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22 Febbraio 2021
15:00

Come abbinare il Margarita? Lo abbiamo chiesto ad alcuni dei migliori bartender d’Italia

Oggi è il Margarita Day, una celebrazione del cocktail a base di tequila nato ai primi del 1900. In tutto il mondo sono nate tantissime varianti e oggi è importantissimo l'abbinamento tra grandi piatti e grandi drink. Abbiamo chiesto ad alcuni dei migliori bartender d'Italia di fare degli abbinamenti per noi.

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Il Margarita è uno dei più celebri cocktail pre-dinner del mondo. Vero e proprio simbolo del Messico perché a base di tequila e perché nato in Messico negli anni ’30, si festeggia ogni anno il 22 febbraio. Il Margarita Day è nato come festa nazionale, prima nella terra natia del drink, successivamente esportato negli Stati Uniti grazie ai tanti emigranti; oggi è celebrato in tutto il mondo con competizioni e celebrazioni del cocktail.

Abbinare un Margarita a un piatto "è sempre un lavoro arduo" secondo i bartender

L'Italia sta finalmente uscendo dal complesso dell'abbinamento tra i cibi e il vino. Bianco per il pesce, rosso per la carne, le bollicine nell'antipasto: che noia!

Tutto ciò è ampiamente superato ed è figlio della ghettizzazione del superalcolico in ambito culinario. L'esempio migliore da fare riguarda il whiskey: in Occidente l'immagine tipica di questo distillato è l'uomo in vestaglia davanti al caminetto, con il suo sigaro e le pantofole di lana. In Giappone è tutto diverso: il whiskey giapponese si serve sempre durante il pasto perché ha degli accenni sapidi che si sposano benissimo con l'umami. Paese che vai, usanza che trovi. Oggi non è raro trovare grandi ristoranti, semplici (ma ambiziosi) pub e perfino pizzerie che provano a creare una carta dei cocktail di livello, così come esiste la carta dei vini, delle acque, degli oli.

Nel giorno del Margarita Day proviamo a far luce sul food pairing tra il drink messicano e i piatti, cercando anche delle sfiziose varianti al classico Margarita e alla sua ricetta tradizionale, così da mantener vivo tutto il fascino panamericano.

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Uno dei primi bartender a provare l'abbinamento tra la cucina e la mixology è stato Lucio D'Orsi, bar manager del Dry Martini Sorrento by Javier de las Muelas, un bar meraviglioso sulla terrazza del Majestic Palace Hotel in Costiera Sorrentina. Se all'ultimo piano trovate il bar, a piano terra c'è invece il Don Geppi, un elegantissimo ristorante stellato guidato dallo chef Mario Affinita. Da ben 11 anni D'Orsi abbina i suoi splendidi cocktail con i meravigliosi piatti del ristorante sorrentino.

Secondo il barman di Castellammare di Stabia "abbinare un drink storico è sempre un lavoro abbastanza arduo. Il Margarita è un cocktail ben definito, dai sapori affumicati. Al ristorante facciamo una variante, il Melagherita, un twist fatto con aggiunta di mela verde, sia in liquore sia in sciroppo. Ci aggiungiamo poi il tequila e lo completiamo con una schiuma fatta con acqua di mare. Il cocktail si presenta verde e la schiuma va a sostituire la crosta che si fa di solito sul bordo del bicchiere, cosa che non facciamo mai. A questo cocktail ci abbiniamo un piatto dello chef Affinita: sgombro confit laccato e caramellato con aggiunta foie gras. Abbiamo così una parte dolce, una parte sapida e affumicata, e la parte grassa col fegato. Penso che per un giusto abbinamento sia fondamentale evocare i contrasti e le assonanze del cocktail".

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Giovanni Miola, foto da Facebook

Anche secondo Giovanni Miola, uno dei migliori bartender under 30 per Bar Award, l'abbinamento migliore è col pesce. Secondo il giovane barman pugliese "il Margarita classico è una bomba con le alici fritte con salsa di soia e pane panko, o semplicemente marinate". Miola, che aprirà a breve un locale a Palagianello, in provincia di Taranto, ha creato anche la sua versione di Margarita, con "tequila, amaretto dell'Adriatico per donare al cocktail una parte dolce, succo di lime e bitter all'arancia. In decorazione ci metto delle mandorle salate e lo abbino ad un piatto che richiama molti questi sentori, ovvero il salmone in crosta di mandorle. Ci tengo molto a creare fusioni tra le terre d'origine dei prodotti. In questo caso portiamo i sapori del Messico accostati a quelli della Puglia e della Sicilia".

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Una dedica alla Sicilia arriva anche da Chiara Mascellaro, una delle massime esperte di tequila che abbiamo in Italia. La barlady palermitana nel 2019 è stata la vincitrice del Patrón Perfectionists Competition, una gara organizzata da Patrón, una delle tequila più importanti al mondo.

Proprio oggi ha preso parte alla competizione mondiale, organizzata dall'azienda messicana, per trovare la miglior versione del Margarita del 2021. La Mascellaro abbina il Margarita classico a spuntini tradizionali da aperitivo, con una nota ben marcata: "Mi piace abbinarlo a qualcosa di speziato, di fortemente speziato. Solitamente lo servo con dei tacos, dei tortini, delle bruschette, qualcosa del genere ma sempre con un paté piccante e molto speziato. Mi piace dare questa nota forte al cliente". Il suo Margarita è invece più delicato, realizzato con una tequila dal gusto morbido, fresco, con sentori pepati; "segue un bitter aromatico, uno sciroppo alle rose, del limone; la classica crosta è ottenuta invece con del sale rosa dell'Himalaya. Ci tengo molto a questo drink, l'ho chiamato Rosalia in onore della santa patrona di Palermo ed è un omaggio alla donna. La rosa è il fiore tipico con cui si adorna la città durante la festa tra l'altro. La cosa bella è che mi hanno convocato per la competizione a gennaio, mese della prevenzione del tumore al collo dell'utero, una malattia che giocoforza attacca solo noi e questo drink l'ho pensato proprio a gennaio. Questo è il bello di fare piatti e drink, puoi approfittarne per esprimere qualcosa che hai dentro e che diventa una ricetta". La Mascellaro ha ideato anche un piatto da abbinare al suo Rosalia, ed è l'unico a base di carne in tutto l'articolo: "Lo abbino a un'insalata di pollo, con mele e mandorle. Il pollo arrostito, poi aromatizzato col limone, per dare al piatto i sentori amari e aspri del drink stesso".

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Un'altra insalata ce la suggerisce Francesco Manna, uno dei tre titolari di Laboratorio Folkloristico, il bar premiato quest'anno dal Gambero Rosso tra i 10 migliori d'Italia e primo in Campania: "Il nostro Margarita lo abbiniamo a un buonissimo baccalà all'insalata, piatto di pesce fresco e saporito così che possa risaltare la freschezza del cocktail. Tra l'altro il baccalà si usa molto nella zona vesuviana, vogliamo abbinarci qualcosa di tipico".

Il drink del Laboratorio Folkloristico ricalca i canoni del bar di Pomigliano d'Arco, in provincia di Napoli: "La nostra interpretazione del Margarita è in chiave campana. Al bar non utilizziamo frutta esotica, quindi niente lime. Per il drink partiamo dalla tequila, che non può mancare, aggiungiamo succo di verdello, l'agrume che maggiormente si avvicina all'acidità del lime e anziché il classico triple sec, usiamo un liquore al mandarino locale di nostra produzione. Guarniamo con sale maldon e cedro o verdello essiccato". Secondo Manna il Margarita classico è ottimo "con dei gamberi di Mazara del Vallo crudi. Il Margarita è un drink delicato quindi anche il piatto deve esserlo".

Visione simile a quella di Manna ce la offre Mario Farulla, uno dei bartender più noti al mondo (tra i top 55 Influencer) e bar manager al Chapter di Roma. Farulla utilizza gli scarti del "supermercato" dell'albergo in cui lavora per fare il suo "Margarita Market. Il nostro hotel ha una sorta di supermarket all'interno in cui le persone possono acquistare prodotti o piatti. Sfruttiamo le materie prime con cui le persone si fanno le insalate: i loro avanzi a fine giornata vengono ridistillati con il rotovapor per ottenere un drink completamente nuovo".

Il food pairing coi cocktail può essere il futuro degli abbinamenti?

Abbinare un Margarita ai piatti è una cosa molto difficile. Il sapore del drink, la gradazione alcolica, la forza della tequila, rendono il Margarita un cliente ostico. Ma come si comportano gli altri cocktail? Abbiamo chiesto proprio a Lucio D'Orsi e Mario Farulla un pensiero, loro che hanno due grandi chef con cui interfacciarsi, il già citato Affinita nel primo caso, e Davide Puleio nel secondo, Miglior Giovane Chef per la Guida Michelin nel 2020.

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Foto di Shane Eaton

Secondo Mario Farulla tutto dipende dall'equilibrio perché "l'importante è che questo abbinamento non sia una forzatura. Con alcune cose viene naturale, con altri piatti, da gusti delicati, il discorso cambia. Noi non possiamo ammazzare il lavoro dello chef, allo stesso tempo un piatto non può distruggere il nostro di lavoro. La cosa più difficile è gestire l'alcolicità piuttosto alta che hanno i drink, questo in particolare può rovinare il lavoro del cuoco. Il pairing tra piatti e drink, fatto in maniera ben calibrata, può funzionare alla grande. Bisogna stare molto attenti però, per rispetto del lavoro di tutti, del palato dei clienti e del cibo stesso. Prima di fare il pairing ci penso sempre un attimo, proprio perché sento il peso di questa responsabilità. Di solito è più facile pensarlo per un amuse-bouche e un dessert, in questo caso anche al Chapter lo faremo sicuramente l'abbinamento. Ne abbiamo già parlato con Davide".

Secondo Lucio D'Orsi questa strada è già tracciata, lui che fa questo tipo di abbinamenti da oltre un decennio. Lo sviluppo del food pairing "sta andando sempre meglio. Non ti nascondo che all'inizio ho combattuto molte perplessità. I clienti erano scettici perché pensavano a degustazioni da 5 o 7 portate con altrettanti cocktail. Il pensiero va subito alla quantità di alcol che una persona deve ingerire. In realtà ci sono diverse tipologie di cocktail, con diverse gradazioni alcoliche. Se riesci a gestire questi fattori i problemi non sussistono: alla fine della cena la quantità di spirits ingerita sarà uguale al volume di vino che si può bere durante una sera".

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Lucio D’Orsi, foto da Facebook

Tutto il sistema dell'abbinamento di D'Orsi nasce dal dessert perché "mi sembrava la cosa più facile da proporre. Come fine pasto, soprattutto al sud, beviamo diversi liquori. Ho giocato facile e man mano mi sono preso il dito con tutta la mano. Sono passato ad aperitivo e dessert, poi ho unito i cocktail a tutte le portate". Al Don Geppi questo tipo di servizio è un vero must, grazie anche al rapporto di rispetto che c'è tra il bar manager e lo chef: "Alcuni piatti di Mario Affinita nascono proprio per fare da contorno ai miei cocktail, anziché l'inverso. Il bello di creare e servire un cocktail al ristorante è quello di essere uno chef liquido. Un cuoco che prepara una sorta di pozione magica con delle grammature ben delineate, con tanta precisione. Creiamo qualcosa di unico, che può essere rivisitato e trasformato in ogni momento".

Ma perché una persona dovrebbe scegliere un cocktail e non un gran vino al ristorante? Risponde nuovamente Lucio D'Orsi. Secondo il bar manager del Dry Martini "scegliere un drink al posto del vino può regalare emozioni al cliente molto diverse rispetto al classico abbinamento. Un vino è un prodotto che crea una persona, scelto poi da un sommelier. Il drink viene creato direttamente in albergo, non prendo un prodotto che nasce in un territorio diverso ed esaltarne le peculiarità. In questo modo facciamo nascere nuovi modi di far conoscere il nostro territorio, quello che rappresentiamo con la ristorazione, e lasciare un ricordo al cliente di un qualcosa creato appositamente per lui".

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A cura di
Leonardo Ciccarelli
Nato giornalista sportivo, diventato giornalista gastronomico. Mi occupo in particolare di pizza e cocktail. Il mio obiettivo è causare attacchi inconsulti di fame.
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