Definito anche come l'oro verde della birra, il luppolo è uno dei suoi ingredienti principali, che ha il compito di dare l'amaro e le note aromatiche (ma non solo), dando vita alle caratteristiche peculiari di questa antichissima e amatissima bevanda.
La birra è una delle bevande più antiche consumate dall’uomo: le sue prime tracce risalgono a oltre 10.000 anni fa, in Mesopotamia, dove veniva realizzata con cereali e aromatizzata con spezie, miele o erbe spontanee. Del luppolo non vi era traccia. Sembra strano, ma è così: l’ingrediente che oggi associamo immediatamente a questa bevanda fermentata è entrato in scena in epoca medievale, venendo riconosciuto come una delle materie prime essenziali della birra solo nel 1516 in Bavaria, con il Reinheitsgebot, passato alla storia come l’Editto della purezza, che standardizzava la produzione con l’utilizzo di “orzo, acqua e luppolo”. Nella birre artigianali contemporanee il suo ruolo si è fatto sempre più centrale: i brewers lo scelgono per dare personalità alle proprie creazioni, in quanto è suo il merito di bilanciare la dolcezza del malto, conferendo sia l’amaro sia le note aromatiche (dalle speziate alle floreali, passando per le agrumate o erbacee). Ne esistono tantissime varietà, comprese quelle nate da sperimentazioni, tanto che il luppolo è diventato la componente più identitaria della birra. Andiamo alla sua scoperta.
Il luppolo (Humulus lupulus) è una pianta rampicante perenne appartenente alla famiglia delle Cannabaceae, coltivata prevalentemente nelle zone con clima temperato di tutto il mondo: può arrivare a un’altezza di 12 metri, e si presenta con foglie larghe, fiori maschili e femminili. Nella produzione brassicola sono utilizzate solo le infiorescenze femminili, dette coni (con riferimento alla loro forma) che sono munite di ghiandole (le ghiandole lupoline) che secernono una resina odorosa, e che vedono la presenza di olii aromatici: sono proprio questi gli elementi fondamentali che danno alla birra l’amaro e le note aromatiche. I coni vengono raccolti solitamente dall’inizio dell’estate alla fine dell’autunno.
Di luppolo ne esistono più di 120 cultivar mondiali, con la Germania, gli Stati Uniti e la Cina che si attestano tra i maggiori coltivatori. Parlando di classificazioni generali, ecco che si possono distinguere per caratteristiche sensoriali e per provenienza. Come anticipato, nel cono sono presenti resine e oli essenziali: le prime danno l’amaricante grazie a dei composti organici chiamati α-acidi (alfa acidi), mentre i secondi sono responsabili delle sfumature aromatiche. In base alla quantità contenuta nel fiore, ci sono luppoli “da amaro”, luppoli “da aroma” o “dual purpose”, adatti a entrambi gli scopi.
A seconda dell’origine, invece, i luppoli più storici, eleganti, floreali e speziati arrivano dai paesi europei e sono definiti “nobili”, come per esempio il Saaz ceco (re delle Pilsner), il Tettnanger tedesco (più usato nelle Lager) o l’East Kent Goldings, quello inglese per antonomasia. Di recente, a partire dagli anni ‘70 e 80 del ‘900 sono gli Stati Uniti a essere protagonisti di una vera e propria rivoluzione, compiendo molteplici ricerche sui luppoli e dando vita, per esempio, alle celebri American IPA (Indian Pale Ale), che hanno un gusto più deciso, dove spicca l’amaro insieme ad aromi agrumati, resinosi e di frutta tropicale. Tra i luppoli made in USA più noti troviamo il Cascade, messo a punto nel 1972, un incrocio tra il Fuggle inglese e il Serebrianka russo.
Il luppolo è uno degli ingredienti base della birra insieme al malto, l’acqua e il lievito, ed è una materia prima semi-lavorata: significa che normalmente arriva nei birrifici già pronto per essere impiegato in fase produttiva. Le aziende agricole rendono disponibili i coni freschi, essiccati o in pellets, ovvero in veste di piccoli cilindri con il fiore che viene seccato, polverizzato e poi pressato, risultando la modalità più pratica e quindi più diffusa. Quando si inserisce il luppolo? Durante il momento della cottura del mosto, ricavato precedentemente dall’unione del malto con l’acqua, a cui vengono aggiunti i lieviti (si parla di ammostamento) e, in seguito, filtrato. A questo punto la parte solida è stata eliminata e resta solo quella liquida, che va bollita: qui abbiamo l’incorporazione dei luppoli. Generalmente i luppoli da amaro sono messi per primi, e successivamente, verso la fine, quelli da aroma. Dopo si procede con la fermentazione, la maturazione e il confezionamento.
Grazie alle infinite varietà di luppolo, si realizzano birre dai sapori e profumi più diversi: all’interno di una stessa bevanda se ne possono trovare uno (usato in purezza) o più, a seconda del risultato che si vuole ottenere. Si può dire che il luppolo sia l’elemento che conferisce l’amaro alla birra, mentre il lato dolce è quello del malto. Ma non serve solo a questo: si tratta di un elemento che favorisce la conservazione, grazie a un’azione antibatterica, ha capacità coagulanti e di stabilizzazione della schiuma. Insomma, se viene definito come l’oro verde della birra, un motivo c’è.