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27 Aprile 2025 11:00

La storia dei savoiardi, i biscotti nati alla corte dei Savoia che hanno conquistato l’Europa

Nati per stupire un re, amati in ogni angolo del continente e reinterpretati in mille forme: i savoiardi continuano a raccontare secoli di cultura dolciaria.

A cura di Monica Face
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I savoiardi sono tra i biscotti più iconici della pasticceria italiana: lunghi, leggeri e dalla consistenza spugnosa, si riconoscono al primo morso per la loro semplicità raffinata. Nati in un contesto aristocratico, hanno attraversato secoli e confini, entrando a far parte di tante tradizioni dolciarie locali. Oggi sono indispensabili per il tiramisù, ma compaiono anche in numerose altre preparazioni. Scopriamo allora la vera storia dei savoiardi, i biscotti che da oltre sei secoli attraversano corti, ricettari e cucine di tutta Europa.

Dalle nobili origini alla diffusione europea

I savoiardi nascono in un contesto aristocratico ben preciso: la corte dei Savoia, sul finire del XIV secolo, in un’area che oggi segna il confine tra Italia e Francia. Una delle versioni più affascinanti racconta che, durante la visita del giovane Carlo di Lussemburgo, futuro imperatore con il nome di Carlo IV, alla corte di Chambéry i cuochi di Amedeo VI di Savoia presentarono un dolce imponente a forma di castello, costruito con biscotti leggeri e spugnosi. Un gesto che suonava quasi come un auspicio, un omaggio simbolico destinato a suggellare i legami tra la Savoia e l’Impero e, forse, ad anticipare la futura ascesa della dinastia.

Più accreditata dagli storici e dalle fonti gastronomiche è invece la ricostruzione che colloca la nascita dei savoiardi verso la fine del XIV secolo, proprio alla corte di Amedeo VI. Secondo questa versione, i biscotti furono ideati in occasione di una visita ufficiale di Carlo VI di Francia: dovevano essere leggeri ma eleganti, semplici ma scenografici. Nacque così un dolce affusolato, asciutto e soffice, privo di burro o latte, perfetto per accompagnare vini dolci e infusi senza sovrastarli, ma esaltandone il profilo aromatico.

Il nome savoiardo fu scelto per rendere omaggio diretto alla dinastia che ne aveva ispirato la creazione. Da quella prima apparizione, il biscotto iniziò un percorso di diffusione rapida e duratura: dalle mense nobiliari alle cucine borghesi, fino ai monasteri dove veniva riprodotto con ingredienti più semplici ma fedeli alla ricetta originaria.

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La fortuna dei savoiardi proseguì ben oltre i confini di corte. Nel 1873, Alexandre Dumas — celebre romanziere, autore de Il conte di Montecristo,  ma anche appassionato gastronomo — li cita nel suo Grand Dictionnaire de Cuisine, affiancandoli al più elaborato gâteau de Savoie per sottolineare come, da una stessa tradizione aristocratica, fossero nate due preparazioni diverse: una più ricca e sontuosa, l’altra più semplice e leggera, pensata per l’uso quotidiano. Un segno della loro presenza ormai consolidata nei ricettari d’Europa.

Nel tempo, questa preparazione nobiliare si è trasformata in patrimonio collettivo, radicandosi nella tradizione dolciaria di diverse regioni italiane e assumendo nomi, forme e usi diversi, pur conservando quell’equilibrio tra leggerezza e struttura che ancora oggi lo rende unico.

Un biscotto, molte identità: le varianti regionali dei savoiardi

Dalla corte dei Savoia, i savoiardi si sono diffusi nei territori sotto il loro controllo, adattandosi alle tradizioni locali e assumendo forme, nomi e consistenze diverse. In Piemonte, dove la ricetta ha avuto origine, sono rimasti i più vicini alla versione classica: leggeri, asciutti, friabili al punto da spezzarsi tra le dita, perfetti per l’inzuppo o per dolci al cucchiaio che richiedono una base ariosa ma stabile. In Liguria, dove prendono il nome di caporali, i biscotti risultano leggermente più consistenti: meno friabili dei piemontesi, presentano una struttura più compatta, adatta più alla colazione quotidiana che alle preparazioni di pasticceria.

In Molise, la variante nota come prestofatti si distingue per una consistenza ancora più densa: sono biscotti semplici, pensati per durare e per accompagnare bevande calde, con una struttura meno spugnosa e più piena al morso. In Sardegna, invece, i savoiardi si sono trasformati in pistoccus o biscotti di Fonni, più rustici e irregolari nella forma. Qui prevale la morbidezza: l’interno è più umido, la superficie meno croccante e il risultato finale è un biscotto che tende a sciogliersi in bocca, perfetto anche da solo o leggermente inzuppato nel latte.

In Sicilia, arrivati durante la dominazione sabauda del primo Settecento, i savoiardi hanno assunto numerosi nomi e forme a seconda della zona. Nella provincia di Trapani vengono chiamati saviarda, mentre nell’area di Enna si conoscono come firrincuozzu. In entrambi i casi, si tratta di versioni particolarmente soffici, spesso più dolci e meno asciutte rispetto all’originale: talvolta la loro consistenza ricorda quella di un piccolo pan di Spagna, elastica e delicata, adatta sia da sola che come base per creme e liquori nei dolci tradizionali.

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Perché i savoiardi sono diversi dagli altri biscotti

A distinguerli da altri biscotti da inzuppo è la struttura. All’esterno risultano leggermente croccanti, grazie alla spolverata di zucchero a velo che in cottura forma una sottile crosticina. All’interno, invece, conservano una consistenza asciutta ma soffice, data dall’alto contenuto d’aria incorporata durante la lavorazione delle uova. La ricetta tradizionale non prevede grassi, né lievito: tutto dipende dalla tecnica. Gli albumi vanno montati a neve ben ferma e incorporati con delicatezza a tuorli e farina, per non compromettere il volume dell’impasto. Una leggerezza che li rende perfetti per dolci al cucchiaio: sono, infatti in grado di assorbire caffè, bagne alcoliche o sciroppi senza diventare molli, mantenendo la forma e contribuendo alla struttura del dolce finale.

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Il legame tra savoiardi, tiramisù e altri dolci al cucchiaio

Sebbene abbiano origini antiche, i savoiardi hanno trovato nuova popolarità grazie al tiramisù, il celebre dolce al mascarpone nato nel Nord Italia nella seconda metà del Novecento. Diffusosi prima in Veneto e Friuli Venezia Giulia, il tiramisù ha contribuito a riportare questi biscotti sotto i riflettori, rendendoli imprescindibili in ogni pasticceria italiana. La loro capacità di assorbire il caffè e di mantenere una consistenza soffice, è alla base della struttura equilibrata del dessert. Senza i savoiardi, il tiramisù perderebbe una parte importante della sua identità, sia nella versione classica che in quelle rivisitate con frutta, cioccolato o liquori.

Ma i savoiardi non si fermano qui: nella zuppa inglese, dolce a strati di origine rinascimentale, sono spesso utilizzati al posto del pan di Spagna, con ottimi risultati, così come la charlotte, di tradizione francese, dove vengono disposti verticalmente a rivestire stampi cilindrici, per contenere creme fredde e mousse. In alcuni paesi, come in Inghilterra o negli Stati Uniti, i savoiardi (spesso commercializzati come ladyfingers) sono utilizzati in numerose trifle e dessert al bicchiere, combinati con panna, frutta o gelatine.

Tiramisù al pistacchio

Anche nella pasticceria contemporanea, i savoiardi trovano nuova vita in preparazioni moderne: alcuni chef li trasformano in crumble leggeri, li usano come base per semifreddi oppure li reinterpretano con farine alternative, aromi speziati o colorazioni naturali. Esistono anche versioni industriali studiate appositamente per il congelamento, impiegate nella ristorazione e nel catering, dove è richiesta una resa perfetta in ogni condizione. Che siano imbevuti di caffè o nascosti sotto una colata di crema, i savoiardi restano una certezza: morbidi, discreti, ma pronti a fare la differenza in ogni cucchiaio.

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