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8 Aprile 2023 11:00

Il viaggio dei grissini di Torino dalle cucine di Casa Savoia alle nostre tavole

Nati nel 1679 su richiesta di Casa Savoia, i grissini di Torino sono poi diventati famosi in Italia e in tutto il mondo: ecco a storia che li ha portati fino a noi.

A cura di Monica Face
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Entrando in un ristorante ti sarà sicuramente capitato di trovare al tavolo un cestino con qualche confezione di grissini, specialità tipica torinese, per la precisione di Chieri. Si tratta di bastoncini di pane secco e croccante, fatti tradizionalmente con farina, lievito, acqua e sale, anche se esistono numerosi varianti: ogni panificio custodisce gelosamente i segreti del proprio impasto. Ma la caratteristica principale dei rubatà, così sono chiamati, è quella di essere fatti ancora oggi a mano. Scopriamo come sono stati inventati i grissini rubatà e perché sono diventati così famosi.

Chi ha inventato i grissini?

I grissini hanno una lunga e interessante storia. Siamo nel 1679 e il piccolo Vittorio Amedeo II, futuro re, cagionevole di salute cagionevole, non riesce a digerire il pane tradizionale. Il medico di Casa Savoia incarica così il fornaio di corte, Antonio Brunero, di creare un prodotto da forno leggero e privo di mollica. Partendo dall’impasto del classico pane torinese, la ghersa, simile a uno sfilatino, nasce così il ghersino, una versione più secca che il principe riesce a digerire.

Altre fonti accostano però la nascita del ghersino alla svalutazione della moneta. Infatti in quel periodo il pane, la ghersa non era venduta a peso, ma a pezzo. I fornai dell’epoca così iniziarono a cambiare forma e dimensione per “mascherare” l’aumento del prezzo. L'ottima digeribilità, ma soprattutto la conservazione più lunga rispetto a quella del pane fresco, resero i ghersini via via popolari, al punto da diventare molto diffusi prima in tutto il Piemonte, poi nel resto d’Italia, diventando particolarmente apprezzati anche a corte. Si racconta infatti che Re Carlo Felice amasse sgranocchiarli durante gli spettacoli al Teatro Regio.

E che dire di Napoleone? Una volta assaggiati “les petits bâtons de Turin” (i bastoncini di Torino) Bonaparte fece istituire un servizio di corriera fra Torino e Parigi dedicato quasi esclusivamente al trasporto dei grissini.

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La lavorazione artigianale e l’origine del nome Rubatà

Ma come si è arrivati a chiamare i grissini rubatà? Appena inventati la produzione di questi bastoncini croccanti era piuttosto complessa e prevedeva quattro figure professionali: c’era infatti lo stiror, colui che stirava l’impasto, il tajor che tagliava la pasta in pezzi di circa 3 centimetri, il coureur si occupava di sistemare i bastoncini su una pala lunga fino a 4 metri e li infornava e infine il gavor a cui spettava il compito di estrarre i bastoni dal forno e di spezzarli in due.

Anche se ancora oggi i grissini vengono prodotti come una volta, sia nello stiraggio sia nella lievitazione, ma spesso si usa cuocerli in forni elettrici, non più a legna. La produzione però è rimasta artigianale. La tecnica di formatura dei grissini fatti a mano ricorda il movimento di un attrezzo cilindrico impiegato nei lavori agricoli per spianare il terreno, che in dialetto piemontese si chiama il robat, che significa appunto roteare. E anche i grissini vengono afferrati ai lembi, lasciati cadere con fermezza e rotolati sulla spianatoia, per renderli compatti. Ed è proprio da robat che prendono il nome i grissino rubatà.

Differenza tra il grissino rubatà e il grissino stirato

Il rubatà è incluso nella lista Prodotti agroalimentari tradizionali (PAT) italiani del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali. A Chieri un altro prodotto di punta è il Grissino stirato, più recente di invenzione. Questo si distingue in quanto la pasta, invece che essere lavorata per arrotolamento, viene allungata dal panificatore.

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Caratteristiche e ingredienti dei grissini robatà

Lunghi anche 35 – 40 cm e con un diametro di 1 – 1,5 cm, il grissino rubatà ha delle scanalature a spirale lungo il fusto e le estremità non presentano un taglio netto, ma i segni delle pressioni manuali, che li differenziano dai grissini stirati e, soprattutto, da quelli industriali.

Se gli ingredienti di base della ricetta sono sempre farina di grano tenero di tipo 00, acqua, lievito e sale, cambia la tipologia e la quantità di grassi: la tradizione torinese prevede strutto oppure olio, mentre nella zona del cuneese viene usato il burro, ma esistono anche versione realizzate senza aggiunta di grassi.

Per garantire la consistenza asciutta e friabile è fondamentale la modalità di cottura: per ottenere un ottimo risultato è fondamentale che la temperatura sia inizialmente alta e diminuita progressivamente.

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Le varianti

Al famoso rubatà, rotondo e allungato, si sono aggiunte poi numerose varianti, a partire dalla tipologia di farina: da quella integrale a quella di kamut o al farro a cui si aggiungono spezie come sesamo, semi di finocchio, semi di papavero, peperoncino, fino ad arrivare a quelli con le olive e le noci e persino alle varianti dolci al cioccolato e caramellati.

I grissini all'estero

Molto popolari anche all’estero i grissini sono particolarmente amanti soprattutto negli Stati Uniti al punto da avere una giornata dedicata, il Breadstick Day (giorno dei grissini): non si tratta di una festività ufficiale, ma viene celebrato ogni anno il 25 novembre.

Come usarli in cucina

Non essendo particolarmente salati i grissini possono essere usati in vario modo: immancabili quando si prepara un tagliere di salumi i grissini vengono spesso “vestiti” con fette di prosciutto. Oltre a questa classica presentazione si possono creare dei piatti molto scenografici, come il cestino di benvenuto o la casetta di grissini e salame.

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Quello che i piatti non dicono
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