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24 Settembre 2025 16:18

Non solo Bronte: com’è fatto il pistacchio di Raffadali Dop che cresce nella Valle dei Templi

Se Bronte è la potenza vulcanica, Raffadali è la dolcezza delle colline argillose: due anime diverse dello stesso frutto. Parlare del pistacchio siciliano, oggi, significa raccontare più voci, più territori, più storie. E forse è proprio questa pluralità a rendere l’isola una terra senza eguali nel Mediterraneo.

A cura di Francesca Fiore
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Se dici “pistacchio” in Italia, la risposta istintiva è quasi sempre la stessa: Bronte. Il “verde dell’Etna” ha conquistato pasticceri e chef, trasformandosi in una bandiera del Made in Italy. Ma ridurre il racconto a un unico territorio sarebbe come parlare di vino italiano nominando soltanto il Barolo: un’ingiustizia verso la ricchezza che l’isola custodisce.

C’è un’altra Sicilia del pistacchio, fatta di colline, calanchi e terrazze soleggiate: è la Sicilia di Raffadali, in provincia di Agrigento, che nel 2021 ha ottenuto il riconoscimento Dop, sancendo ufficialmente la qualità di un prodotto che i contadini del posto coltivano da generazioni.

Il territorio di Raffadali: calanchi e colline

Raffadali e i comuni limitrofi si stendono tra i monti Sicani e la costa agrigentina. Qui il paesaggio cambia rapidamente: uliveti, mandorleti e vigneti si alternano a colline argillose e calcaree, che al tramonto si tingono di arancio e oro. È in questo mosaico naturale che il pistacchio trova la sua casa.

Il clima è caldo e asciutto, mitigato dalle brezze marine che arrivano dall’Africa. Le estati lunghe e luminose, con forti escursioni termiche, permettono al frutto di maturare lentamente, sviluppando un aroma più dolce e meno resinoso rispetto al pistacchio etneo.

Il Pistacchio di Raffadali Dop ha caratteristiche che lo rendono riconoscibile:

  • Colore: verde brillante tendente al giallo, con tegumento violaceo sottile.
  • Aroma: dolce, armonico, con note erbacee leggere e delicate.
  • Consistenza: polposa e croccante, ideale per lavorazioni di pasticceria.
  • Gusto: equilibrato, meno selvatico e “affumicato” rispetto al pistacchio di Bronte, ma altrettanto complesso.

Chi lo ha assaggiato lo definisce un pistacchio “più elegante”, che si sposa con i lievitati dolci, la crema spalmabile e il gelato artigianale. Naturalmente, esistono variazioni legate al microclima e all’area specifica. Molti chef lo preferiscono anche per la cucina salata, perché non sovrasta gli altri ingredienti ma li accompagna con discrezione.

La coltivazione e la raccolta: i tempi della natura

Come a Bronte, anche a Raffadali la pianta del pistacchio viene innestata sul terebinto (detto scornabecco in dialetto), un albero spontaneo resistente alla siccità. La raccolta avviene a mano, ogni due anni, tra fine agosto e inizio settembre (può estendersi fino alla prima decade di ottobre a seconda della zona e maturazione). L’alternanza produttiva è necessaria: un anno si raccoglie, l’altro si lascia la pianta “a riposo”, per concentrare la linfa e garantire una resa qualitativa superiore.

Le giornate di raccolta diventano spesso momenti comunitari: famiglie intere si ritrovano nei campi, i bambini aiutano a selezionare i frutti, e non mancano canti e piatti condivisi sotto gli alberi. È un rito che va oltre l’agricoltura: è identità.

Il riconoscimento della Denominazione di origine protetta nel 2021 è stato il frutto di anni di lavoro dei produttori locali, riuniti nel Consorzio di tutela del Pistacchio di Raffadali DOP. La Dop ha l'obiettivo di garantire la protezione dalle imitazioni e dai prodotti di importazione spacciati per “siciliani”, la tracciabilità dalla pianta alla trasformazione, ogni fase deve rispettare un disciplinare preciso e – ultimo ma non per importanza – la valorizzazione culturale di questa eccellenza.

La simbiosi con il pistacchio: cos'è il terebinto

L’albero di pistacchio (Pistacia vera) in Sicilia non viene quasi mai coltivato “franco”, cioè su radice propria, ma è innestato sul terebinto (Pistacia terebinthus), chiamato in siciliano anche scornabeccu o spaccasassi. Si tratta di una specie spontanea molto diffusa nei terreni aridi e sassosi della Sicilia, resistente alla siccità e capace di vivere in condizioni estreme.

Questa pianta funge da portainnesto: viene piantata e fatta crescere per qualche anno, poi innestata con marze di Pistacia vera. Il risultato è una pianta molto più vigorosa, longeva e adattata al territorio, che può produrre pistacchi di alta qualità anche in zone difficili.

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Questo sistema di coltivazione è usato sia a Bronte che a Raffadali, ed è parte integrante della tradizione agricola siciliana. Nel disciplinare della Dop Pistacchio di Raffadali, infatti, è specificato che gli impianti possono essere innestati su terebinto o, in alcuni casi, su altre specie affini.

Fastuca fest: la festa del pistacchio di Raffadali

Durante la Fastuca fest, che ogni settembre anima le strade di Raffadali, il pistacchio diventa protagonista assoluto. Fastuca infatti è la parola con cui nel dialetto locale si indica il pistacchio: deriva dall’arabo fustuq (فستق), che a sua volta viene dal greco pistákion: non a caso, la coltivazione del pistacchio in Sicilia fu introdotta proprio durante la dominazione araba, intorno all’VIII secolo d.C.

Durante questo evento le piazze si riempiono di stand colorati, i pasticceri mostrano come nasce una crema di pistacchio o un gelato artigianale, mentre i contadini raccontano con orgoglio la fatica della raccolta. Non è solo una festa gastronomica, ma un momento in cui il paese intero si riconosce nella sua “fastuca”, tra concerti, visite guidate e degustazioni.

Il futuro: il passaporto digitale europeo

Nei prossimi anni, il Pistacchio di Raffadali Dop sarà tra i primi prodotti ad avere un passaporto digitale europeo: un sistema elettronico che consentirà di verificarne autenticità, origine e sostenibilità attraverso un QR code. Sarà obbligatorio nella prossima stagione per le aziende che producono il prodotto Dop.

Significa che ogni consumatore, ovunque nel mondo, potrà scansionare un’etichetta e scoprire la storia del frutto, il territorio, la filiera e perfino l’impronta ambientale della coltivazione.

Scansionando questo QR code con uno smartphone, il consumatore può accedere a un ricco set di informazioni sulla filiera del prodotto:

  • la provenienza geografica (coordinate dell’impianto);
  • il metodo di coltivazione e pratiche agronomiche adottate;
  • il percorso del prodotto lungo la filiera (chi lo ha trattato, chi l’ha confezionato, chi l'ha distribuito).

In sostanza, il passaporto digitale garantisce trasparenza, autenticità e rintracciabilità del prodotto certificato. Ma, attenzione, non si tratta solamente di “mettere un QR code sull’etichetta”: le confezioni che hanno già il passaporto digitale sono realizzate con tecnologie di sicurezza (carta filigranata, grafismi, guilloche, fibrille, inchiostri speciali) simili a quelle usate per documenti o banconote, proprio per rendere il sistema più robusto contro contraffazioni e manipolazioni.

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