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2 Agosto 2021 15:00

Lavash, il pane armeno che è patrimonio dell’Unesco

Una pane così antico e così importante da essere protetto come Patrimonio Culturale Immateriale dell'Unesco. È il lavash, il tradizionale pane armeno che può essere lungo fino a un metro e non più spesso di un paio di millimetri. Dietro la sua panificazione c'è una storia affascinante tutta al femminile, con una lunga lista di riti cristiani e pagani che si mescolano.

A cura di Francesca Ciancio
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Tra le migliaia di forme che il pane può avere, quella del lavash è di certo tra le più curiose. Il pane armeno è infatti un lungo e sottile "foglio" elastico che si strappa a pezzi con le mani, ma all'occorrenza può diventare anche un contenitore per pietanze, ad esempio per degli avanzi da portar via.

Un pane antichissimo appartenente alla tradizione armena, che si ritrova divisa e al contempo contaminata da due mondi, quello caucasico e quello orientale. È un pane che ha seguito la diaspora di un popolo che rischiava di scomparire a casa di un durissimo genocidio, ma che, girovagando tanto, ha accolto diversi cibi da accompagnare al proprio pane. Il lavash però rimane il punto di contatto degli armeni nel mondo ed è una tradizione a tal punto radicata da aver conquistato nel 2014 il riconoscimento di Patrimonio Culturale Immateriale Unesco. Possiamo trovarlo anche in Turchia, in Grecia, in Georgia, in Iran e in Azerbaigian.

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La preparazione tradizionale del lavash

Come in tutte le culture cristiane, la preparazione del pane riveste un momento importante e il lavash non fa eccezione. Soprattutto nelle campagne, il punto focale delle case rimane il forno, tonir: una fossa cilindrica rivestita di terracotta che funge anche da riscaldamento.

Il tonir è sempre acceso e va alimentato in continuazione, ma fare il pane non compete a tutti, ciascuno ha un suo compito legato ai ruoli familiari. In particolare le donne devono seguire una serie di regole non scritte ma tramandate da generazioni: ad esempio fare il pane non è permesso alle vedove, alle donne senza figli o a coloro impossibilitate ad averne, perché è un atto legato alla fertilità. Lo stesso tonir con la sua forma tonda e panciuta rappresenta il grembo materno.

La centralità di questo alimento è chiara anche nella lingua armena, dove per dire “io mi nutro” si dice “io mangio il pane” e l’aggettivo “generoso” si traduce in “è uno con il pane”. Altro rito di antica tradizione è quello di porre il lavash sulle spalle dei promessi sposi: se questo cade non è un buon segno.

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L’impasto è semplicissimo, acqua, farina, sale e lievito madre (ma non sempre) per uno dei pani più antichi al mondo. Per la farina si usano il frumento delle varietà locali, da cui si ottiene il lavash bianco, o un misto di farine di frumento, segale e avena, che dà il lavash nero. Peculiarità unica è anche la sua longevità, perché, se conservato bene, può arrivare a durare anche un anno.

Inoltre è particolare per la sua elasticità e la capacità di rinvenire con un po’ di acqua garantendo la fragranza iniziale. Caratteristiche dategli dall’impasto e dalla cottura e che nascono la necessità di avere un pane che potesse viaggiare con una popolazione poco stanziale. Bastano pochi minuti nel tonir dove i dischi di pasta vengono prima cotti in verticale sulla terracotta e poi accatastati in pile.

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Prima delle fiamme, gli impasti vengono adagiati sulla batat o rabata, un cuscino di lana o di fieno. In molte parti dell'Armenia, il forno è ancora alimentato con mattoni fatti con sterco di vacca e paglia, cosa che ha permette di respingere gli insetti.  L’ultimo passaggio obbligato è quello di avvolgerli in un panno umido per renderli morbidi.

Non più spesso di due millimetri è di solito lungo un metro, il lavash è, come dicevamo, soprattutto una storia di donne: secondo l'antica tradizione armena, la donna più anziana impasta la pasta, assistita dalla figlia e dalla nuora, ma anche dalle vicine di casa. L'obiettivo infatti è trasmettere la cultura e i segreti del lavash alle nuove generazioni.

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Alcuni grandi supermercati, soprattutto con un occhio di riguardo ai prodotti stranieri, si sono dotati di questa tipologia di pane, ma dalla primavera scorsa anche in Italia esiste una panetteria dedicata: si chiama Urartu Group ed è a Paderno Dugnano nel Milanese. Nata dall’idea di Karen, un signore armeno che, fermo nel suo lavoro a causa della pandemia, ha deciso di far rivivere l’antica tradizione dei suoi avi, garantendo spedizioni in tutta Italia.

Una poesia alle pareti delle cucine armene

Pane, lavash, è la nostra semplicità.
Lo apriamo a tutti.
Il nostro pane, lavash, è la nostra storia,
cotto e grigliato sulla fiamma.
Il nostro pane, lavash, è il nostro dolore, la
nostra pazienza, è la nostra grandine.
Il nostro pane, lavash, è la nostra essenza, la
nostra fede in questo pane è preghiera e rifugio.
Il nostro pane, lavash, è il nostro santuario.
Facciamo un giuramento e giuriamo sempre per questo pane

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