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2 Marzo 2024 11:00

Storia del pollo alla cacciatora: da piatto agricolo a icona della cucina italiana

Ecco come una semplice pietanza di campagna è diventata un capolavoro della tavola italiana: la storia di un piatto e la sua evoluzione.

A cura di Monica Face
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Oltre alla sua indubbia bontà, il pollo alla cacciatora è un piatto che racconta necessità trasformate in virtù, di sapori genuini che si sono tramandati e che sono arrivati fino ai giorni nostri. Ne esistono molte versioni, da quelle in bianco a quelle con pomodoro, e sono diverse le regioni che ne rivendicano la paternità. La tenera consistenza della carne fa venire voglia di addentarla, mentre il sughetto sembra chiamare un pezzo di pane da intingere. Con l'acquolina in bocca scopriamo quindi la storia, le origini del nome e le varianti regionali del pollo alla cacciatora.

Un piatto dalle antiche origini

Le origini di questo piatto non sono precise, ma possiamo affermare che venne ideato per appagare l'appetito dei cacciatori impegnati nella lunga attesa di prede consistenti. Sembra che originariamente fosse uno stufato ricco e sostanzioso, ideale per essere preparato e gustato all'aperto, ben lontano quindi dall'essere considerato un piatto raffinato, ma capace di conquistare il palato di tutti, specialmente se accompagnato da abbondanti fette di pane per fare la "scarpetta" nel sughetto. È importante sottolineare che, nelle sue origini, questo piatto non prevedeva l'uso del pomodoro, ingrediente aggiunto solo successivamente, arricchendo ulteriormente il sapore di questa preparazione.

La paternità del pollo alla cacciatora è oggetto di contesa tra diverse regioni italiane, tra cui primeggiano la Toscana, l'Emilia Romagna, l'Umbria, le Marche, il Lazio e l'Abruzzo, ciascuna rivendicando le proprie origini. In particolare, in Toscana, tra il XIX e il XX secolo, il piatto divenne simbolo delle tavole contadine, celebrato durante le festività come la domenica o il Natale. Questa profonda radicazione nella cultura toscana è forse il motivo per cui la regione ne rivendica con forza la paternità. Come vedremo più avanti, ogni territorio ha saputo esaltare il piatto, arricchendolo con ingredienti che riflettono la propria cultura e tradizione contadina. Ciò che unisce le varie interpretazioni regionali è l'uso di erbe aromatiche, in particolare il rosmarino, e l'aggiunta di vino o aceto per sfumare.

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Ma perché si chiama “alla cacciatora”?

Questo piatto, nato dall'ingegnosità dei contadini, veniva originariamente preparato con quanto di più genuino offrisse la terra: polli ruspanti dall'allevamento, vino dalla propria vigna, carote, olive, pomodori, sedano e rosmarino coltivati nell'orto di casa. Il nome "alla cacciatora" richiama immediatamente l'immagine di un piatto robusto e saporito, preparato con ingredienti semplici ma essenziali come l'aglio e il rosmarino: si tratta, infatti, degli stessi condimenti che i cacciatori utilizzavano per insaporire le prede appena catturate, dando vita a preparazioni ricche di gusto e tradizione.

La denominazione "pollo alla cacciatora" o "pollo alla cacciatore" si radica quindi in un contesto storico in cui i cacciatori, al ritorno dalle loro escursioni, avevano necessità di preparazioni che rendessero la carne selvatica, come coniglio o fagiano, morbida e saporita. Con il passare del tempo, la ricetta ha subito una trasformazione, adattandosi all'uso del pollo, divenuto prediletto per la sua abbondanza, la facilità di reperimento e la sua versatilità in cucina.

Variazioni sul tema: il pollo alla cacciatora nelle cucine regionali d'Italia

Si tratta di un piatto che si presta a innumerevoli interpretazioni, variazioni che non solo attestano la ricchezza della biodiversità italiana ma anche l'ingegnosità dei suoi cuochi nel reinterpretare le ricette in base agli ingredienti disponibili, anche perché l’assenza di un disciplinare permette ampia libertà.

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Del resto, nonostante il suo indiscutibile sapore, questa pietanza conserva un legame profondo con la cucina casalinga e tradizionale, trovando raramente spazio nei menù dei ristoranti italiani, proprio per le sue umili origini. La prima differenza evidente è la presenza o meno del pomodoro, ma si registrano anche variazioni sull'uso di olive, odori e altri ingredienti locali. Emblematica è la variante toscana, che oltre a rosmarino e aglio, include cipolla, sedano, carote e alloro: il pollo viene prima insaporito con erbe aromatiche, poi sfumato con il vino, infine cotto nel pomodoro.

A Roma e nel Lazio, il piatto viene spesso preparato con pomodoro, olive bianche e verdi, odori a cui talvolta, viene aggiunta un’alice sotto sale. Non è rara anche la versione in bianco. La Liguria arricchisce il piatto con olive taggiasche e pinoli, elementi che riflettono il territorio ligure, in una versione del piatto che sposa i sapori del mare con quelli della terra. In Umbria, il piatto si distingue per l'aggiunta di acciughe, capperi e limone, con passata di pomodoro per una versione particolarmente saporita. Nelle Marche, la preferenza va a una cottura in umido con focus su aglio e rosmarino, con l'eventuale aggiunta di vino, bianco o rosso a seconda delle preferenze. Questa varietà testimonia la versatilità del pollo alla cacciatora e il suo profondo legame con la cultura contadina da cui origina, che celebra l'arte della cucina italiana in tutte le sue sfumature.

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Quello che i piatti non dicono
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