
Il pesce persico africano, conosciuto anche come Lates niloticus o Nile perch, è una delle specie ittiche più discusse e per certi versi, più controverse del panorama alimentare globale. Apprezzato in cucina per la sua carne bianca e delicata, questo pesce è largamente esportato in Europa, spesso sotto forma di filetti congelati. Tuttavia, dietro il suo sapore neutro e la sua versatilità gastronomica, si nascondono criticità legate alla sicurezza alimentare, alla tracciabilità e, soprattutto, a gravi problemi ambientali e sociali nei paesi di origine. Comprenderne le caratteristiche è fondamentale per cucinarlo con consapevolezza.
Cos’è e come si cucina il pesce persico africano
Il pesce persico africano è un grande predatore d'acqua dolce originario del bacino del Nilo e di alcuni grandi laghi africani, in particolare il Lago Vittoria, dove è stato introdotto negli anni '50. Può raggiungere dimensioni impressionanti: fino a due metri di lunghezza e oltre 200 kg di peso. La sua crescita rapida e il suo valore commerciale l'hanno reso una risorsa economica centrale in molte nazioni africane, tra cui Uganda, Tanzania e Kenya.
Esteticamente, il persico africano si presenta con un corpo massiccio, schiena scura, ventre chiaro e grandi pinne dorsali. La carne è di colore bianco-rosato, con una consistenza soda ma tenera. Ha un gusto delicato, poco intenso, che lo rende perfetto per piatti anche elaborati o per chi non ama i sapori troppo intensi di mare.
Il persico africano è un pesce molto versatile: è adatto a fritture leggere, grigliate, può essere cotto al forno o cucinato in umido con verdure e spezie. Viene spesso proposto in filetti senza pelle e senza lische, il che lo rende comodo anche per la ristorazione veloce e per i pasti familiari. In alcune cucine africane locali è protagonista di zuppe e stufati, mentre in Europa lo si trova sempre più spesso come alternativa economica a merluzzo e nasello.

I problemi legati alla sicurezza alimentare
Ed è proprio qui che iniziano le criticità. I filetti di pesce persico africano, destinati all’esportazione, spesso subiscono lunghi viaggi in catena del freddo e non sempre con controlli rigorosi. Alcuni report internazionali hanno evidenziato la presenza di residui di antibiotici, parassiti o contaminanti ambientali come metalli pesanti. Inoltre, l'origine esatta del pesce è difficile da tracciare: viene spesso etichettato in modo generico, e può entrare nei circuiti di distribuzione sotto nomi commerciali fuorvianti. In Italia, negli ultimi anni, diverse associazioni dei consumatori hanno lanciato allerte su filetti non conformi alle normative sanitarie europee.

Oltre ai rischi alimentari, il pesce persico africano è simbolo di una catastrofe ecologica. La sua introduzione nel Lago Vittoria ha causato l'estinzione di centinaia di specie autoctone, alterando l'equilibrio dell’ecosistema. Sul piano umano, il commercio del persico ha creato un’industria redditizia per pochi, mentre le comunità locali vivono spesso in condizioni precarie, senza accesso al pesce che pescano e lavorano per l’esportazione. Il documentario Darwin’s Nightmare ha denunciato duramente questa situazione, evidenziando come il pesce destinato alle tavole europee sia spesso frutto di uno sfruttamento silenzioso e sistemico.
Il pesce persico africano è un alimento buono, nutriente e facile da cucinare, ma non è “neutrale”. Chi lo acquista dovrebbe informarsi bene sulla provenienza, prediligere prodotti certificati, e chiedere maggiore trasparenza alle catene di distribuzione. La gastronomia non può più prescindere dall’etica, e anche un piatto di pesce apparentemente anonimo può raccontare storie di squilibri ambientali, sociali e sanitari. Mangiarlo o evitarlo è una scelta, ma deve essere una scelta informata.