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15 Agosto 2022 13:00

Padrenostri e avemarie: perché alcune paste hanno il nome delle preghiere

Si chiamano paternostri e avemarie, sono due formati di pasta molto simili tra loro ma con una piccola grande differenza. Grazie alla quale hanno i nomi di due specifiche preghiere. Scopriamo il perché.

A cura di Alessandro Creta
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Esistono due tipi di formati di pasta, simili a piccoli cilindretti forati, lisci o rigati esternamente, chiamati padrenostri (o paternostri) e avemarie (o avemmarie). Il motivo? Risale al Medioevo ed è da ricercare nella cottura della pasta stessa.

Farfalle, conchiglie, penne, mezze maniche, i nomi di molti formati di pasta sono facilmente intuibili, da ricondurre direttamente alla loro forma. Ci sono altri nomi apparentemente di più difficile comprensione etimologica, come per esempio paccheri, strozzapreti, tortellini o ziti. Gnocchi, poi, ma cosa diamine vuol dire gnocchi? E sorvoliamo proprio su pici e bigoli.

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Se questi ci potevano sembrare nomi peculiari, e dalla nebulosa origine, cosa possiamo dire delle paste che si chiamano come le preghiere? Cosa possiamo dire dei paternoster e delle avemarie? Se oggi in molte famiglie è uso comune recitare una preghiera prima di mangiare, un tempo i salmi venivano declamati mentre la pasta era in acqua. E non per ingraziarsi il Signore o benedire il pasto, ma per cercare di capire approssimativamente quando la pasta stessa fosse pronta per essere scolata.

Pasta col nome delle preghiere: il motivo

D'accordo, specialmente per noi italiani il cibo è quasi una religione, e la pasta è tra gli alimenti a cui siamo laicamente più devoti. Da qui però ad affibbiare alle paste i nomi delle preghiere, apparentemente, ce ne passa. Stiamo parlando, in particolar modo, di due formati molto simili esteticamente tra loro, ma differenziati da una piccola peculiarità alla base del loro nome.

Nello specifico stiamo parlando della pasta da minestra comunemente conosciuta su e giù per lo Stivale come ditali, ma specialmente in Toscana essi sono chiamati padrenostri (o paternostri nella forma più latineggiante) e le più piccole avemarie, e così vengono anche commercializzati da vari brand. Proprio come le preghiere insomma che siamo abituati a sentire e recitare sin dalla più tenera età, ma qual è il motivo? Tutto è dovuto alla misurazione del tempo di cottura della pasta.

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Non si può certo dire come la pasta si prepari in un amen, serve qualche secondo in più. Per la precisione, il tempo necessario per recitare, rispettivamente, qualche Padre Nostro o un paio di Ave Maria. Secoli fa, infatti, quando non esistevano orologi, timer o cronometri, lo stratagemma più diffuso per calcolare il tempo di cottura della pasta era la declamazione delle preghiere.

Una volta gettata nell'acqua bollente si iniziavano a recitare uno o più salmi (rigorosamente in latino) in base al tempo di cottura previsto per la cottura. Dopo l'amen finale, di fatto, si scolava il tutto: cotto a puntino. A chi dobbiamo questo trick culinario? Sembra fu uno dei principali gastronomi della nostra storia culinaria, Maestro Martino, a suggerire nel 1400 in uno dei suoi trattati di calcolare il tempo di cottura attraverso le preghiere. Definendo per gran parte delle paste esistenti il quantitativo di salmi necessari per la loro cottura.

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Il formato di pasta più piccolo, quindi, si cuoceva nel tempo di qualche Ave Maria, più breve rispetto al Padre Nostro, recitato per calcolare la cottura dei "cugini" leggermente più grandi e spessi.

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