
Si racconta — e come spesso accade a Palermo, le storie vere si intrecciano con la leggenda — che alla fine dell’Ottocento un panettiere del centro storico decise di dedicare una nuova forma di pane a una principessa. La chiamò “Mafalda”, in onore di Mafalda di Savoia, una delle figure più amate della Casa Reale. Forse lo fece per attirare l’attenzione, forse per imprimere al suo forno un tocco di nobiltà.
Quel gesto semplice, un nome inciso nella memoria della farina e del lievito, diede vita a un simbolo che avrebbe superato i secoli e le mode: la mafalda palermitana, il pane che da allora non è mai mancato nei forni e nelle tavole della città.
Vera o no, questa storia racconta qualcosa di autentico: la volontà del popolo palermitano di nobilitare anche le cose più umili, di dare dignità e bellezza persino al pane quotidiano. In fondo, la mafalda nasce proprio così, come un atto di orgoglio e d’amore per l’arte bianca, un piccolo capolavoro di artigianato alimentare che unisce estetica, sapore e identità.
Le dominazioni siciliane in un panino
Dietro la crosta dorata della mafalda si nasconde un legame antico con la storia stessa della Sicilia. Questo pane, fatto con semola di grano duro rimacinata e coperto da una pioggia di semi di sesamo — o “giuggiulena”, come la chiamano i palermitani — porta con sé i segni delle dominazioni che hanno attraversato l’isola. Il sesamo, in particolare, è un retaggio della cultura araba, che nei secoli di presenza in Sicilia introdusse nuovi profumi, tecniche e ingredienti nella cucina locale. Così, quel rivestimento croccante e profumato non è solo decorativo: è una traccia viva della Sicilia multietnica, della sua storia fatta di contaminazioni e mescolanze.

La mafalda, con la sua forma sinuosa “a serpentina” o “a doppia S”, nasce come pane di casa e di quartiere. Nei forni di Palermo, dove il calore del legno e il profumo di semola si mescolano al chiacchiericcio dei vicini, si modellano da generazioni queste pagnotte che sembrano piccole opere d’arte. il panettiere intreccia l’impasto con gesti tramandati, quasi rituali, per ottenere quella forma che — una volta cotta — racconta di tradizione, pazienza e mestiere.
L’anima fragrante del pane palermitano
La mafalda non si confonde con altri pani, dato che è riconoscibile al primo sguardo: dorata, profumata, croccante fuori e morbida dentro, con una mollica compatta ma mai pesante. Quando la si spezza, sprigiona un profumo che parla di grano e forno, di tempo e lavoro manuale.
L’impasto è semplice: semola, acqua, lievito, sale e, in alcune versioni, un tocco di miele o malto che aiuta a dorare la superficie. Ma la semplicità, in questo caso, è solo apparente. Dietro c’è una sapienza antica, fatta di dosi “a occhio” e di gesti appresi osservando gli anziani.
Ogni forno ha la sua “ricetta segreta”, piccole variazioni tramandate come formule magiche: c’è chi lascia riposare l’impasto più a lungo, chi preferisce una crosta più spessa, chi dosa il sesamo con generosità. E ogni quartiere giura che la sua mafalda sia la migliore di Palermo.

Mafalda, la regina dello street food
La mafalda non è solo un pane: è un personaggio del teatro culinario palermitano. Nel vocabolario della città, “pane” non è mai solo accompagnamento: è parte integrante dei piatti, un ingrediente vivo. E la mafalda lo dimostra in pieno.
Naturalmente, il modo più immediato di gustarla è quella di farcirla con panelle e cazzilli, nel classico street food palermitano ormai celebre in tutto il mondo. Tagliata a metà e farcita con la milza del pani câ mèusa, accoglie uno dei piatti più identitari della città: povero negli ingredienti, ma nobile nella storia. E nella versione “cunzata”, tipica delle tavole estive, la mafalda si veste di sapori mediterranei — olio d’oliva, pomodoro, acciughe, origano, formaggio — trasformandosi in un pasto completo. Spesso viene farcita anche con salumi come mortadella, prosciutto o salame locale.

La mafalda è il pane della domenica, della colazione salata, del “mangiamo qualcosa al volo”: è nobile di nome, ma profondamente popolare di spirito. E forse è proprio questo il segreto del suo successo: come la città che l’ha inventata, mescola eleganza e umiltà, tradizione e invenzione, passato e presente.
Dietro ogni mafalda c’è la mano di un fornaio, ma anche il sorriso di una città che non ha mai smesso di celebrare la bellezza delle piccole cose. Forse la principessa Mafalda non seppe mai di avere un pane dedicato a lei: ma a Palermo, quel nome è rimasto inciso nel forno della memoria, insieme all’odore della farina e al suono del mare.