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4 Maggio 2024 15:00

Additivi nelle farine: cosa sono e a cosa servono

Così come in altri alimenti, specialmente quelli processati, anche le farine contengono sostanze che puntano a un miglioramento della resta del prodotto finale. Vediamo quali sono.

A cura di Federica Palladini
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Quando si parla di prodotti a largo consumo, semplici da reperire negli scaffali dei supermercati, capita spesso di imbattersi nel termine additivi alimentari, ovvero sostanze naturali o di sintesi che vengono impiegate al fine di raggiungere uno specifico risultato: in particolare in funzione colorante, conservante, antiossidante, emulsionante, addensante o per regolare il sapore. Da normativa europea devono essere dichiarati in etichetta con la sigla E seguita da un numero identificativo a tre cifre e sottostare alle quantità previste dalla legge. Gli additivi sono utilizzati anche in panificazione e si possono trovare nei prodotti finiti, come pagnotte o pane in cassetta, così come nelle confezioni di farina, da quella di grano tenero alla semola, passando per quelle selezionate che meglio si prestano a realizzare pasta fresca o pizza per favorire la lievitazione, dare colore all’impasto, conferire maggiore o minore estensibilità.

Ma non solo gli unici agenti che hanno effetti positivi sul risultato finale: nelle farine si trovano anche i miglioratori tout court come il malto, usato in veste di farina di frumento maltata e addizionata per attivare più velocemente la fermentazione, oppure il glutine secco, che si ottiene dall'essiccazione della farina di grano lavata in acqua, così da eliminare l’amido, e viene unito alle farine per aumentare la capacità di sviluppare la maglia glutinica.

Un’altra categoria è quella dei coadiuvanti tecnologici, che aiutano nella lavorazione: i più usati in panificazione sono gli enzimi, in particolare alfa e beta amilasi, che servono a bilanciare l’attività enzimatica delle farine, per accelerare o stabilizzare nel tempo il processo di fermentazione e maturazione.

Nelle confezioni delle farine difficilmente si trovano indicati in etichetta miglioratori e coadiuvanti, in quanto non è obbligatorio, però non ci sono neppure gli additivi. Come mai? Perché quelli maggiormente utilizzati sono classificati come coadiuvanti, rispettando quindi la loro legislazione. Vediamo quali sono.

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Quali additivi si aggiungono alle farine e a cosa servono

Come abbiamo visto anche la farina non è immune all’aggiunta di sostanze che possono dare vantaggi sulla resa del prodotto finale, agendo in particolare sulla sua reologia, ovvero su come questa reagisce durante le fasi di impasto, a contatto con lieviti e acqua. Gli additivi sono sempre sottoposti a controlli di sicurezza alimentare da parte delle autorità garanti, l’Efsa per l’Europa. Per esempio, quest’ultima nel 2015 ha bandito l’uso del bromato di potassio (E924) come additivo alimentare che svolgeva nelle farine diversi compiti (da migliorare la lievitazione a sbiancante), in quanto considerato potenzialmente cancerogeno.  Per legge, nelle farine in questo momento sono ammessi i seguenti 4 additivi.

1. L-cisteina (E920)

La L-cisteina (E920) è un amminoacido di sintesi che viene usato come agente di trattamento delle farine che ha il ruolo di allentare la maglia glutinica, dandole una maggiore estensibilità, contribuendo anche a limitare la ritirabilità dell’impasto della pizza. Si impiega solitamente per correggere una farina forte usata in manipolazioni brevi: non è autorizzato nel biologico.

2. Acido ascorbico (E300)

L'acido ascorbico, comunemente chiamato vitamina C, in panificazione è usato per migliorare la maglia glutinica, in quanto è un rafforzatore del glutine. Si rivela quindi utile per aumentare l’elasticità di un impasto e favorire la capacità di assorbimento dell’acqua, così da dare al prodotto finito una migliore alveolatura. Fa quindi bene alla salute? In realtà a livello di benessere non c’è alcuna conseguenza, visto che si tratta di una sostanza che si volatilizza con le alte temperature della cottura e quindi scompare.

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3.Acido fosforico, fosfati, di-, tri- e polifosfati (E338 – E452)

Si tratta di un grande gruppo che comprende acido fosforico, fosfati di sodio, fosfati di potassio, fosfati di magnesio, difosfati, trifosfati, fosfati di calcio e polifosfati, derivanti dalla famiglia dei fosfati. Le maggiori funzioni sono quelle di antiossidanti, regolatori dell’acidità e lievitanti. Come l’E920, questi rinforzi non possono essere utilizzati nei prodotti commercializzati come biologici. La quantità giornaliera di assunzione è di 40 milligrammi per chilogrammo di peso corporeo su individui sani secondo un parere dell’Efsa del 2019, portata a ribasso in quanto sebbene si trovino naturalmente in diversi alimenti i fosfati sono tra gli additivi più frequenti nei cibi e negli integratori alimentari: assumerne troppi potrebbe portare a problemi cardiovascolari in persone che soffrono di lieve o grave disfunzione renale.

4. Biossido di silicio e silicati (E551-E559)

Il biossido di silicio e i silicati sono al momento degli “osservati speciali”. Sono delle sostanze chimiche antiagglomeranti e sbiancanti, aggiunte nelle farine (e in altri alimenti) sotto forma di polvere finissima che evita la formazione di grumi a contatto con l’umidità esterna. Come riportato da Il Salvagente, negli ultimi anni la sicurezza alimentare del biossido di silicio è stata messa in discussione in quanto potrebbe contenere alcune nanoparticelle dannose per la salute dell’intestino, con lo sviluppo di infiammazioni, come sottolineato da Altroconsumo e favorire l’insorgere della celiachia secondo recenti studi del francese INRAE, l’Istituto nazionale di ricerca per l’agricoltura, l’alimentazione e l’ambiente. La comunità scientifica non ha ancora nessun punto di vista negativo conforme, quindi il suo utilizzo è del tutto legale.

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