il riso in infusione per un brodo medicinale.

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Il rapporto tra il riso e la medicina continua per ben 3500 anni e attraversa la storia dei Greci e dei Romani, i primi a portare il riso in Italia, ma in posti totalmente inadeguati alla coltivazione. In Magna Grecia per decenni hanno cercato un metodo di coltivazione, ma solo oggi si ha un riso di qualità nella Piana di Sibari. Fino al 1400 il riso resta una piantina medicinale.

Nel Basso Medioevo con la borghesia che comincia a prendere potere il riso entra prepotentemente nella vita italiana. Le ipotesi che fanno gli storici sullo sviluppo della coltivazione e della “riscoperta” del riso sono tre.

La più accreditata è la cosiddetta ipotesi napoletana: in Spagna il riso viene venduto come spezia e cereale di grande prestigio importato dall’Oriente. Dopo la conquista di Napoli da parte degli Aragonesi, questi rinforzano la storica scuola di medicina di Salerno dove questo prodotto, nel 1400, è ancora molto usato come medicinale. I reali fanno sapere ai campani che il riso è anche buono da mangiare e che in Catalunya lo usano per il piatto più iconico del Medioevo: il Biancomangiare. Una “pappetta”, molto diversa dal buonissimo dolce siciliano di oggi, è una sorta di budino fatto solo con ingredienti bianchi addensati con la farina di riso.

Le altre due ipotesi sono meno probabili, ma per gli studiosi potrebbero essere addirittura tutte giuste: la prima vede il riso arrivare a Venezia tramite gli scambi con l’Oriente, la seconda vede il riso arrivare in Sicilia tramite la colonizzazione degli Arabi. Non è escluso che tutte e tre siano state addirittura contemporanee.

La demonizzazione del riso

Come spesso accade nella storia dell’uomo, le grandi scoperte sono figlie dei momenti di difficoltà. “Grazie” alla carestia dovuta all’invasione di Carlo VIII in tutto il Nord Italia (1494), le persone provano a mangiare qualsiasi cosa e scoprono quanto è buono il riso. In soli 20 anni tutto il Settentrione viene disseminato di risaie. Una delle poche certezze di questa storia è che prima del 1500 il riso non veniva mangiato, perché viene inserito dai burocrati nell’elenco dei “nuovi alimenti” dopo la scoperta dell’America, al pari del mais.

Il primo tentativo in cucina riguarda il pane: la farina di riso usata per l’impasto ma il risultato non soddisfa; qualcuno lo aggiunge alla minestra e qui comincia la storia del riso come vero alimento. Un cereale semplice in grado di far passare gli atroci morsi della fame.

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A tutto questo c’è un “però”. I medici del ‘500 notano che questa nuova coltivazione faceva ammalare di malaria i contadini. Prima di capire che questa malattia è portata dalle zanzare anofele o dalle acque stagnanti passano tre secoli. Per 300 anni l’Europa si è divisa tra chi sosteneva che il riso portasse la malaria e chi cercava altre strade.

Oltre a decine di leggi da tutti i governi del tempo che costringevano l’allontanamento delle risaie dalle città affollate, era “tradizione” fino al 1800 distruggere tutte le risaie una volta conquistato un territorio, proprio per esorcizzare la malaria. C’è voluta l’Unità d’Italia e la presa di coscienza di alcuni medici di Novara per capire che il riso no, non era un portatore di malaria e che bisognava far scorrere l’acqua nelle risaie, tanto per cominciare.

Fino alla fine del 1800 il riso viene impiegato solo per le zuppe, o quasi. Carlo Goldoni, lo scrittore che ha dato vita a La Locandiera, cita un risotto nei suoi scritti. Lo chef degli Este di Ferrara nel 1557 cuoceva il riso con formaggio, brodo, zafferano e tuorlo d’uovo, attribuendogli una paternità siciliana e ci sono delle testimonianze in Francia. Non è citata la tecnica odierna del risotto, se non in un unico testo di Felice Luraschi.

L’epopea del risotto e le dissonanze con la storia

Arrivati agli anni ‘30 del 1900 in tutta la Lombardia si diffonde a macchia d’olio il risotto alla certosina, un risotto condito con ciò che si aveva a casa, probabilmente ideato dai monaci della Certosa di Pavia. Contemporaneamente nasce il risotto alla milanese, con lo zafferano usato per riprodurre l’oro. La prima ricetta del risotto alla milanese è stata scritta da Giovanni Felice Luraschi nel 1853 col soffritto di cipolla nel burro, il midollo, il brodo e via dicendo.

Ci sono tante dissonanze nella storia del risotto. Negli anni ‘30 il risotto diffuso nel capoluogo meneghino viene “attaccato” da Giovanni Pascoli che, sulle pagine del Corriere della Sera, si scontra con il poeta e giornalista Vito Augusto Bianchi perché a suo dire il Risotto alla Romagnola era nettamente superiore a quello milanese e compariva già nell'’800. Lo fa a modo suo: con una splendida poesia che scrisse nel 1905.

Amico, ho letto il tuo risotto in …ai!
E’ buono assai, soltanto un po’ futuro,
con quei tuoi “tu farai, vorrai, saprai”!Questo, del mio paese, è più sicuro
perché presente. Ella ha tritato un poco
di cipolline in un tegame puro.V’ha messo il burro del color di croco
e zafferano (è di Milano!): a lungo
quindi ha lasciato il suo cibrèo sul fuoco.Tu mi dirai:”Burro e cipolle?”. Aggiungo
che v’era ancora qualche fegatino
di pollo, qualche buzzo, qualche fungo.Che buon odor veniva dal camino!
Io già sentiva un poco di ristoro,
dopo il mio greco, dopo il mio latino!Poi v’ha spremuto qualche pomodoro;
ha lasciato covare chiotto chiotto
in fin c’ha preso un chiaro color d’oro.Soltanto allora ella v’ha dentro cotto
Il riso crudo, come dici tu.
Già suona mezzogiorno…ecco il risotto
romagnolesco che mi fa Mariù.

Lo stesso risotto alla milanese ha una nascita leggendaria, collegata al Duomo di Milano, che risale al 1574: per il matrimonio della figlia del mastro vetraio Valerio di Fiandra, i colleghi avrebbero fatto aggiungere a un risotto bianco dello zafferano, la spezia usata per “dorare” le vetrate del Duomo. Pare che il piatto abbia avuto un grande successo: ma scompare dalle cronache fino alla ricetta di Luraschi.

Probabilmente il risotto è un piatto che in un modo o nell’altro è stato portato avanti e perfezionato man mano negli ultimi 500 anni, anche se ancora oggi le sue vere origini non ci sono note. Con l'arrivo della II Guerra Mondiale il riso diventa uno degli alimenti distribuiti agli italiani e il risotto viene accantonato in favore delle zuppe esattamente come nel Medioevo. Il boom economico aiuta però questo piatto a entrare definitivamente nella cucina degli italiani.

Il risotto negli sfavillanti anni dei Boomer

Il risotto sulla tavola degli italiani nel Dopoguerra è strettamente legato al Miracolo Economico Italiano, nel bene e nel male. Non c'è più bisogno del riso a zuppa per sfamare le persone: gli italiani vogliono solo salire sulla Fiat 500 e sfrecciare sulle autostrade. Si abbandona la cucina casalinga e comincia la globalizzazione: la fotografia migliore del periodo è in Ro.Go.Pa.G. un film a episodi del '63 dal nome improbabile, derivato dalle iniziali dei nomi dei registi Rossellini, Godard, Pasolini e Gregoretti. L'episodio in questione è diretto da Gregoretti, il titolo è Il pollo ruspante, con Ugo Tognazzi alla regia e l'esordio del piccolo Ricky al cinema a soli 8 anni.

In questo episodio c'è lo "scontro generazionale" tra padre e figlio: il piccolo apprezza il pollo dei primi Autogrill, più insapore, mentre il padre ricorda il pollo ruspante dell'infanzia. È l'Italia che corre e che non vuole cucinare a casa. In questo contesto si forma quella che poi sarebbe diventata l'alta cucina italiana, perennemente in equilibrio tra la tradizione e il progresso. Comincia una fase di ricerca su gusti, sensazioni, ingredienti, piatti.

Il risotto diventa uno dei simboli dell'Italia in tavola grazie alla versatilità che lo caratterizza. Il capostipite dell'esplosione del risotto è Nino Bergese. Ancora oggi il suo piatto viene riproposto dai giovani colleghi. Arriva poi Gualtiero Marchesi che cambia per sempre la cucina italiana. Non solo cibo buono, anche bello.

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L'ossessione per l'estetica di Marchesi deve aver confuso qualcuno perché mentre il maestro prendeva le 3 Stelle, gli altri ristoranti italiani facevano il risotto alle fragole. Siamo arrivati agli anni '80, un periodo edonistico come il risotto allo champagne, che lo rispecchia appieno: un momento in cui c'è stata la ferma volontà di abbinare salato, frutta e alcol. Ne vengono fuori dei piatti che si sono trascinati per tutti gli anni '90 ma fortunatamente la scuola di Marchesi, con i vari Canzian, Cracco, Oldani e altri grandi chef, ha salvato l'Italia e il risotto.

Oggi è considerato un piatto sontuoso e quasi tutti i ristoranti stellati propongono almeno un risotto in carta. L'eleganza dei grandi maestri della cucina italiana ha portato di nuovo in auge la tradizione del riso.

La diffidenza meridionale verso il risotto

Le generazioni nate a cavallo delle due guerre al Sud hanno fatto un ostracismo costante nei confronti del riso e del risotto per larga parte della propria vita. Ancora oggi per molti meridionali il riso è un alimento da mangiare “quando si hanno problemi di stomaco” e solo la generazione degli anni ‘80 ha perso questo pregiudizio. Ma da dove nasce, visto che il riso parte proprio dal Sud nella sua conquista dell’Italia? La colpa è della pessima cucina della Prima Guerra Mondiale.

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Ai soldati in trincea veniva offerto un riso stracotto, tiepido e scondito che diventava velocemente una colla e che arrivava dalle retrovie delle trincee, dove veniva cotto in pentoloni enormi e poco puliti. Mentre i soldati del Nord avevano un ricordo del “riso vero”, il primo contatto moderno dei meridionali con questo cereale è stato traumatico e i sopravvissuti, tornati a casa, non hanno più voluto sentir parlare del riso in vita loro. Fortunatamente negli anni molte cose sono cambiate, anche grazie all'evoluzione della cucina gourmet, e oggi non sono pochi gli chef del Sud dello Stivale che mettono personali elaborazioni del risotto in menù.

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Quello che i piatti non dicono
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