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5 Marzo 2022 15:00

Le ricette più antiche della storia sono babilonesi: cosa mangiavano 4000 anni fa

I più antichi ricettari mai rinvenuti sono babilonesi, risalenti all'incirca al 1700 avanti Cristo. Cosa mangiavano i popoli mesopotamici? Stufati di carne e tante verdure, alcuni ingredienti però non sono più reperibili.

A cura di Alessandro Creta
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Strenui difensori della più ferrea tradizione gastronomica, vade retro. Stavolta ci troviamo di fronte, a tutti gli effetti, al ricettario più antico della storia; preparazioni per le quali il "Le faceva meglio mia nonna" non può assolutamente nulla.

Si tratta, infatti, di tre tavolette di origine babilonese scritte in accadico (i caratteri cuneiformi tipici delle antiche civiltà mesopotamiche) decodificate pochi anni fa da un team di accademici provenienti da tutto il mondo tra storici, esperti di cucina e chimici. Non ci è voluto poco, ma dal loro lavoro sono emerse ben 25 ricette, di fatto i testi di cucina più antichi di cui si abbia una testimonianza tangibile. Se non uno specchio su questa antica civiltà, quantomeno un importante (seppur piccolo) spaccato sulle sue abitudini alimentari.

Babilonia: Hammurabi e non solo

Quella babilonese è un’etnia, reminiscenze scolastiche alla mano, risalente circa al 2000 avanti Cristo, e che nel re Hammurabi ha forse il suo più noto esponente. Il nome del sovrano è giunto fino a noi anche (se non soprattutto) grazie al famoso, e omonimo, codice “penale” che regolava leggi e sanzioni a Babilonia. Non è dato sapere con precisione l’esatto periodo in cui Hammurabi regnò sui Babilonesi, ma la maggior parte delle fonti attestano il suo operato tra il 1600 e il 1800 avanti Cristo.

In pochi forse sanno che dalla Mesopotamia di questo periodo non ci è giunto solamente il codice di Hammurabi, ma anche altri reperti storici dalla grande importanza culturale e gastronomica, difficilmente però studiati (e studiabili) a scuola. Si tratta, a tutti gli effetti, dei più antichi ricettari mai rinvenuti: tre tavolette di pietra scolpite a mano testimoni di una serie di preparazioni particolarmente diffuse tra gli alti ceti locali quasi 4 millenni or sono.

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Dalla Yale Babylonian Collection

Decodificate pochi anni fa da un team di ricercatori, storici ed esperti di cucina di tutto il mondo, le tavolette (ritrovate a Larsa, una piccola città dell’Iraq un tempo abitata dai Babilonesi) sarebbero databili attorno al 1700 a.C e rappresentano un incredibile unicum nel loro genere. Dalla traduzione di alcune ricette emerge come i Babilonesi avessero una predisposizione per i gusti forti, decisi, purtroppo però oggi difficilmente replicabili in quanto molti degli ingredienti utilizzati al tempo non sono più reperibili. Proprio per questa difficoltà di rifornimento di varie materie prime si crede come tali ricette fossero destinate alle cucine del palazzo reale o del tempio, replicate durante le occasioni di festa. Praticamente ci troviamo di fronte al primo esempio storico tangibile di quella che oggi definiremmo alta cucina. Le tre tavolette oggi sono conservate presso la Yale Babylonian Collection.

Stufati di piccione e agnello: le ricette più antiche

Detto ciò, dunque, cosa è stato tradotto dalle tavolette gastronomiche più antiche della storia?

Si tratta di preparazioni non particolarmente complesse anche se a dire il vero non sono scritti precisamente i passaggi delle ricette, ma è per lo più un elenco degli ingredienti necessari per realizzare la pietanza. In tutto sono state codificate 25 ricette (21 a base di carne e 4 vegetariane) e dalla loro traduzione pare che i Babilonesi andassero pazzi per l’amursano, una tipologia di piccione oggi estinta ma che nelle tavolette compare spesso. Stesso discorso per il samidu, una delle tante spezie utilizzate dal popolo mesopotamico ma ormai inesistente.

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Dalle codificazioni emerge come le carni più utilizzate fossero quelle di cervo, gazzella, montone, agnello e pollame, mentre tra i vegetali pare fosse un festival di aglio, cipolle, porri, verdure e spezie varie. Tra le ricette tradotte più fedelmente sembra esserci un equivalente dell’attuale stufato di agnello: “Per questa ricetta si usa la carne – si legge – Prepara l'acqua. Aggiungi sale fino, gallette di orzo, cipolla, scalogno di Persia e latte. Aggiungi porro e aglio schiacciato”. Non proprio chiarissima nei passaggi, anzi quasi un dettame degli ingredienti necessari per la sua realizzazione.

Stesso discorso per la ricetta del sopra citato piccione babilonese: “Taglia l’amursano in due parti ed aggiungi altra carne, prepara l’acqua, aggiungi grasso e sale; sfoglia sbriciolata (forse pangrattato) aglio, cipolla, porri e samidu e poi immergere nel latte”.

Pare, insomma, come il procedimento vero e proprio potesse essere per lo più tramandato oralmente, mentre solo gli ingredienti venissero scolpiti nella pietra. Non fatichiamo a capirne il perché: non vorremmo mai provare, dopotutto, a incidere nella roccia una ricetta, passo passo, solamente utilizzando uno scalpellino con poca (se non nulla) possibilità di errore. Una piccola svista nella trascrizione delle dosi, ed ecco che bisogna ricominciare tutto da capo.

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Quello che i piatti non dicono
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