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Dubai, simbolo globale dell’eccesso e dell’innovazione, si prepara a lanciare una delle sue sfide più audaci: a settembre 2025 aprirà WOOHOO, il primo ristorante ideato da un’intelligenza artificiale. Ma dietro lo scintillio di luci LED, le interfacce vocali e l’atmosfera dichiaratamente cyberpunk, ci si chiede se ci sia davvero sostanza o solo un’operazione spettacolare.
A capo del progetto c’è Chef Aiman, un modello linguistico di intelligenza artificiale addestrato su decenni di ricerca in scienza alimentare, composizione molecolare e oltre mille ricette provenienti da tutto il mondo. Aiman non si limita a inventare piatti: è in grado di generare l’intero menu, abbinare ingredienti in modi inaspettati, regolare l’illuminazione, selezionare la musica e persino diffondere profumi coerenti con l’esperienza sensoriale progettata. Tuttavia, l’esecuzione dei piatti rimane affidata a chef in carne e ossa, come Reif Othman, che testano i prototipi ideati dall’algoritmo. Il concept creativo, però, resta saldamente nelle mani del codice.
Dove ci porterà l'intelligenza artificiale in cucina
L’utilizzo dell’intelligenza artificiale in cucina apre scenari affascinanti. Da una parte, può introdurre maggiore efficienza e sostenibilità: la capacità di riutilizzare scarti alimentari, di sperimentare nuove combinazioni e di ridurre gli sprechi è un vantaggio concreto. A ciò si aggiunge una precisione inedita: Aiman può calibrare sapori come umami, acidità e texture secondo una logica molecolare rigorosa, garantendo coerenza e ripetibilità, cosa che pochi chef umani possono assicurare.
Dall’altra parte, emergono dubbi importanti. Il gusto umano resta il parametro fondamentale, e senza la capacità di assaggiare, Aiman rischia di proporre ricette perfette sulla carta ma prive di emozione, intuizione o quei piccoli difetti che spesso trasformano un piatto in un’esperienza indimenticabile. Inoltre, c’è il rischio che l’esperienza diventi troppo scenografica: se prevale l’effetto teatrale rispetto alla sostanza culinaria, WOOHOO potrebbe ridursi a una brillante installazione digitale, più attenta all’estetica che al gusto.
Ma non si tratta del primo vero debutto per chef Aiman, che aveva già messo a disposizione la sua vasta banca dati e le ricette generate algoritmicamente al ristorante Trove, sempre nella fervente Dubai. Esperimenti simili si sono visti anche altrove: dall’altra parte del mondo, a San Francisco, circa un anno fa è stato inaugurato Mezli, un ristorante completamente automatizzato senza nemmeno cuochi umani sul posto. Insomma, la novità di WOOHOO è relativa, ma segna comunque un ulteriore passo nella direzione di un futuro in cui l’essere umano dovrà confrontarsi sempre più spesso con rivali in acciaio e codice, capaci di replicare – o forse superare – le sue abilità.

La replicabilità, croce o delizia?
C’è anche un’incertezza legata alla possibilità di replicare il modello. Il team che ha sviluppato Aiman ha in mente di esportarlo in tutto il mondo, ma resta da capire se una macchina possa adattarsi davvero alla sensibilità gastronomica locale. Il pericolo è che il risultato sia un ristorante “in serie”, standardizzato e poco empatico, incapace di cogliere le sfumature culturali che rendono unica la cucina di ogni paese.
Nonostante i dubbi, WOOHOO resta un esperimento ambizioso. È un laboratorio in cui algoritmo e arte si incontrano, dove il rigore scientifico si fonde con l’istinto creativo. Nella migliore delle ipotesi, potrebbe aprire la strada a una cucina più consapevole, riducendo gli sprechi e migliorando la qualità attraverso l’analisi dei dati. Nella peggiore, si limiterà a offrire uno spettacolo high-tech fatto di luci, drink “programmati” e piatti belli da vedere ma vuoti di anima.
Alla fine, la vera questione non è se l’intelligenza artificiale possa cucinare – quello lo fa già – ma se noi, come amanti del gusto autentico, siamo pronti a delegare a una macchina le nostre scelte a tavola. E soprattutto, se sarà in grado di sorprenderci davvero. O se si limiterà, semplicemente, a stupirci.