Letteralmente il termine in inglese significa "coda di gallo", ma con i pennuti veri e propri sembra c'entrare solo in versioni molto folcloristiche. Le sue origini etimologiche, infatti, non sono univoche, generando molteplici storie curiose.
Mix bilanciati di bevande alcoliche (ma non solo) che sorprendono e conquistano grazie ad accostamenti originali, aromatici e armoniosi. Dietro a ogni cocktail si celano precise tecniche di preparazione, un equilibrio di dosi e regole di servizio che li valorizzano ulteriormente. Da un Americano da bere all’aperitivo post lavoro al Mojito protagonista in spiaggia, si tratta di drink entrati nell’immaginario collettivo. Perché si chiamano proprio così? Da dove deriva la parola cocktail? Una vera e propria spiegazione non esiste, ed il bello è proprio questo, visto che di curiosità a riguardo, al contrario, ce ne sono davvero tante.
Partiamo da una data certa, che rappresenta un valido motivo per ogni appassionato di mixology di sorseggiare un drink: il 13 maggio. Si tratta del giorno in cui si celebra il World Cocktail Day e non è stato scelto a caso in quanto fa riferimento al primo uso noto della parola cocktail collegata a questa tipologia di bevande. Correva l’anno 1806 e sul tabloid newyorkese The Balance and Columbian Repository il redattore Harry Croswell, in risposta alla domanda di un lettore, definiva il cocktail come un “stimulating liquor composed of spirits of any kind, sugar, water and bitters” ovvero "un alcolico stimolante composto da un distillato di qualsiasi tipo, zucchero, acqua e bitter". Nonostante ci siano delle testimonianze scritte antecedenti, una nel 1798 in un giornale londinese e una seguente nel 1803 in una rivista nordamericana, questa è stata identificata come la sua “nascita ufficiale”.
Quella legata all’etimologia del termine, invece, è tutta un’altra storia: le teorie sono numerose, spesso fantasiose, ma nessuna è considerata veramente definitiva. Si potrebbe citare per prima quella entrata nel monumentale Oxford English Dictionary che rimanda al mondo equestre e delle corse tra cavalli: i cavalli di razza non pura, ma comune, venivano chiamati cock-tailed, in quanto la coda veniva parzialmente tagliata in modo da farla risaltare verso l'alto. Questi animali sono il frutto di una mescolanza, proprio come lo sono i cocktail. Altra ipotesi, invece, riconduce la parola all’espressione francese coquetier, che indica un contenitore per uova: a servirci all’interno i suoi primi drink nella seconda metà dell’800 sarebbe stato, in quel di New Orleans, il farmacista creolo Antoine Amédée Peychaud, inventore dell’omonimo e celebre bitter alla base del Sazerac, uno dei cocktail più iconici della Louisiana e di tutti gli States.
E i galli cosa c’entrano, visto che in inglese il significato letterale è “coda di gallo”, da cock (gallo) e tail (coda)? Spostandoci in un universo più folcloristico, ecco che entrano in scena modi antichi di presentare i drink abbellendoli o mescolandoli con piume di gallo oppure preparandoli con una radice messicana chiamata “cola de gallo”. Tornando indietro nel tempo, già nel ‘400 si narra che nelle campagne della Gran Bretagna venisse bevuta una bevanda variopinta dai colori che somigliavano a quelli della coda di galli.
Se la storia dei cocktail ha uno spirito vagamente anarchico, a mettere un punto fisso sulla loro classificazione ci pensa l’IBA, acronimo che sta per International Bartenders Association, un'organizzazione professionale fondata in Inghilterra nel 1951 da sette associazioni nazionali (oggi se ne contano più di 60) provenienti da Danimarca, Francia, Italia, Paesi Bassi, Svezia, Svizzera e Regno Unito. Tra i diversi compiti che si è preposta, c’è quello di registrare periodicamente i cocktail creando una lista ufficiale che si divide in tre grandi categorie:
Ogni cocktail inserito nella lista IBA – nel 2025 sono 102 – viene codificato con ingredienti e procedimenti precisi, (shakerato, mescolato, servito con ghiaccio, etc.). L'obiettivo è garantire uniformità e qualità in tutto il mondo: che tu ordini un Bloody Mary a Milano o a Tokyo, dovresti riconoscerlo al primo sorso.