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31 Gennaio 2023 12:22

Cena gratis in cambio di visibilità, ma lo chef dice no: il paradosso dell’influencer scroccone

Lo chef del ristorante Stella Michelin Il Tino, Daniele Usai, ha rispedito al mittente la proposta di una blogger. "Pagate come tutti così sarete liberi di giudicare", la risposta piccata del cuoco. Approfondiamo la questione influencer: chi sono e come dovrebbero lavorare?

A cura di Alessandro Creta
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Sempre la stessa storia. E pare che la lezione, qualora almeno sia stata ascoltata, non venga pienamente recepita. Chi vuole andare a mangiare al ristorante, sia esso una trattoria sia esso uno stellato, deve pagare. E deve pagare perché riceve un servizio professionale, specialmente nell'alta ristorazione ricercato e altamente specializzato, per il quale si corrisponde una spesa commisurata al livello proposto.

E non ci sono influencer, follower, post e storie che tengano. Il fatto di cronaca è recente: lo chef del ristorante Stella Michelin Il Tino (Fiumicino, Roma) Daniele ‘Lele' Usai ha rispedito (anche fin troppo gentilmente) al mittente la proposta da parte di una pseudo influencer, travel blogger (e chissà quale altra qualifica più o meno fittizia ma pur sempre anglofona) di un pasto gratis in cambio di post sui social.

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La proposta della blogger – Dalla pagina Facebook di Lele Usai

Ricapitolando: qualche giorno fa lo chef romano si è visto recapitare una mail con una particolare proposta da parte di una blogger: "Buonasera, sono una blogger professionista e fondatrice dell'unica community al femminile in Italia per blogger di viaggi. Con un gruppo composto da 5-7 blogger (numero preciso da confermare) faremo una visita guidata al sito archeologico di Ostia Antica e al Museo delle Navi Romane di Fiumicino. Vi scrivo per proporvi una collaborazione venerdì 10 febbraio visto che siete in zona. In cambio della vostra ospitalità offriamo promozione attraverso i profili social delle singole partecipanti e della community, oltre a citarvi tra le attività del tour sul magazine e sui nostri blog, da cui i prossimi turisti a Ostia prenderanno spunto per i loro itinerari". Il tutto testimoniato da Lele Usai con screen della mail in questione. Facendo due conti, secondo la blogger lo chef avrebbe dovuto ‘rinunciare' (barattare?), per qualche post social, a 840 euro; calcolando almeno il menu fisso meno costoso del ristorante (120 euro, fonte The Fork) moltiplicato per gli eventuali 7 commensali.

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La risposta dello chef – Dalla pagina Facebook di Lele Usai

E infatti la risposta, gentile ed educata quanto comprensibilmente piccata, non si è fatta attendere: "Gentile Paola – esordisce -, se vorrete venire presso uno dei nostri ristoranti ne saremo lieti, ma sia chiaro, pagherete il conto come tutti i nostri ospiti. Questo vi consentirà anche di essere liberi quando racconterete sui vostri canali l'esperienza fatta da noi. Si chiama onestà intellettuale senza conflitti di interessi". L'osservazione finale, poi, dello chef: la pagina della blogger ha meno follower di quella del capo delle cucine de Il Tino. Un disastro nel disastro, insomma.

Lo chef: basta a influencer scrocconi

La questione è purtroppo annosa e datata, ma allo stesso tempo tristemente e ciclicamente d'attualità. Il sistema ormai prevede fin troppo spesso questi particolari ‘scambi merce‘, chiamiamoli così: un pasto al ristorante (meglio di di livello, meglio ancora se stellato) in cambio di post social in cui si pubblicizza il tutto. E se questo sistema si è cementato significa come nel corso degli anni si sia permessa la sedimentazione di questo controverso metodo. Influencer che propongono, chef e ristoratori che accettano. Per molti che dicono di ‘sì' in silenzio, però, sono i ‘no' a fare rumore.

E a farlo in modo perentorio, proprio come il ‘no' di Lele Usai (ma è solo l'ultimo caso, qualche mese fa fu il grande Alex Atala a sparare a zero sugli influencer). Per qualcuno che si dice indignato di questo sistema in tanti, a quanto pare, sembrano accondiscenderlo: chiedersi perché sorge insomma spontaneo.

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Dalla pagina Facebook de Il Tino

Che qualcuno abbia necessità di far promuovere il proprio locale a più o meno pseudo influencer, perché in fondo consapevoli di portare avanti una cucina non di qualità, di basso livello, e quindi questa strategia può rappresentare una scorciatoia pubblicitaria per arrivare, con poco sforzo, a tanta gente?

Oppure perché, nel mondo in cui tutto gira attorno ai social, si pensa che il solo modo di emergere sia mostrarsi (anzi, farsi mostrare) sul profilo di qualcuno con un minimo di seguito? Le domande, e le risposte, possono essere molteplici, ma a giudicare da ciò che emerge dalla cronaca, perlomeno, a questo gioco si stanno prestando sempre di meno i rappresentanti di una cucina di qualità, più in generale di un servizio di alto livello e, conseguentemente, costoso. Chi sa di lavorare bene, insomma, non ha bisogno (o perlomeno non ce l'avrebbe) di particolari spinte da chi si professa influencer, spesso e volentieri nemmeno in ambito gastronomico. Anzi, sono loro stessi i primi a denunciare proposte di questo tipo.

Qui si parla, ovviamente, di fatti analoghi a quello che ha appena interessato Lele Usai: quando cioè è il blogger (o influencer) a proporre un pasto gratis in cambio di visibilità social. Discorso diverso, per differenti ragioni, in cui sia il ristoratore o lo chef di turno a invitare una personalità nel proprio locale, col piacere di averlo ospite e col piacere, eventualmente, di poter entrare in contatto col suo pubblico di seguaci. In questo caso, ovviamente, è il proprietario del locale o direttamente il cuoco a scegliere chi potrebbe essere più adatto allo scopo, non di certo accogliendo il primo blogger che passa nei paraggi e va in cerca di un pranzo a scrocco.

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Va detto, comunque sia, come la figura dell'influencer sia una metaforica macchina per fare soldi. L'influencer, in quanto tale, spesso viene contattato da aziende e brand vari, spesso riceve in regalo prodotti o servizi che dovrà (o potrà, se lo ritiene opportuno perlomeno) promuovere sui propri canali per farli conoscere al pubblico. Una sorta di tramite tra il brand e i potenziali consumatori, quasi un imbuto al contrario che comunica con la sua gente e, appunto, influenza i propri seguaci. Anche perché, inoltre, di fronte a un pasto (oltretutto se stellato) gratis, quanto volete che sia schietta, genuina e veritiera poi la comunicazione che si fa di quella determinata esperienza? E se a parlarne non è nemmeno qualcuno di specializzato quanto può essere attendibile ciò che il pubblico poi va a leggere? I conflitti, i dubbi, non sono pochi. Meglio, in ogni caso, far fede a chi di un argomento se ne intende, con un background adeguato, e consapevole di cosa sta parlando.

Influencer e giornalisti: non confondere le due figure

Deve inoltre essere specificato, a scanso di equivoci, come la figura dell'influencer non debba essere confrontata e confusa con quella del giornalista. Il primo, come detto, offre per lo più un servizio a pagamento, fa pubblicità, sponsorizza questo o quel prodotto dietro un corrispettivo in denaro (o per l'appunto uno scambio merce). Il caso di Franchino er Criminale di qualche settimana fa, tra l'altro, testimonia anche un mondo fatto di marchette che fin troppo ha contagiato il settore legato alla gastronomia. Fino a quanto ci si può fidare, quindi?

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Il giornalista, meglio se adeguatamente formato e specializzato sul tema, invece non fa (o perlomeno non dovrebbe fare) pubblicità, ma comunica, informa liberamente e senza alcun vincolo o potenziale rapporto (in questo caso) con il ristoratore o lo chef di turno. Il messaggio del giornalista, almeno sulla carta (il beneficio del dubbio lo teniamo sempre, non si sa mai) è libero e indipendente, e il suo solo scopo è quello di informare il lettore nel modo più libero, schietto e genuino possibile. Nessun accordo preventivo tra le parti, nessun vincolo: entra, mangia, paga, scrive. E ciao.

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Quello che i piatti non dicono
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