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14 Settembre 2025 15:00

Che cos’è la cassava, yuka o manioca, il tubero sudamericano da cui si ricava la farina di tapioca

Vediamo quali sono le differenze tra manioca e tapioca e i diversi usi in cucina che si fanno di questi due alimenti: il primo si riferisce alla radice di una specifica pianta originaria del Sud America, il secondo è il suo amido, che viene ricavato dalla polpa.

A cura di Federica Palladini
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Probabilmente il nome non ti è nuovo: manioca è un termine che sta entrando nel linguaggio comune perché sempre più spesso compare in ricette che arrivano dal Sud America (tipo l'acarajé e la farofa brasiliani), Africa e Asia. Si tratta di una radice a forma di tubero consumata da secoli e che in cucina si può accomunare come impiego alla patata: bollita come contorno, fritta in stile chips o ridotta a purè. Ma non solo: è una pianta con cui si può panificare, proprio come si fa con il frumento o il mais, considerata di primaria importanza nell’alimentazione di milioni di persone. Inoltre, non ti sarà ignota nemmeno la parola tapioca, strettamente legata alla manioca, da cui si ricava una farina gluten free. Andiamo alla loro scoperta.

Che cos’è la manioca

Conosciuta anche con il nome di cassava o yuca, la manioca (nome scientifico Manihot esculenta) è una pianta originaria dell’America Latina – probabilmente la patria è il Brasile –  già conosciuta e impiegata come alimento dalle civiltà precolombiane. Con gli scambi commerciali e le colonizzazioni che seguirono la scoperta del Nuovo Mondo si diffuse in molteplici zone tropicali e subtropicali, dall’Africa subsahariana all’Asia, dove viene coltivata ancora adesso.

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Fino a qualche tempo fa aveva il vantaggio di essere resistente, di crescere in terreni impervi e di non necessitare di molta acqua, tanto che la FAO nel 2013 l’aveva inclusa nel suo programma di agricoltura sostenibile Save and grow: nel 2025, la stessa organizzazione, per via del cambiamento climatico, delle deforestazioni, di mancata innovazione e regolamentazione del lavoro dei contadini, l’ha compresa tra le coltivazioni a rischio dimezzamento entro il 2100 (accanto a caffè, grano e fagioli). Si presenta come un arbusto perenne appartenente alla famiglia delle Euphorbiaceae con radici particolarmente sviluppate che ne costituiscono la parte commestibile: il loro aspetto è quello di un tubero sodo e allungato, ricoperto da una buccia dura e brunastra, mentre la polpa interna è bianca o giallastra.

Come viene utilizzata la manioca

In diverse parti del mondo, soprattutto dove si localizzano le coltivazioni, la manioca è considerata un cibo base, come riso, mais e patate. Il motivo? Basta dare un’occhiata al profilo nutrizionale e alla sua versatilità. Per milioni di persone è una delle principali fonti di carboidrati: in 100 grammi se ne contano 38,06 g (tra cui 1,70 gr di zuccheri e 1,8 gr di fibre), mentre grassi (0,29 gr) e proteine (1,36 gr) sono irrisori. Compaiono invece sali minerali tra fosforo, magnesio, calcio, sodio, manganese, zinco, ferro e, soprattutto, potassio (271 mg), vitamine (A, B, C, K). Rispetto ad alimenti simili, come indicano le tabelle Humanitas, è più calorica: 160 kcal per 100 grammi. In più è ricca di amido ed è senza glutine.

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Come si mangia la manioca? Prima di tutto mai cruda: contiene glicosidi cianogenici, composti naturali vegetali che potrebbero liberare acido cianidrico, un potente veleno. Per questo va sempre consumata sbucciata e previa cottura: la polpa può essere lessata, cotta al vapore, ridotta a purè, fritta. Ne esistono due varietà, una dolce e una amara, con la prima che arriva sulle tavole. La consistenza potremmo paragonarla a quella delle patate, con un sapore leggermente dolciastro, mandorlato, con una punta di piccante. In Sud America è molto popolare tagliata a rondelle in stile “chips”, da gustare come snack, o come “patatine” fritte di contorno. Il ruolo principale della manioca a livello alimentare, però, è senza dubbio quello della sua farina: macinando la radice intera si mantengono la maggior parte dei macro e dei micronutrienti, ottenendo una polvere sostanziosa e con un indice glicemico più basso rispetto a quella di frumento con cui fare il pane.

Come si utilizza la farina di tapioca estratta dal tubero

Perché improvvisamente parliamo di tapioca in riferimento alla manioca? Semplice: perché si tratta del suo sottoprodotto più famoso, ovvero l’amido che si ricava dal tubero e che a sua volta dà vita ad alimenti diversi. Le più modaiole sono senza dubbio le perle di tapioca: piccole sfere bianche che una volta cotte in acqua bollente assumono una texture gelatinosa e traslucida, diventate celebri per merito dei colorati bubble tea, dove sono, appunto, le “bolle”, che nella nostra ricetta abbiamo preparato home made, ma si trovano facilmente in commercio già pronte. Le palline si usano, però, in tantissimi dessert al cucchiaio, stile pudding: in Vietnam, unite a una crema di latte di cocco e banane, si trasformano in un dolce tradizionale, il chè chuối.

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Difficile, poi, non aver mai sentito parlare della farina di tapioca, da non confondere con la farina di manioca sopra citata. In questo caso lo sfarinato è frutto solo dell’amido (la tapioca) che viene separato dal resto della polpa e fatto essiccare per ottenere una polvere bianca che assume caratteristiche simili a quelle della fecola, si usa in particolare come addensante in zuppe, salse, creme e dona agli impasti maggiore leggerezza senza modificare il sapore, come per esempio nel pan de quejio sudamericano, panini morbidi che vedono la farina di tapioca aggiunta a formaggio fresco, uova, lievito e sale. Rispetto alla manioca, ha una minore concentrazione di nutrienti: è composta da quasi il 90% di carboidrati, perde le vitamine e guadagna in calorie, 332 kcal in 100 gr. Non ha quindi particolari proprietà, ma è un ottimo ingrediente per le preparazioni senza glutine.

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