Se le compagnie low cost tendono a metterli in secondo piano per ridurre i prezzi dei biglietti, nei viaggi intercontinentali più lussuosi sono al centro dell'esperienza del volo: andiamo alla scoperta dei pasti ad alta quota.
Chicken or beef, ovvero “Pollo o manzo?”: è una delle domande che probabilmente una volta nella vita in molti hanno ricevuto stando seduti a bordo di un aereo, al momento del servizio del pasto. E se adesso la maggior parte delle persone è abituata solo a qualche snack (a pagamento) soprattutto nei voli a corto raggio, sono le first e business class delle grandi compagnie durante i voli intercontinentali a coccolare i propri passeggeri proprio come si faceva negli anni ‘50 e ‘60, il periodo del boom dell’aviazione civile quando, come riportato in un articolo della CNN, il menu cominciava con "consommé di manzo, continuava con petto di pollo cotto nel vino e finiva con una tartelletta di frutta come dessert”. L’esperienza di pranzare, cenare (ma anche fare colazione) tra le nuvole non è più parte integrante del viaggio come lo era una volta, ma allo stesso tempo non smette di essere discussa, spesso in termini non proprio entusiasmanti. Ci si chiede quindi perché il cibo ha un sapore diverso – o meglio – non sa di niente, così come viene preparato per essere poi consumato a migliaia di chilometri d’altezza. Proviamo a dare qualche risposta.
La preparazione del cibo che viene servito a bordo degli aerei è un’operazione che necessita di particolari attenzioni e proprio per questo a occuparsene sono aziende specializzate nel catering aereo, che lavorano a stretto contatto con le compagnie per lo sviluppo dei menu: questi devono essere garantiti dal punto di vista della sicurezza alimentare (avere intossicazioni in volo può rivelarsi un problema maggiore da gestire rispetto a quando si è a terra), facilmente trasportabili e, non in ultima, gradevoli.
Per questo molte delle cucine sono situate nei pressi degli aeroporti e funzionano come dei grandi centri di produzione, dove vengono rispettate tempistiche rigorose e standard igienici elevati: solitamente il pasto viene realizzato dalle 8 alle 24 ore prima del volo, abbattuto e poi refrigerato per essere conservato. I piatti vengono poi divisi in porzioni e distribuiti in contenitori specifici e caricati sull’aereo poco prima della partenza. Non è un mistero che la qualità e la varietà del cibo cambi moltissimo a seconda della compagnia e della classe: basti pensare che nomi prestigiosi al momento della messa a punto del menu possono anche avvalersi di camere pressurizzate per simulare l’esperienza gustativa che si ha durante il volo o che nel corso della traversata vengano offerti piatti ideati da chef stellati, caviale, vini selezionati e champagne.
In fase di progettazione del menu si tiene conto di tutte le limitazioni tecniche che si troveranno a bordo: le ricette, infatti, possono essere semplicemente riscaldate, in quanto nel mezzo non c'è una cucina. Il cibo viene conservato in carrelli refrigerati fino al momento del servizio. Ѐ il personale (hostess e steward) a occuparsi di posizionarlo nei forni a convezione (i più utilizzati) o a vapore seguendo le istruzioni al fine di non alterare consistenza e gusto. Niente microonde, per svariati motivi: alluminio o plastica, dove i cibi sono tradizionalmente riposti, sono materiali non supportati dall’elettrodomestico; le onde elettromagnetiche potrebbero interferire con gli strumenti tecnici e, in più, il riscaldamento sappiamo non avvenire in modo uniforme, con potenziali pericoli a livello sanitario.
Generalmente il pasto è organizzato in modo pratico sia per l’equipaggio sia per il passeggero: ecco perché compaiono i vassoi, che contengono tutte le pietanze, che comunemente nei voli a lungo raggio sono un antipasto, il piatto principale (di carne, pesce, vegetariano), il pane (con il burro da spalmare), il dolce e la macedonia di frutta comprese all’interno della tariffa. In business class o first class il servizio può essere simile a quello di un ristorante, con portate presentate singolarmente, il vino versato al bicchiere e una mise en place raffinata.
Se c’è un dettaglio sul cibo mangiato in aereo che sembra mettere d’accordo tutti è quello della sua scarsa appetibilità. Nonostante sia un difetto attribuibile alla natura del piatto stesso, perché anche una proposta gourmet può subire lo stesso giudizio negativo? Il motivo è da ricercare nelle condizioni in cui si consumano i pasti (parlavamo prima di test in camere pressurizzate per vedere come si modificano le proprietà organolettiche in volo rispetto a terra) nei veivoli, che non sono esattamente le stesse quelle sul livello del mare.
Ce ne possiamo accorgere anche quando saliamo in montagna: l'altitudine ha un effetto sul nostro senso del gusto e dell’olfatto, stimando che in volo la percezione dei sapori dolci e di quelli salati (non di quelli aspri o amari) si riduca fino al 30%.
Inoltre l’aria secca asciuga le mucose, rendendo più complessa la percezione degli aromi: ecco perché le ricette destinate agli aerei sono calibrate diversamente, con un uso più marcato di spezie (tipo curry), erbe aromatiche e pomodoro, condimenti che richiamano l'umami, efficaci nel rompere la monotonia di un alimento che potrebbe altrimenti risultare sciapo e anonimo.
Il binomio cibo e aereo esiste praticamente fin dagli albori dell’aviazione civile: tra i primi alimenti portati tra le nuvole si annovera il chewing gum, che veniva offerto ai passeggeri negli anni ‘20 per aiutarli a “stapparsi le orecchie”, come soluzione al comune barotrauma causato dai rapidi cambiamenti della pressione ambientale mentre si è in volo. Negli anni ‘30 compagnie entrate nel mito come la Pan American Airways introdussero i pasti caldi, con l’apice della ristorazione in aria che si raggiunge tra gli anni ‘50 e ‘60: nelle locandine promozionali dell’epoca non è raro vedere persone che mangiano su tavolini apparecchiati con tovaglie come se fossero in un ristorante di lusso, proprio a significare quanto la condivisione del cibo fosse tra i momenti imprescindibili del volo.
Le cose iniziano a cambiare con la deregolamentazione dell’industria aerea americana tra gli anni ‘70 e ‘80: i viaggi in aereo diventano più economici tagliando su servizi considerati prima uno status symbol come il pasto. Avvicinandoci al presente, gli attentati dell’11 settembre 2001 rappresentano un altro momento di svolta, con le misure di sicurezza che si intensificano a bordo, coinvolgendo anche il servizio dei pasti, per esempio vietando l’utilizzo di utensili potenzialmente pericolosi come alcune tipologie di coltelli. Anche la sicurezza alimentare ci ha messo lo zampino, proibendo l'uso di ingredienti rischiosi in termini di allergie come per esempio le arachidi, in passato estremamente diffuse. In più, soprattutto nelle compagnie low cost, si è preferito ridurre i costi, favorendo la creazione di più posti, togliendo lo spazio destinato al riscaldamento delle pietanze: per questo sono i piatti freddi come i sandwich o le insalate a comparire nei menu a pagamento.
C’è anche da dire, però, che la progressiva diminuzione della qualità del cibo servito sugli aerei negli ultimi anni ha portato a una vera e propria riscoperta di questo piacere (per chi se lo può permettere) durante il viaggio: sono i francesi di Air France, la compagnia di bandiera, che negli anni ‘10 del 2000 introducono per primi ad alta quota le creazioni degli chef premiati con la stella Michelin. Anche in Italia, ITA Airways ha fatto lo stesso sui voli intercontinentali in business class, con menu firmati da nomi come Gennaro Esposito ed Enrico Bartolini, solo per citarne due tra i più noti.