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16 Giugno 2020 11:00

Prodotti ultra-processati: cosa sono e come hanno cambiato la nostra alimentazione

Pratici, accattivanti e apparentemente economici. Parliamo degli alimenti processati che, comodi perché già pronti al consumo, rappresentano spesso una soluzione a cui è difficile rinunciare. E poi sono buoni, anzi irresistibili (e qui entra il gioco la scienza e il mix vincente di sale, zucchero e grasso). Ma questi cibi, sottoposti a trasformazioni e alterazioni da parte dell'industria, stanno modificando le nostre abitudini alimentari, rendendoci sempre meno consapevoli e più malati. Vediamo in che modo.

A cura di Emanuela Bianconi
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Addenti una patatina, solo una, e intanto prometti a te stessa che è la prima e l'ultima. La divori, giusto il tempo di assaporarne gusto, sapidità e giusta croccantezza, e ne afferri immediatamente un'altra. E poi un'altra, e poi un'altra ancora, e in un attimo il sacchetto è finito; insieme a lui, in maniera inversamente proporzionale, aumentano i sensi di colpa. Insomma, possibile sia così difficile smettere di mangiare queste benedette patatine? La risposta è sì e ha un nome ben preciso (e di conseguenza una spiegazione scientifica altrettanto convalidata): alimento ultra-processato o trasformato.

Coniato da Carlos Monteiro, professore di Nutrizione e salute pubblica dell’Università di San Paolo, in Brasile, con questo termine si intende un prodotto alimentare talmente alterato (appunto trasformato) che è difficile, se non impossibile, individuare gli ingredienti base di cui è composto. E quali sono questi alimenti? Volendo sintetizzare, la risposta sarebbe: tutto quello che amiamo tanto mangiare, ovvero cereali per la colazione, patatine, barrette, snack al cioccolato, bibite zuccherate, caramelle, ciambelle e così via. Insomma tutti quei cibi ad alta densità calorica, poveri dal punto di vista nutrizionale, ma ricchi di sale, zuccheri, grassi idrogenati e additivi chimici. Queste sostanze vengono aggiunte dall'industria alimentare per migliorarne le caratteristiche organolettiche e renderli più appetibili e facilmente conservabili. Vi siete mai chiesti perché la vostra crostata fatta in casa duri al massimo qualche giorno (soprattutto quando è preparata con farine integrali e ingredienti di ottima qualità) e quella acquistata al supermercato ha una scadenza pluriennale? Ecco, non fatelo.

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A onor del vero, fatta eccezione per pochissimi cibi non processati – cioè che non sono stati sottoposti a nessun tipo di trasformazione (come la frutta e la verdura fresche e le uova) – la maggior parte di ciò che consumiamo è stato separato, affettato, disossato, pulito, triturato, congelato o scongelato. Tanti prodotti salutari come l'olio extravergine di oliva, la pasta o lo yogurt sono, in realtà, degli alimenti trasformati. Il latte viene pastorizzato, i piselli possono essere surgelati, ma anche cucinare è un processo, così come la fermentazione o l'essiccazione: quasi tutto ciò che consumiamo viene in qualche modo elaborato o alterato. Ma una cosa è bere una spremuta di arancia fresca, tutt'altra, invece, è acquistare un succo di frutta contenente zuccheri, conservanti e una percentuale minima di polpa.

Il sistema di classificazione

Al fine di classificare i cibi in base al grado di lavorazione a cui sono sottoposti, è stato sviluppato un sistema, chiamato Nova, con l'obiettivo di uniformare tutti quelli preesistenti, spesso difformi l'uno dall'altro. Riconosciuto come strumento valido per la promozione della salute pubblica e utilizzato per stilare linee guida alimentari, questo sistema suddivide i prodotti in quattro categorie:

  • il primo gruppo comprende quegli alimenti non trasformati o in minima parte processati, come la frutta, la verdura, il pesce, la carne e le uova (anche refrigerati, surgelati, pastorizzati o confezionati sottovuoto);
  • fanno parte del secondo gruppo i condimenti o gli ingredienti di piatti più complessi, come sale, zucchero, farine, olio e burro;
  • il terzo gruppo, quello degli alimenti trasformati, comprende quei cibi composti almeno da due o tre ingredienti e sono sottoposti a lavorazioni quali cottura, conservazione e fermentazione non alcolica (tra questi ci sono i legumi in scatola, la carne lavorata, il pesce affumicato…);
  • il quarto e ultimo gruppo è quello a cui appartengono i cibi ultra-processati e le bevande, ovvero quei prodotti industriali ricchi di zuccheri, oli, grassi, sale, stabilizzanti e conservanti (energy drinks, bibite zuccherate e gassate, succhi di frutta, dolciumi vari, piatti pre-confezionati, hamburger e hotdog, patatine fritte e chips).
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Iper-palatabili, comodi perché già pronti al consumo e apparentemente economici (solo sul breve periodo, però), vengono venduti in confezioni accattivanti e sono spesso protagonisti di campagne marketing vincenti, destinate soprattutto ai più piccoli e di conseguenza alle famiglie. Questi alimenti hanno stravolto la nostra alimentazione – tradizionalmente fondata sui principi della dieta mediterranea – e stanno rendendo noi e i nostri figli sempre più in sovrappeso, se non obesi, poco attivi e consapevoli di ciò che mangiamo e della storia che è dietro ciascun ingrediente e piatto. Ma soprattutto ci stanno trasformando in individui malati: sono ormai tanti gli studi scientifici che dimostrano una stretta correlazione tra il consumo di questi alimenti e l'insorgenza di disturbi metabolici, diabete, malattie cardio-vascolari o alcune tipologie di tumore. Cosa fare, dunque? Prediligere gli alimenti delle primissime categorie ed evitare, salvo rare eccezioni, quelli appartenenti all'ultimo gruppo.

Cos'è la palatabilità

Ampiamente dimostrato da numerosi studi scientifici, la palatabilità è una delle caratteristiche principali del cibo industriale, tale da renderci assolutamente dipendente da esso. L'industria alimentare, infatti, ha scoperto che l'unione di tre ingredienti in particolare crea una combinazione assolutamente perfetta, in grado di stimolare l'appetito (ecco perché una patatina non è mai una sola patatina) e far sì che si abbia sempre maggiore voglia di quel determinato junk food. Si tratta della sinergia tra zucchero, sale e grasso e il fenomeno è noto come "bliss point", ovvero il punto di massima beatitudine indotta da un alimento.

L'unione di questi tre ingredienti, opportunamente dosati anche a seconda del target a cui è destinato l'alimento in questione (la percezione del dolce e del salato è diversa negli adulti e nei bambini), esercita una potentissima stimolazione a livello celebrale, creando una sorta di assuefazione e quindi di conseguente dipendenza. I livelli di dopamina – il neurotrasmettitore coinvolto nella sensazione di piacere provocata dal cibo – non diminuiscono mai, i circuiti neuronali si alterano e il cibo diventa una vera e propria droga.

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Quali strategie possiamo mettere in atto? Innanzitutto dovremmo riabituare il palato ai sapori semplici, genuini e basici, preferendo cibi e piatti ad alto valore nutritivo, composti principalmente da frutta, verdura, pesce, carne e uova. Scelti coscientemente e secondo stagione, sono non solo ricchi di preziose sostanze benefiche ma anche un concentrato di sapori e aromi (questo consentirà di evitare il più possibile esaltatori del gusto e grassi vari). Le errate abitudini alimentari – provocate dalla globalizzazione, dall'urbanizzazione e da ritmi e stili di vita sempre più frenetici – possono essere modificate grazie al recupero della cultura e delle tradizioni gastronomiche, con la riscoperta ad esempio del piacere di cucinare, anche come attività ludica in cui coinvolgere i più piccoli di casa, e soprattutto attraverso l'educazione a scelte più consapevoli e possibilmente locali.

Per quanto riguarda gli acquisti al supermercato è fondamentale leggere attentamente le etichette e preferire l'acquisto di quei cibi con una lista di ingredienti corta, essenziale e riconoscibile (rimettiamoli sullo scaffale se al loro interno ci sono ingredienti dal nome impronunciabile, sciroppi di vario tipo, grassi idrogenati e additivi con sigle strane). Insomma gli stessi che comprerebbero i nostri nonni.

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Quello che i piatti non dicono
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