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2 Aprile 2024 11:00

U mussu, pani ca meusa, frittula e non solo: il glossario del quinto quarto palermitano

Non solo arancini o sfincione: lo street food palermitano annovera tantissime specialità particolari. Quelle del quinto quarto sono fra le più golose: dal mussu e carcagnolo al quarumi, ecco una carrellata della specialità più tipiche, da assaggiare nei mercati e non solo.

A cura di Francesca Fiore
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Se c'è una città dove il cibo di strada è un elemento fortemente identitario, quella è sicuramente Palermo. Il cittadini del Capoluogo siciliano, infatti, sono da sempre abituati a vivere in strada, trascorrendo una buona parte della loro vita sociale fra le eleganti vie del centro e i mercati urbani, che s'insinuano nel ventre della città, colonizzando il dedalo di stradine che caratterizza le zone limitrofe alle vie principali. Non c'è differenza di status sociale, età o genere: tutti a Palermo passeggiano per i mercati, consumando prelibatezze dalle origini antichissime, proprio come le vie che diventano il loro punto vendita. Non a caso la gran parte dei mercati palermitani ha nomi noti a tutta Italia: la Vùcciria, letteralmente "confusione", storico mercato del quartiere Loggia; il mercato del Capo, il più antico della città situato nel quartiere omonimo; Ballarò, che sta all'Albergheria ed è il più grande per dimensioni; o, ancora, il mercato del Borgo Vecchio, quello dei Lattarini.

Quinto quarto: il "re" dello street food palermitano

Attraversare i mercati di Palermo è un'idea perfetta per gustare lo street food cittadino, composto da tante specialità particolari vendute dagli "abbanniatori" (urlatori): fra le tante delizie, note e amate anche da chi di Palermo non è, quelle a base di frattaglie sono fra le più particolari. Bando a sfincione e arancine, oggi vi raccontiamo delle prelibatezze del quinto quarto palermitano. E non parleremo solo dei più celebri, come la meusa, ma anche di quelli per veri "duri e puri" dello street food.

1. Stigghiole

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Partiamo da uno dei piatti dai sapori più intensi: le stigghiole, o i stigghioli. Si tratta delle budella dell'agnello o del capretto, che vengono arrotolate a spirale e poi cotte sulla brace. Una volta cotte, vengono vendute ancora caldissime, dopo averle condite con sale, pepe e limone: a farlo sono gli stigghiulari, che storicamente le prelevano dai macelli dando in cambio una mano nella fase di macellazione dell’animale: sono noti per la loro abilità nell'attrarre i clienti con richiami divertenti, brevi aneddoti e appellativi irriverenti.

2. Quarumi

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La parola quarumi – pronunciata anche caudumi, cuadumi, cuarumi – vuol dire letteralmente "pietanza calda" e trae origini della pentola in cui viene cucinata, la "cuadara" (anche "caudara" o  "cuarara"), ovvero un pentolone gigante sotto cui è acceso un fuoco quasi perenne. In pratica è un bollito di varie parti della trippa di vitello (omaso, abomaso, reticolo e rumine) e di altre parti callose e grasse vicine allo stomaco. Le interiora vengono fatte cuocere con cipolle, carote, sedano e pomodoro: una pietanza che continua a cuocere sobollendo lentamente e che viene distribuita in piatti fondi o nelle vaschette per essere portata a casa. I venditori di quarumi sono i quarumari: puoi trovare i loro banchetti non solo nei mercati, ma anche sparsi per le vie della città.

3. Frittula

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Se tutto il quinto quarto nasce dalle esigenze delle fasce più povere, nel corso del tempo, liberatici dalla morsa della fame, è diventato un metodo ottimo per riciclare scarti e avanzi: in questo elenco la frittula è una vera protagonista. Questa parola infatti dà il nome a un piatto praticamente indefinibile: sono frattaglie di vitello (scarti di macellazione, "grassetti", piccole cartilagini, ossa e così via) che vengono prima bollite e poi rosolate, solitamente nello strutto, secondo ricette molto diverse fra loro, che dipendono dalle preparazioni di famiglie e dalla disponibilità della materia prima. Anche in questo caso abbiamo un nome apposito per chi le prepara, ovvero il frittularu: questo fa “rinvenire” le frittole friggendola con lo strutto quindi le mette ancora caldissime, in un cesto di vimini, u panaru, coperto da uno canovaccio; le frittole vengono arricchite con degli aromi come pepe, alloro, limone e mai scoperte, perché devono restare appunto bollenti. Quando devono essere vendute, il frittolaro prende le frittole e le mette in un panino morbido.

4. Pani câ meusa

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Forse lo street food a base di interiora più famoso dell'elenco: u pani câ meusa (o mevusa). Il pane con la milza, traduzione del ben più affascinante appellativo dialettale, è una di quelle specialità che convince anche i più scettici in fatto di interiora. Si tratta di un panino morbido tipico, con i semi di sesamo sopra – solitamente tondo, la vastedda o, allungato e intrecciato, la mafaldina o mezza mafalda – che viene riempito con pezzetti di milza, polmone, cuore e, talvolta, trachea di vitello bolliti, tagliati a fettine sottili e soffritti a lungo nello strutto. Il panino può essere schettu, ovvero single, ovvero condito al massimo con sale, pepe e limone, oppure maritatu, cioè sposato, che vuol dire arricchito con caciocavallo grattugiato o ricotta.

5. Mussu e carcagnolu

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Molto simile al per e muss napoletano, il piatto chiamato mussu, o anche mussu e carcagnolu, cioè muso o muso e calcagno: in realtà non è fatto "solo" dal muso e dal calcagno del vitello, ma anche da parti come piedi, ginocchia, mascelle, mammelle (più genericamente tutte le parti muscolose formate da tessuti connettivi). Le interiora vengono bollite per una o due ore con abbondante acqua, cipolla, carota, sedano, alloro e sale. Una volta cotte, si fanno raffreddare e si tagliano a pezzetti, da condire con olio, limone, sale e pepe: a volte mussu e carcagnolu viene arricchito con altri ingredienti come olive, capperi, pomodori, sedano e carote.

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Quello che i piatti non dicono
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