4 Aprile 2021 11:00

La fellata napoletana: tutti i significati simbolici del “piatto benedetto”

Un piatto dall'altissimo significato simbolico per tutti i cristiani cattolici: la fellata napoletana anche detta "piatto benedetto". Perché si chiama così? Perché nel momento della benedizione pasquale ad opera del capofamiglia è l'unica portata presente sulla tavola dei napoletani. Si tratta del tipico antipasto partenopeo nella Santa Domenica.

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La fellata napoletana è lo squisito antipasto a base di salumi misti, formaggi e uova sode presente su tutte le tavole dei campani. È anche detto "piatto santo" o "piatto benedetto" proprio come in Puglia, regione che (con alcune differenze negli alimenti) presenta lo stesso tipo di antipasto tradizionale pasquale. Nella regione di Domenico Modugno il piatto si chiama benedetto di Pasqua, è servito in apertura del pranzo pasquale e si compone di soppressata, capocollo, ricotta salata a fettine, uova sode a spicchi e infine agrumi, tagliati sottilmente.

In Campania la fellata è leggermente diversa ed ha salame, ricotta salata, uova, formaggi e capocollo o pancetta. Il "piatto benedetto" è così chiamato per un motivo ben preciso e, che sia Campania o che sia Puglia, ci sono dei significati simbolici molto profondi che lo riguardano.

"Piatto benedetto": perché la fellata napoletana si chiama così

La tradizione cattolica del giorno di Pasqua prevede un passaggio ben preciso prima del pranzo: il "capofamiglia", di solito il membro più anziano a tavola, benedice tutti i presenti. Raccoglie la palma conservata dalla domenica prima, la intinge nell'acqua santa presa la mattina in chiesa e asperge amici e familiari. Indugia sui ragazzi più irrequieti dicendo "a te un po' di più" bagnandoli ripetutamente con il ramoscello, facendo diventare la benedizione più simile a un affettuoso gavettone, e poi prosegue con il rito bagnando tutti i commensali.

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In questo preciso momento, almeno sulle tavole del meridione, c'è un solo piatto a tavola: ‘a fellata, detta anche "piatto benedetto" o "piatto santo" proprio perché è l'unica portata che riceve la benedizione insieme a tutti i presenti. Un'altra spiegazione è stata fornita dallo scrittore Amedeo Colella nel suo "Manuale di Napoletanità". La delucidazione dello storico riguarda la penitenza: l'antipasto con i salumi è "benedetto" da Dio perché rompe il digiuno quaresimale fino a quel momento rispettato. È anche il primo piatto con della carne dal giovedì santo, giornata in cui tradizionalmente a Napoli è la zuppa di cozze a farla da padrona.

Ogni "fella" del piatto santo ha un significato ben preciso

Abbiamo detto che la fellata è un antipasto, squisito, a base di salumi misti, formaggi e uova sode; nello specifico si tratta di salame, capocollo o pancetta, ricotta salata, provolone (possibilmente del monaco) e caciocavallo. Il nome deriva da "fella" o "fetta", i termini utilizzati per indicare il modo in cui  gli ingredienti sono affettati e poi disposti nel piatto.

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La scelta stessa degli alimenti per questo antipasto non è casuale e racchiude un profondo significato simbolico e religioso:

  • il salame rappresenta la ricchezza e la fertilità;
  • il capocollo o la pancetta simboleggiano il superamento delle avversità, è la prova di un male superato;
  • la ricotta salata esprime il senso di unione e compattezza della famiglia;
  • il provolone del monaco anticipa l'attesa di buone notizie, come la resurrezione di Gesù Cristo per l'appunto;
  • il caciocavallo ha un valore propiziatorio, rappresenta il buon guadagno da ottenere con fatiche e molto impegno;
  • infine le uova, che hanno molteplici significati, raffigurate in numerose religioni nella storia. In questo caso sono la prova della nuova vita, della rinascita di Gesù.

Il pranzo pasquale napoletano è molto lungo e sostanzioso e spesso le famiglie piluccano solamente pochi pezzi dell'antipasto fatto di salumi. Questo non rappresenta alcun problema perché il must della scampagnata di Pasquetta, tra una grigliata di carne e l'altra, è proprio il panino con la fellata avanzata. La tradizione culinaria italiana è zero waste da sempre.

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Quello che i piatti non dicono
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