Dai wine bar di Parigi ai ristoranti italiani, il vino rischia sempre più spesso di essere vittima di inganni nascosti nel bicchiere. L’inchiesta francese svela una pratica diffusa: servire etichette di pregio che in realtà nascondono vini comuni, spesso travasati con il metodo del rinvaso. Una tecnica che può essere lecita, ma che in molti casi è stata usata per frodare il cliente.
Il vino, simbolo di convivialità e cultura, è spesso al centro di scandali legati a frodi e inganni nei ristoranti. Recentemente, un'inchiesta de Le Parisien ha svelato pratiche scorrette in alcuni wine bar parigini, dove ai clienti venivano serviti vini di qualità inferiore rispetto a quelli ordinati. Ma simili episodi non sono estranei nemmeno all'Italia, dove la storia enologica è stata segnata da vari casi di adulterazione e sofisticazione.
Secondo quanto riportato da Le Parisien, diversi wine bar di Parigi truffavano i clienti servendo vini diversi da quelli ordinati, spesso di qualità inferiore. Camerieri e sommelier hanno confessato di aver ricevuto istruzioni dai proprietari per sostituire vini pregiati con alternative più economiche, al fine di massimizzare i profitti. Ad esempio, veniva servito Chianti al posto di Bardolino o Beaujolais spacciato per Côtes-du-Rhône. In alcuni casi, il vino avanzato veniva mescolato e servito come se fosse un'etichetta di pregio.
L'inchiesta ha rivelato che la pratica era particolarmente diffusa nelle zone turistiche della capitale francese. Un cameriere ha dichiarato: "A parte i clienti abituali, tutti gli altri clienti venivano regolarmente truffati". I giornalisti di Le Parisien hanno condotto test in incognito, ordinando vini pregiati e ricevendo al loro posto vini di qualità inferiore, come un Chablis che aveva le caratteristiche di un Sauvignon Blanc .
Nel cuore dell'inchiesta condotta da Le Parisien sui wine bar parigini, una delle pratiche emerse come centrale è quella del rinvaso, un termine tecnico che, seppur apparentemente innocuo, nasconde una delle forme più insidiose di frode nel mondo della ristorazione. Il rinvaso consiste nel travasare il vino da una bottiglia all’altra, e nella ristorazione turistica – specie dove il servizio avviene “al calice” – può trasformarsi in un perfetto strumento d’inganno. Alcuni camerieri hanno raccontato come venissero istruiti a versare vini economici all’interno di bottiglie di etichette ben più blasonate, già aperte, per poi servirli come se fossero il prodotto originale ordinato dal cliente. In altre situazioni, si mescolavano i fondi avanzati da calici non finiti per ricreare “nuove” porzioni di vino, da rivendere come se fossero appena stappate da una bottiglia di marca.
Questa pratica, che avviene lontano dagli occhi dei clienti – magari dietro al bancone o direttamente in cucina – è tanto semplice da attuare quanto difficile da smascherare. Chi non ha un palato allenato difficilmente riesce a distinguere tra un Sancerre autentico e un Sauvignon generico. E il contesto fa il resto: nei bistrot parigini, affollati da turisti, l’apparenza conta spesso più della sostanza, e un’etichetta celebre servita con disinvoltura basta a ingannare anche il cliente più attento.
Ma non si tratta di un fenomeno confinato alla Ville Lumière. Anche in Italia, dove il vino è parte integrante del patrimonio culturale, si sono verificati casi eclatanti – e in certi casi ben più gravi – legati all’inganno nel bicchiere. Pensiamo solo allo scandalo del vino al metanolo del 1986, che non si limitò alla truffa commerciale ma si trasformò in tragedia: 23 persone morirono e più di 150 subirono gravi danni neurologici a causa dell’aggiunta di metanolo per aumentare la gradazione alcolica in modo economico. In quell’occasione, la frode era avvenuta nella fase produttiva, ma colpì profondamente l’intera filiera, rivelando la vulnerabilità del settore.
Più vicina ai meccanismi del rinvaso fu invece l’inchiesta denominata “Velenitaly” del 2008, che smascherò un vasto sistema di adulterazione chimica del vino, con sostanze come acido cloridrico e solforico aggiunte per mascherare difetti o per simulare l’invecchiamento. Anche in quel caso, il vino venduto non corrispondeva affatto al prodotto che le etichette promettevano, e la sofisticazione – così come il rinvaso – si basava sull’illusione e sulla fiducia tradita.
Un ulteriore parallelo si può tracciare con l’“Operazione Bacco”, che negli anni più recenti ha coinvolto alcuni noti vini toscani, contraffatti e venduti con etichette false, ma anche imbottigliati in ambienti non certificati, dove la tracciabilità era solo una finzione. Il comune denominatore di tutti questi casi – che si tratti di metanolo, acidi o rinvaso – è l’intenzione fraudolenta di lucrare sulla reputazione di un prodotto, sfruttando l’ignoranza o la buona fede del consumatore.
Il rinvaso, dunque, diventa una metafora perfetta per descrivere un’intera categoria di truffe sottili e difficili da cogliere, soprattutto nel mondo del vino, dove il confine tra raffinatezza e mistificazione è a volte davvero sottile. Ed è proprio in questa zona d’ombra che i furbi trovano terreno fertile, approfittando della complessità del vino per trasformarlo in una merce qualsiasi, alterata, camuffata, svuotata del suo valore autentico.
Esiste un uso lecito, tecnico e perfino necessario del rinvaso, che ha radici nella tradizione enologica e che trova spazio anche nella ristorazione seria. È importante distinguere tra l’uso professionale e trasparente del rinvaso e quello opaco o fraudolento che cerca di ingannare il consumatore. Ma quando il rinvaso è lecito e utile?
Nel ciclo produttivo del vino, il rinvaso (detto anche "travasi") è un’operazione fondamentale: serve a separare il vino dalle fecce, cioè dai depositi solidi che si accumulano sul fondo dei recipienti dopo la fermentazione; questo processo aiuta a chiarificare il vino, a evitare fermentazioni indesiderate e a preservarne la qualità.
In alcuni locali di alta ristorazione, enoteche o wine bar ben gestiti, si esegue il rinvaso per motivi di conservazione: quando si stappa una bottiglia costosa per il servizio al calice, il vino avanzato viene a volte trasferito in bottiglie più piccole o in contenitori sottovuoto (come la caraffa sotto azoto) per limitarne l’ossidazione. In questi casi il ristoratore può spiegare al cliente il procedimento, specificando la data di apertura o mostrando il sistema di conservazione. Infine ci sono motivi pratici di sicurezza o logistica per procedere a un rinvaso: se una bottiglia presenta un difetto fisico (tappo danneggiato, vetro scheggiato), il rinvaso consente di salvare il contenuto senza comprometterne la qualità.