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15 Settembre 2023 13:00

La cucina fusion tra Giappone e Brasile è una delle più interessanti tendenze al mondo

Si tratta della cucina fusion tra Giappone e Brasile. Uno stile ben distinte, simile a quello peruviano, figlio dei flussi migratori dell'inizio del Novecento.

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Con l'appellativo di cucina nikkei di solito pensiamo alla fusion nippo-peruviana perché è senza dubbio quella più celebre. In realtà però con il termine "Nikkei" si definiscono tutti gli emigranti giapponesi in terre straniere, circa 4 milioni, di cui la maggior parte risiede in Brasile e Perù. La cucina nikkei brasiliana si chiama "Burajuru-jin", traducibile letteralmente in "nippo-brasiliano". Proprio come i piatti del vicino Perù, anche in Brasile c'è una vastità incredibile di prodotti locali che, uniti alla cultura del Sol Levante, arricchiscono la cucina e la rendono estremamente sofisticata. Vediamo insieme cos'è la cucina fusion nippo-brasiliana e quali sono le sue caratteristiche più importanti.

Una storia di emigrazione

Nel 1868 termina ufficialmente il feudalesimo in Giappone. Con la chiusura di questo capitolo della storia nipponica c'è un aumento spropositato della povertà, soprattutto nella popolazione rurale. C'è la diaspora dei giapponesi che emigrano cercando migliori condizioni di vita. Questa cosa per un Paese come il nostro è abbastanza normale ma il Giappone è sempre stato estremamente chiuso: ancora oggi è così ma un tempo lo era ancora di più. Per i giapponesi emigrare è fonte di grande imbarazzo, un'onta al proprio onore. Non a caso nella loro lingua ci sono due termini diversi per indicare i giapponesi che vivono effettivamente in Giappone e tutti quelli che hanno lasciato la propria terra. In pratica chi parte "perde il diritto" a definirsi giapponese: diventa un nikkeijin (ovvero un giapponese emigrato) già dal momento in cui lascia la nazione.

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Il flusso migratorio tra il 1868 e il 1900 è talmente elevato che i governi di Giappone e Brasile si trovano a firmare un accordo per far approdare i nipponici in sicurezza sulle coste del Sudamerica. Secondo l'Instituto Brasileiro de Geografia e Estatística i circa 100 anni di immigrazione giapponese in Brasile hanno portato 1,5 milioni di giapponesi tra Rio de Janeiro e dintorni. Il punto di incontro tra le due culture, che sembrano così lontane, è proprio il cibo. Con la fine della seconda guerra mondiale la comunità giapponese è cresciuta tantissimo e ha portato con sé tutta la propria cultura, introducendo in America Latina i piatti più classici della cucina nipponica. I brasiliani cominciano a gustarla, accompagnando spesso i piatti con la caipirinha. Con il tempo la frutta tipica e gli altri prodotti locali sono entrati attivamente nelle ricette dei piatti arrivando così al risultato odierno. La cucina nikkei burajuru-jin è leggera, fresca, molto colorata e si intravedono sprazzi di entrambe le culture in ogni piatto.

Ovviamente un conto è cucinare a casa, un altro è farlo al ristorante. Non si conosce con certezza il capostipite dei locali nikkei ma è probabile che il primo sia arrivato tra gli anni ’50 e ’70 a São Paulo che fondamentalmente serviva riso tiepido e pesce crudo locale. La svolta è arrivata negli anni '80: un problema di approvvigionamento (manca l'alga per avvolgere i maki) costringe gli chef giapponesi di prima o seconda generazione a ingegnarsi. Usano salmone o avocado per avvolgere questi involtini di pesce o verdure e da allora la tecnica, messa a punto da George Yuji Koshoji, si è diffusa in tutto il mondo. La fusione delle due culture culinarie ha creato anche un altro piatto molto celebre: il temaki. Anche i famosi e contestatissimi "buffet di sushi", arrivati in Italia da relativamente pochi anni ma celebri nel continente americano sono stati inventati in Brasile: il rigore del servizio giapponese messo in panchina dallo stile informale di tutti i brasiliani.

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In tutta questa storia c'è però una grande falla: nonostante la tradizione, nonostante nomi importanti, i brasiliani stanno cominciando ad apprezzare questo tipo di cucina solo da poco tempo. Nell'idea di molti popoli la concezione di "alta cucina" è strettamente legata a Italia e Francia. La maggior parte dei ristoranti "eleganti" ancor oggi propone queste due tradizioni al pubblico. Fortunatamente la tendenza sta cambiando grazie a grandi chef che si sono formati in giro per il mondo come Alex Atala, che è riuscito a fondere nikkei, tradizione brasiliana e cucina della foresta amazzonica in un unico concetto di ristorazione, oppure come Edson Yamashita, unico 2 Stelle Michelin giapponese in Sudamerica. Come forse avrai intuito dal nome, Edson nasce in Brasile da una famiglia giapponese.

In Italia abbiamo tanti esempi di cuochi di origini giapponesi, nati e cresciuti in Brasile, in grado di proporre la cucina nikkei burajuru-jin, o anche di cuochi brasiliani al 100% che in quei ristoranti si sono formati. Roberto Okabe del Finger's a Milano ne è un esempio: nato a São Paulo, i suoi nonni erano giapponesi, lui si forma prima a casa e poi a Tokyo. La maggior parte di questi cuochi ha scelto il capoluogo meneghino per esprimersi al meglio. Oltre a Okabe troviamo Jean Carlo de Lima, brasiliano di nascita, giapponese di formazione e italiano di adozione, chef del Batukada; oppure Jeric Bautista, chef di Bomaki, uno dei locali più di tendenza a Milano.

Non solo Lombardia: scendendo lo Stivale troviamo Marcos Aloisi, volto di Striscia la Notizia che ha un ristorante omonimo in Abruzzo, per finire in Campania dove la cucina giapponese ha davvero costituito un'enclave. Capostipite di questa stirpe è Ignacio Hidemasa Ito, brasiliano di nascita da una famiglia giapponese, attuale chef di Tabi a Napoli. Lui è il maestro della maggior parte dei "sushi chef" di alto livello del Mezzogiorno. Nella regione lavorano come consulenti anche Keisuke Aramaki e Taketomi Minakami, nomi importanti formatisi a cavallo dell'Oceano Pacifico. Lo stesso Edson Yamashita è lo chef anche di un locale in Campania, 1Q84 in provincia di Napoli.

L'Italia non è dunque rimasta indifferente al richiamo della cucina nikkei burajuru-jin. Ci sono tantissimi format, da quelli più giovanili e smart, poco impegnativi e più economici, ai grandi ristoranti che ambiscono al riconoscimento della Michelin e di altre prestigiose guide gastronomiche. Una cucina leggera, divertente e gustosissima, dalla storia inusuale che, in fin dei conti, è la storia di tutte le cucine del mondo: l'incontro tra i sapori e le culture come unica via per migliorare ciò che già si conosce.

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Quello che i piatti non dicono
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