Alla scoperta di un distillato dalle origini secolari, di cui Scozia e Irlanda si contendono da sempre la paternità: per farlo ci vogliono solo tre ingredienti (acqua, cereali e lieviti) e un tempo di invecchiamento di almeno tre anni.
“Colore chiaro, gusto pulito”: con queste parole di un famoso spot degli anni ‘80 il whisky era entrato nella cultura popolare italiana, dove si giocava a fare gli intenditori (come Michele, il protagonista della pubblicità), per poi perdere di nuovo il suo fascino. Negli ultimi tempi, il mondo degli spirits sta vivendo un momento d’oro (in parte trainato dall’interesse verso il gin), con i superalcolici che quando bevuti devono essere di qualità, così come accaduto per il vino e la birra. Andiamo quindi alla scoperta di che cos’è e come si fa il whisky, un distillato protagonista di tanti cocktail, ma anche ingrediente alternativo e sofisticato da usare in cucina.
La storia del whisky è antica e avvolta nel mistero, caratterizzata da dispute tra Scozia e Irlanda per la paternità. Senza dubbio le radici affondano nel Medioevo (attorno al ‘300), in particolare all’interno dei monasteri, con i monaci che affinano l’arte della distillazione sviluppata dagli arabi e poi dai romani (senza dimenticare l'apporto degli alchimisti) e che vede protagonista l’alambicco, ovvero lo strumento principe con cui ottenere l'alcol distillato, conosciuto al tempo con il termine latino di aqua vitae. Sembra che la parola whisky, infatti, possa derivare dall’antico irlandese uisce beatha, poi preso in prestito anche dal gaelico scozzese uisge beatha, che significa proprio “acqua della vita”, usata sia come bevanda, sia a scopo medicinale.
Dando un paio di date significative: gli irlandesi citano un documento del 1405, gli Irish Annals of Clonmacnoise, dove viene raccontata la morte di un capo clan dopo aver abusato di aqua vitae, mentre gli scozzesi si rifanno a un registro in cui il frate John Cor (nome simbolo dello Scotch Whisky), dell’Abbazia di Lindores, veniva autorizzato a usare otto bolle di malto (in riferimento a un’unità di misura) per produrre l’acquavite destinata a Re Giacomo IV. Enrico VIII, poi, nell’ambito del cosiddetto Scisma anglicano del XVI secolo fa chiudere i monasteri, così la distillazione diventa un’attività praticata dai contadini e dalla gente comune: a inaugurare la produzione a scopo di lucro è la Scozia.
Nei secoli seguenti si susseguono diverse fasi in cui i governi tassano i distillati, facendo crescere la produzione illegale, ed entrano in scena (per restare) anche un terzo e un quarto Paese, ovvero gli Stati Uniti (dove il whisky viene coinvolto nel periodo del Proibizionismo) e il Canada. L’attore più recente e significativo è il Giappone, che inizia la sua storia di eccellenza nel 1924. Il whisky ha attraversato momenti d’oro (le Golden Era) e momenti di crisi: ora, la sempre maggiore curiosità nei riguardi degli spirits artigianali (dal gin alla grappa, passando per il rum) sta contribuendo a una sua nuova popolarità.
Abbiamo appena visto che il whisky è un distillato che vanta una produzione secolare: sebbene si tratti di un universo complesso, che dà luogo – come vedremo in seguito – a tipologie differenti, gli ingredienti si limitano a tre e sono: l’acqua, i cereali (a seconda della provenienza e del risultato gustativo che si vuole ottenere troviamo l’orzo, il frumento, il mais e la segale) e i lieviti (usati nella fermentazione). All’appello rispondono anche altri due elementi caratterizzanti: la torba – impiegata come combustibile durante l'essiccazione del malto d’orzo, e che conferisce quel tipico sentore affumicato ai whisky torbati – e il legno, precisamente il rovere, che è il materiale con cui vengono fabbricate le botti per l’affinamento. Detto questo, il processo si articola in cinque fasi: vediamole brevemente.
Il maltaggio (malting) è la prima fase che trasforma il cereale crudo in malto. L’orzo viene prima immerso nell’acqua per circa due/tre giorni e poi steso su un grande pavimento affinché avvenga la germinazione: durante questo periodo l’amido del chicco si trasforma in zuccheri semplici. Una volta raggiunto il punto ottimale, ecco che si procede con l’essicazione all’interno di forni con aria calda. Come accennato in precedenza, è qui che può comparire la torba, che definirà una nota aromatica molto particolare al futuro whisky.
Il malto viene macinato ottenendo una farina che viene mescolata in vasche con acqua calda (mashing): quest’ultima influisce sul prodotto finale, tanto che non è un caso se le distillerie nascono in luoghi dove ve ne è un’abbondante disponibilità, meglio se di sorgente, quindi di alta qualità. Si separa il cereale esausto (draff) e si ricava solo la parte liquida, detta wort, scura e zuccherina: lo scopo, infatti è di estrarre al massimo il contenuto di zuccheri fondamentali come nutrimento dei lieviti per la fermentazione, che avviene subito dopo.
Il viaggio verso il whisky continua con il wort che viene raffreddato e trasferito nei washbacks, grandi tini di acciaio inox (o in legno) dove viene aggiunto il lievito per avviare la fermentazione (fermentation), che vede la produzione di alcol e anidride carbonica. Così nasce il wash, che somiglia a una birra con una gradazione tra il 6 e e l’8 vol %.
Si entra così nel vivo del processo (la distillation), dove il wash tradizionalmente una doppia distillazione (in alcuni casi anche tre) all’interno di alambicchi di rame. In questa fase il wash viene riscaldato e l’alcol, che ha un punto di ebollizione più basso dell'acqua, evapora per primo. Il vapore alcolico viene poi raffreddato e condensato in forma liquida, separandosi così dall’acqua. La gradazione arriva 70 gradi.
A questo punto il distillato viene diluito con acqua per far scendere la gradazione alcolica attorno ai 65 vol%, considerata ottimale, e inserito nelle botti di legno di rovere per la maturazione (maturation). Di base l’invecchiamento minimo è di 3 anni, ma i produttori optano per tempistiche decisamente più lunghe, di media comprese tra i 12 e i 21 anni, ma ci si può spingere ben oltre. In questo periodo il distillato interagisce con il legno, sviluppando i tipici aromi. Una parte dell’alcol evapora ogni anno (si attesta tra l’1% e il 2%), ed è conosciuta come angel’s share.
Whisky (senza “e”) o whiskey (con la “e”): qual è la differenza? Nel primo caso si utilizza per indicare la produzione scozzese, giapponese e canadese, mentre la seconda è la grafia preferita in Irlanda e negli Stati Uniti. I principali paesi produttori sono proprio questi, la Scozia, l’Irlanda, gli Stati Uniti, il Giappone, ma ha una sua tradizione anche il Canada e nell’Europa continentale ultimamente sono nate distillerie artigianali di qualità in Francia e in Italia (che a fine 2024 contava 10 distillerie attive). Ognuno ha sviluppato un proprio stile, vediamo i principali.
Prodotto esclusivamente in Scozia, può essere Single Malt (solo malto d’orzo, da una singola distilleria), Single Grain (con altri cereali e orzo non maltato) e Blended (a partire da una miscela) e per essere definito tale deve rispettare caratteristiche ben precise. Ce ne sono diverse tipologie (fruttate, floreali, dolci, morbide, affumicate etc) che arrivano da zone votate alla produzione, come per esempio le selvagge e incontaminate Highlands a nord.
Distillato solitamente tre volte, è un whiskey noto per il suo gusto morbido e rotondo, solitamente più delicato rispetto al precedente. Invecchia per legge anch’esso almeno 3 anni in botti di rovere. Tra i marchi storici più noti c’è il Jameson, originario della contea di Cork.
Negli USA le tipologie più note sono il Bourbon (a base di mais, almeno al 51%) e il Tennessee Whiskey, simile al primo, ma filtrato con una carbonella d’acero dopo la distillazione, che conferisce un profilo vanigliato e speziato.
I whisky giapponesi si ispirano storicamente al modello scozzese, il più delle volte sono Blended e Single Malt e si contraddistinguono per equilibrio aromatico e ricerca dei dettagli: per esempio, l’uso di botti realizzate in legno di rovere Mizunara, considerato tra i migliori al mondo. I nomi più classici sono Yamazaki, Nikka e Hibiki.
Il whisky canadese, infine, si ottiene da una miscela di cereali come mais e segale, ed è comunemente definito come un rye whisky. Il profilo è elegante, solitamente con sentori di vaniglia, caramello e frutta secca. Da citare sono il Crown Royal e Canadian Club: nota di costume, quest’ultimo è il preferito di Don Draper, il celebre personaggio della serie tv Mad Men che ne faceva un ampio uso, liscio, on the rocks e nell’iconico cocktail Old Fashioned.