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1 Agosto 2025 13:10

Il conto non torna: perché i ristoranti guidano l’evasione fiscale tra i commercianti

Un’analisi dei dati fiscali rivela che la ristorazione è la categoria commerciale con il maggior rischio evasione. Ma non è (sempre) una questione di malafede.

A cura di Francesca Fiore
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Quando si parla di evasione fiscale, l’immaginario collettivo tende subito a puntare il dito contro grandi aziende o conti offshore. Eppure, stando all’ultima Relazione del MEF sull’economia non osservata, pubblicata a inizio 2024, uno dei settori che più contribuiscono al cosiddetto tax gap — cioè la differenza tra quanto lo Stato dovrebbe incassare e quanto effettivamente incassa — è proprio quello che fa parte della nostra quotidianità: il comparto della ristorazione.

Secondo l’elaborazione del MEF sui dati ISA 2023, i ristoranti figurano al quarto posto assoluto tra tutte le categorie economiche per percentuale di contribuenti con dichiarazioni fiscali inaffidabili (72,8%). Tuttavia, se si guarda solo alle attività del comparto commerciale, la ristorazione risulta essere la categoria più esposta all’evasione, precedendo officine, bar, negozi alimentari e abbigliamento.

La scoperta può non sorprendere, soprattutto considerando che parliamo di un settore che, negli ultimi anni, ha attraversato crisi durissime: pandemia, inflazione, carenza di personale e aumento dei costi fissi. E allora la domanda viene spontanea: come mai, proprio queste attività sono tra le più propense a evadere? Per capirlo, dobbiamo guardare i numeri — e i meccanismi economici che li generano.

Chi evade di più: la ristorazione in cima alla classifica

Secondo i dati più aggiornati, il comparto della ristorazione si colloca tra i settori con la maggiore incidenza di comportamenti fiscali non corretti. In particolare, attività come ristoranti, bar, panetterie e negozi di alimentari mostrano percentuali elevatissime di cosiddetta inaffidabilità fiscale, con punte che superano il 70% dei contribuenti che dichiarano molto meno del dovuto.

Ma perché proprio loro? Uno dei motivi principali è l’alta incidenza di contante: sebbene i pagamenti digitali siano cresciuti, molti scontrini non vengono ancora emessi. Le mance sfuggono facilmente al fisco, e in molti casi anche una parte degli incassi veri e propri resta fuori dalla dichiarazione. Inoltre, molte attività sono piccole o a gestione familiare, spesso prive di sistemi automatizzati per la tracciabilità degli incassi, il che rende più facile — e talvolta quasi inevitabile — un certo grado di informalità.

C’è poi un altro elemento strutturale: la pressione fiscale sul lavoro. Il personale — spesso stagionale, giovane o straniero — viene talvolta impiegato senza contratto, o con formule ibride che sfociano facilmente nel lavoro nero. Non è solo una scelta opportunistica: per alcune imprese, è l’unico modo per sopravvivere nel mercato iper-competitivo della ristorazione italiana.

Infine, non si può ignorare il peso della burocrazia e della frammentazione normativa: cambiare sistema di cassa, adeguarsi a nuove regole sul POS, affrontare controlli incrociati — per molte piccole attività tutto questo rappresenta un costo reale, oltre che un rischio.

Potremmo dire che  l’evasione nella ristorazione non è sempre figlia della malafede, ma spesso di un sistema che rende difficile, e in alcuni casi economicamente svantaggioso, operare in piena regola. Tuttavia, i numeri restano e impongono una riflessione collettiva, soprattutto in un Paese dove ogni scontrino non battuto rappresenta una risorsa sottratta alla sanità, alla scuola, ai servizi pubblici.

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Non solo ristoranti: le altre attività

Secondo l’elaborazione del Sole 24 Ore dei dati del Ministero dell’Economia e delle Finanze basata sugli Indici Sintetici di Affidabilità (ISA), la ristorazione commerciale – che include ristoranti, trattorie e locali simili – mostra uno dei tassi più alti di dichiarazioni fiscali inaffidabili, con una quota pari al 72,8% dei contribuenti sotto la soglia di affidabilità fissata a 8. Questo dato colloca i ristoranti al quarto posto assoluto nella classifica nazionale, subito dopo lavanderie, autonoleggi e impianti sportivi.

Tuttavia, se si prende in esame solo l’universo delle attività commerciali e artigianali più diffuse, la ristorazione risulta essere la categoria più a rischio evasione. Subito dopo compaiono le officine meccaniche (70,4%), seguite da bar e pasticcerie (68,6%), negozi di alimentari (63,3%), elettricisti (62,4%), e altre realtà legate alla quotidianità come hotel, ferramenta, imbianchini e negozi di abbigliamento.

La presenza così massiccia di attività del comparto food nei primi posti della graduatoria segnala una tendenza strutturale: la diffusione dei pagamenti in contanti, la dimensione spesso familiare delle imprese e un uso frequente di lavoro irregolare rendono il settore particolarmente esposto al rischio di evasione, non necessariamente per dolo, ma per una fragilità sistemica radicata.

Ecco la classifica generale (tutte le attività economiche).

  1. Lavanderie – 78,5%
  2. Noleggio auto – 77,9%
  3. Gestione impianti sportivi / locali notturni – 76,3%
  4. Ristoranti – 72,8%
  5. Pelliccerie – 72,5%
  6. Servizi di assistenza anziani e disabili – 72,4%
  7. Sondaggisti – 71,9%
  8. Pesca e acquacoltura – 71,0%
  9. Lavorazione tè e caffè – 70,9%
  10. Panetterie – 70,6%

Ma se si considera un sottoinsieme più rilevante nella vita quotidiana – ovvero le attività commerciali e artigianali più diffuse, come ristorazione, autoriparazioni, vendita al dettaglio, ecc. – il quadro cambia, e la ristorazione sale al primo posto tra le attività con il maggior tasso di inaffidabilità fiscale.

Ecco la classifica che seleziona solo le attività commerciali e artigianali:

  1. Ristoranti – 72,8%
  2. Officine meccaniche – 70,4%
  3. Bar e pasticcerie – 68,6%
  4. Negozi di alimentari – 63,3%
  5. Elettricisti – 62,4%
  6. Negozi di abbigliamento – ~62%
  7. Ferramenta e imbianchini – tra 60 e 65%
  8. Hotel / strutture ricettive – circa 60%

Questa doppia lettura aiuta a comprendere perché il mondo della somministrazione alimentare – che comprende ristoranti, bar, pasticcerie e affini – sia da tempo al centro dell’attenzione fiscale. Non si tratta solo di una questione di incassi non registrati o di gettito sottratto all’erario, ma di un fenomeno con forte rilevanza economica, sociale e culturale. La ristorazione rappresenta un settore diffuso, capillare, profondamente radicato nel tessuto urbano e quotidiano del Paese. È spesso costituito da piccole imprese a conduzione familiare, in cui la gestione è informale, il ricorso al contante è ancora elevato e la digitalizzazione rimane parziale. Questo rende più difficile il controllo e più frequente la discontinuità nella corretta trasmissione dei dati fiscali.

Inoltre, il settore vive un paradosso evidente: da un lato è centrale nella vita economica italiana, dall’altro registra dichiarazioni di reddito tra le più basse in assoluto, spesso incompatibili con i volumi reali di attività. Per questo il fisco lo considera un comparto chiave: non solo perché evadere è più facile, ma perché recuperare evasione qui significherebbe rafforzare l’equità fiscale percepita da cittadini e imprese.

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L'evasione si riduce: segnali di cambiamento

C’è però un altro dato, forse meno clamoroso ma decisamente incoraggiante: l’evasione fiscale in Italia sta diminuendo. Secondo la Relazione del MEF, il tax gap complessivo — che nel 2016 superava i 107 miliardi di euro — è sceso a circa 87 miliardi nel 2021. Una riduzione lenta ma costante, che segnala una maggiore capacità dello Stato di intercettare l’evasione e, forse, anche una maggiore consapevolezza da parte dei contribuenti.

A rendere possibile questo miglioramento sono stati diversi fattori. Il più visibile è l’introduzione di strumenti digitali: fattura elettronica, scontrino elettronico, trasmissione telematica dei corrispettivi. In particolare per la ristorazione, l’obbligo di inviare ogni incasso all’Agenzia delle Entrate in tempo reale ha contribuito a ridurre le aree grigie.

Ma non è solo una questione di tecnologia. Anche le strategie di prevenzione messe in campo dal fisco — come le lettere di “compliance” inviate ai contribuenti a rischio, o i controlli mirati nei settori più critici — hanno avuto un effetto concreto. A questo si aggiunge il ruolo del PNRR, che ha fissato obiettivi precisi sulla riduzione dell’evasione come parte integrante del piano di rilancio economico post-Covid.

Insomma, qualcosa si muove. E se è vero che la ristorazione resta uno dei settori con le criticità maggiori, è anche vero che il contesto sta cambiando: pagamenti digitali sempre più diffusi, maggiore attenzione da parte dei clienti, e una crescente cultura della legalità stanno lentamente spostando gli equilibri.

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