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13 Ottobre 2022 15:00

Quel vino che sa di speranza: Gorgona, il “vino dei detenuti”

Sull'ultima isola carceraria italiana i detenuti producono un vino d'eccellenza ormai è diventato ricercatissimo in Italia e all'estero. Ecco la storia del vino di Gorgona.

A cura di Martina De Angelis
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Ci sono storie che meritano di essere raccontate, e quella di Gorgona è una di queste. È un’isola piccola, al largo della costa toscana di fronte a Livorno, un anfiteatro naturale ricco di vegetazione accarezzata dal vento che soffia dal mare, con un solo borgo sulle sue sponde, ormai disabitato. Oltre a essere molto bella, Gorgona è l’ultima isola-penitenziario d’Italia, dove vengono mandati quei detenuti non macchiati di reati considerati gravi e a quasi pronti a uscire, premiati per la buona condotta. E non solo per scontare quel che resta della loro pena.

In questo angolino di natura lontano dal mondo, i detenuti lavorano la terra, anzi la vigna nello specifico, e grazie al contatto con la natura imparano un mestiere, che faciliterà il loro reinserimento nella realtà lavorativa e sociale. E producono vino, un ottimo vino. Il vino Gorgona, bianco e rosso, che ha fatto impazzire critici e consumatori in Italia, e che ha conquistato i mercati internazionali, da New York al Giappone. Come ha fatto un’isola-penitenziario a diventare produttrice di uno dei più apprezzati vini italiani? Tutto merito di un noto amrchio del settore, del suo progetto iniziato nel 2012 e della voglia di credere che tutti, se si impegnano, hanno diritto a una seconda occasione.

Produrre vino a Gorgona

Tutto nasce nel 2012, quando Lamberto Frescobaldi della celebre azienda vinicola toscana Marchesi de’ Frescobaldi (in attività dal 1300), riceve una mail scritta dalla dirigenza del carcere di Gorgona e inviata a diversi produttori. Decide di approfondire l’argomento e quell’estate per la prima volta raggiunge l’isola-penitenziario.

Scopre così che il carcere ha una vigna, piccola ma ben curata da uno dei detenuti, un siciliano, mentre la cantina fatica a funzionare correttamente. Anche se fino all’inverno del 2013 non c’è un accordo formale, Frescobaldi e la sua compagnia iniziano a prestare ai detenuti molti elementi di cui c’era bisogno per migliorare la produzione del vino, e a mettere a disposizione la propria esperienza e professionalità per formare i detenuti interessati a imparare. In brevissimo sono aumentati sempre di più i carcerati impiegati nel lavoro in vigna, e molti altri sono stati coinvolti per erigere muretti, costruire terrazzamenti, impiantare nuove viti.

È stato l’inizio di quella che sembra, tutt’oggi, una favola.  Dato il grande successo del lavoro tra i detenuti, solo dopo sei mesi il progetto è diventato effettivo: far lavorare i vigneti ai detenuti, insegnandogli un mestiere e stipendiandoli, in modo da gettare le basi per il reinserimento all’uscita dal penitenziario. Da subito, tante personalità si sono interessante al vino di Gorgona, da Simonetta Doni, che ha ideato le etichette, alla Landini che ha regalato un trattore, a Andrea Bocelli che ha scritto una parte dell’etichetta. Migliorando di annata in annata, il vino Gorgona è passato da vino amatoriale a vino richiesto in Italia e all’estero, amato dagli esperti e dai consumatori.

Oggi vengono accolte periodicamente circa 60-70 persone nel carcere di Gorgona,  impiegate a turno nella coltivazione dei vigneti: il numero è limitato, in modo che tutti possano lavorare, sono tutti stipendiati, e si occupano non solo del vino, ma anche della manutenzione dell’isola e delle strutture, e coltivano molti prodotti per la propria sopravvivenza.

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Come nasce il vino Gorgona

Da un vigneto piccolino affacciato sul mare, oggi l’isola di Gorgona vanta un vigneto esteso per due ettari, specializzato nella produzione del Gorgona Bianco da uve Ansonica (vitigno principe delle piccole isole toscane e dell’Argentario) e Vermentino, a cui si è aggiunto nel 2014 il Gorgona Rosso, che nasce da alcuni filari di Sangiovese e Vermentino Nero, coltivati in agricoltura biologica e affinati poi in Orcio in terracotta.

A turno, nei vigneti, lavorano quindici detenuti che, a rotazione, si prendono cura delle piante e dell’uva, ricevendo una retribuzione e imparando competenze specifiche che li aiuteranno una volta usciti dal carcere. Sono proprio i detenuti a fare tutto,  supervisionati da responsabili esperti: si prendono cura delle viti, raccolgono l’uva, seguono la maturazione del mosto nelle botti, che una volta pronte vengono trasportate nell’azienda Frescobaldi, dove avviene l’imbottigliamento del vino.

E dopo una giornata sotto il sole e la pioggia, al tramonto si torna in cella. Uno stile di vita che fa bene non solo per le competenze acquisite, ma per il grande valore di una vita all’aria aperta, impegnati in un’attività che produce qualcosa di bello. Non è un caso che, tra gli ospiti di Gorgona, solo il 30% torna a delinquere: se si pensa che la media nazionale è del 70%, si capisce quanto quello dell’isola-penitenziario sia un risultato eccezionale.

Gorgona in tavola: come abbinare il bianco dell’isola

Il prodotto più famoso dell’isola di Gorgona è il Costa Toscana Bianco Igt "Gorgona" Frescobaldi, un vino bianco dal colore giallo paglierino luminoso, caratterizzato da note di frutta a polpa bianca ed erbe aromatiche tipiche dell’isola, un mix dovuto alla presenza del mare e  all’aria carica di iodio. In tavola, si abbina benissimo con piatti a base di pesce e crostacei.

Da qualche anno, l’isola-penitenziario e Frescobaldi hanno iniziato a proporre anche il Costa Toscana Rosso IGT "Gorgona" Frescobaldi, un rosso dai colori intensi, che colpisce con la sua brillantezza. Non manca la distintiva nota fruttata dell’isola di Gorgona, ma si distingue per sentori che ricordano i frutti rossi maturi come il corbezzolo quando dolce, la macchia mediterranea come il mirto, il ginepro e infine il rosmarino.

Si abbina perfettamente con cacciagione, arrosti, brasati e formaggi stagionati, magari proprio quelli dell’isola di Gorgona. Sì perché da qualche anno, al progetto vitivinicolo di Frescobaldi, si è aggiunto anche il progetto caseario realizzato da Alberto Marcomini, maestro di tecniche casearie e giornalista: una produzione limitata di forme ricavate da latte vaccino, ovino e di capra, prodotto sull’isola dai detenuti istruiti da Marcomini in persona.

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A cura di
Martina De Angelis
Giornalista laureata e “tesserata”, amo prima di tutto mangiare: datemi un piatto di pasta e mi renderete una donna felice. Scrivere di cibo è la naturale conseguenza, l’unione di due grandi passioni. Soprattutto, amo raccontare le storie che ci sono oltre il piatto o l’ingrediente. Quando non scrivo, ho una passione viscerale per la lettura, adoro viaggiare, suonare il pianoforte e perdermi tra boschi e montagne.
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