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4 Aprile 2024 14:50

Perché il miele non scade mai e cosa indica la data che si legge in etichetta

Il miele non ha una data di scadenza: per legge è obbligatorio indicare sul vasetto un termine minimo di conservazione oltre al quale perde tutte le sue proprietà organolettiche, ma non diventa nocivo.

A cura di Federica Palladini
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Il miele non scade mai? Questa volta non siamo di fronte all’ennesimo falso mito del mondo del cibo, ma è così: il miele non ha una data di scadenza vera e propria, ma quella che leggiamo sull’etichetta è un’indicazione che suggerisce al consumatore fino a quando il prodotto è commestibile garantendone pienamente le proprietà organolettiche nel momento in cui viene conservato in modo adeguato. Grazie alla sua composizione chimica, fatta prevalentemente di zuccheri (75%-80%) e di acqua (per legge il massimo è il 20%), infatti, è difficile che nel miele si formino microrganismi che possano farlo deperire e renderlo pericoloso per la salute. Il miele subisce comunque un processo di invecchiamento per cui, dopo un certo tempo dall’invasettamento, perde le sue peculiarità, sia in termini di sapore e odore sia di vitamine, enzimi e sali minerali. Può capitare che il miele fermenti: è praticamente l’unico caso in cui va a male ed è meglio non mangiarlo, nonostante non sia comunque nocivo o tossico.

Perché il miele ha una data di scadenza?

Quello che nel miele in etichetta deve essere indicato secondo la normativa vigente (Decreto Legislativo n.179 del 21 maggio 2004) è il termine minimo di conservazione (abbreviato in TMC) che viene genericamente espresso con la dicitura “da consumarsi preferibilmente entro…”. L’arco temporale va circa dai 18 mesi (si troveranno scritti il mese e l’anno di produzione) ai 2 anni (in questo caso solo l’anno). Il miele è quindi un prodotto che si mantiene a lungo, ma solo se preservato in condizioni favorevoli, che spesso vengono anch’esse specificate sulla confezione: per esempio “conservare in luogo fresco e asciutto, al riparo dalla luce”. Il calore, l’umidità e la luce diretta, infatti, sono elementi che possono portare il miele ad alterare le sue proprietà organolettiche, favorendone il processo di deperimento: oltretutto, siamo di fronte a un prodotto che assorbe gli odori ed è per questo che andrebbe sempre mantenuto nel suo vasetto ben chiuso.

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Per valutare la freschezza e la conservabilità di un miele, fattori che ne determinano anche la qualità, ci sono delle verifiche che si svolgono all’interno di laboratori e che misurano in particolare due valori, come spiegato nel disciplinare redatto da Conapi (Consorzio Nazionale Apicoltori): il primo è l’indice diastasico, quindi la concentrazione maggiore o minore di diastasi, un enzima che essendo termosensibile può far capire se il prodotto è stato sottoposto a trattamenti termici; il secondo è il valore di HMF, ovvero l’idrossimetilfurfurale, una sostanza che si forma nel miele con l’invecchiamento e che è rivelatrice della degradazione chimica che il prodotto subisce nelle fasi di lavorazione e mantenimento.

Come capire quando il miele è andato a male

Il miele è un prodotto che può presentare quelli che in gergo tecnico vengono chiamati difetti, delle imperfezioni che impattano alcune solo sull'estetica e altre che, invece, implicano alterazioni del prodotto. Per esempio, quando nel vasetto compaiono delle striature bianche si è verificato il fenomeno della marezzatura, con parti di glucosio che si sono disidratate perché venute a contatto con l’aria. Queste macchie di retrazione, così come sono definite, riguardano puramente l’aspetto del miele, che sarà però integro nelle sue proprietà e commestibile al 100%.

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Al contrario, invece, quando avviene la fermentazione, il prodotto è andato a male: i lieviti presenti naturalmente hanno avuto modo di svilupparsi, formando sulla superficie del miele una schiuma e conferendo un odore acetoso. Qual è il motivo? La presenza di troppa umidità oppure la conservazione a temperature superiori ai 18 °C. Conapi cita alcune varietà che sono più predisposte alla fermentazione: erica, tarassaco, colza, edera, corbezzolo, acacia e castagno.

Una condizione estetica a cui prestare attenzione è la separazione di fasi, ovvero se ci si accorge che nel vasetto c’è una netta divisione in due strati, con la parte cristallizzata in basso e ai lati e la parte liquida in alto. Come sottolinea Unaapi (Unione Nazionale Associazioni Apicoltori Italiani), ciò può dipendere dall’esposizione a temperature maggiori rispetto a quelle raccomandate, oppure essere sintomo di una possibile futura fermentazione, in quanto vi è un alto contenuto di acqua. Il consiglio, quindi, è quello di non acquistarlo e di evitare di consumarlo.

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