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4 Febbraio 2022 15:00

Tutto sui vini dolci: dal Moscato al Porto, passando per gli Icewine, Satunernes e Tokaji

I vini dolci sono fra i prodotti più antichi in ambito vitivinicolo: ecco quali sono le principali tipologie europee, come si producono e come abbinarli al meglio.

A cura di Francesca Ciancio
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Il vino dolce vive da un po’ un periodo di indifferenza da parte dei consumatori. Sarà perché si apprezzano di più gusti come l’amaro o quello dell'umami, ma la dolcezza, che abbiamo sempre amato fin da bambini, nell’età adulta prende le pieghe di un rapporto complicato. Ragioni di carattere salutistico, ma soprattutto abbinamenti quasi sempre pensati per analogia, fanno della dolcezza nel vino un carattere non sempre valorizzato al meglio. Eppure è proprio questo racconto dolce a rappresentare buona parte della storia enoica d’Europa.

C’è da fare i conti inoltre con il cambiamento climatico che impatta negativamente sulla delicata pratica dell’appassimento, molto diffusa tra i vini dolci. Si prova da tempo la strada di una modernizzazione affiancando a questi vini il mondo della mixologist ad esempio, così come pare non dispiaccia la dolcezza del vino tra coloro abituati a un alto consumo di bevande zuccherate, vedi gli americani con la Coca Cola o la Pepsi. Insomma, riportarli in tavola non è una sfida semplice, ma forse basterebbe cambiare l’ordine del servizio: perché destinarli sempre  e solo a fine pasto?

Non tutti i vini famosi sono nati secchi

A sostegno di quanto detto fin qui ecco alcuni dati storici che possono risultare curiosi, ma assolutamente reali: la prima regione vinicola ufficialmente demarcata è stata una regione dell‘Ungheria orientale specializzata in vini bianchi dolci chiamati Tokaji. Parliamo del 1737. Inoltre alcune delle più importanti regioni del vino rosso di oggi furono note, in passato, per la produzione di vino dolce. Ad esempio, negli anni '60 dell'Ottocento il Barolo era molto più dolce di quanto non lo sia oggi e lo stesso Champagne nacque abboccato.

Le cose cambiano con la scoperta dei lieviti da parte di Pasteur, quando si comprende che questi sono in grado di trasformare gli zuccheri in alcol. Fino a quel momento,  i vini secchi non erano neanche considerate bevande di gran pregio e va detto, infine, che lo zucchero svolgeva un ruolo nella conservazione, fondamentale in un’epoca in cui i vini viaggiavano per mare. Vediamo dunque insieme un po’ di tipologie italiane e straniere e, come ciascuno di queste può accompagnare una ricetta in maniera apparentemente inusuale, ma vincente.

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La storia arcaica dei vini passiti

Con i vini passiti andiamo davvero tanto indietro nel tempo. Si parla qui di una tecnica diffusa soprattutto nei paesi del Mediterraneo: le uve vengono distese al sole su canne e graticci (oggi anche in plateau e cassette) fino all’appassimento totale e poi vinificate. Se parliamo invece di vendemmie tardive, più comuni in posti più freddi, l’appassimento è sulla pianta e le uve possono essere anche botritizzate, cioè colpite da muffa nobile (Botrytis cynerea), rese sovramature e disidratate dall’attività respiratoria del fungo. Questa mutazione naturale degli acini conferisce al vino una peculiarità gusto-olfattiva davvero unica e facilmente individuabile.

In Italia se ne producono moltissimi, a cominciare dal Passito Doc di Pantelleria, fatto con Moscato di Alessandria o Zibibbo; il Torcolato, vino dolce veneto, originario della zona vicentina di Breganze con uva Vespaiola (il nome deriva probabilmente dal fatto che le vespe lo adorano perché dolce e qui uve sono parzialmente botrizzate); il vino Santo Trentino Doc,  una piccola chicca prodotta da una decine di aziende e che al contrario di quello più noto toscano non ha processi ossidativi. È  prodotto con la Nosiola, un’uva tipica della Valle dei Laghi che viene appassita su appositi graticci, chiamate arèle. Inoltre vanta il riconoscimento di Presidio Slow Food; il Moscato di Scanzo Docg,  una piccolissima denominazione bergamasca prodotta con uva a bacca rossa – una rarità nella famiglia dei Moscato – con appassimento nei fruttai.

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Di cosa sanno i passiti e come abbinarli al cibo

Fatto salvo che le generalizzazioni non rendono mai giustizia alle peculiarità di ciascuna etichetta, il mondo dei passiti si distingue per i suoi colori ambrati e di caramello quando si parte dall’uva bianca; si va sui toni del rubino carico e un po’ sull’aranciato nel caso dei passiti a bacca rossa. Il residuo zuccherino c’è e deve sentirsi – sennò che vini dolci sarebbero – ma la grande conquista per la tipologia fatta a partire dalla fine degli anni ’90 del secolo scorso è stata l’acidità: i produttori hanno lavorato affinché questi vini non risultassero solo stucchevoli. Questa maggiore bevibilità e freschezza ha reso possibile anche abbinamenti con il salato. Dei formaggi stagionati ed erborinati si sa già da tempo che, in coppia con i passiti, regalano più di una soddisfazione, ma perché non provare questi vini anche con i crostacei o con le ostriche? È  la salinità elegante del cibo qui che viene valorizzata dalla dolcezza del vino, creando per contrasto un sapore esotico.

Un unicum tutto italiano, il Moscato d’Asti Docg

Un vino che esiste solo in Italia, pur avendo un successo incredibile in tutto il mondo: ebbene sì, perché le vigne di Moscato Bianco sono solo in Piemonte e in particolare nell’areale cuneese dedicato a quest’uva. Dolce, ma non stucchevole, ha un aroma inimitabile, un sapore delicato e intenso, che ricorda il glicine e il tiglio, la pesca e l’albicocca con sentori di salvia, limone e fiori d’arancio. Un vero vino della tradizione che, nel tempo, ha raggiunto livelli qualitativi straordinari anche grazie alla diffusione della moderna tecnologia. In particolare quella legata alla catena del freddo, che ha consentito di mantenere nel vino gli aromi e i sapori dei grappoli. A livello produttivo, si differenzia dall’Asti docg soprattutto per la fermentazione, arrestata al raggiungimento della gradazione alcolica di circa 5% volume. Inoltre, pur non essendo uno spumante, mantiene una vivacità che lo rende inconfondibile. La pasticceria delicata – biscotti e torte alla crema – è la combinazione tradizionale per questo vino, meno adatto il cioccolato che finisce per sovrastarlo. Anche qui i formaggi possono rappresentare un abbinamento divertente, a patto che non siano troppo stagionati. Un pairing inusuale ma ben riuscito può essere con alici e burro, per quel gioco di contrasto tra sapidità e dolcezza che stuzzica il palato.

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Tokaji Aszú, il vino dolce dell’Ungheria

Questo vino bianco è prodotto con una rara uva bianca chiamata Furmint. Le uve vengono raccolte dopo essere state intaccate da un particolare tipo di marciume (Botrytis cinerea alias “marciume nobile”). Anche se questa cosa può suonare alquanto strana, il risultato è un vino bianco dorato e molto dolce con sottili aromi di zafferano e zenzero. Il Tokaj è la più antica regione vitivinicola ungherese, prende il nome dall’omonima città ubicata nel nord est del Paese e si sviluppa tra i fiumi Bodrog e Tibisco e la puszta, famosa pianura ungherese. Il vino è prodotto ponendo acini appassiti in appositi contenitori detti puttonyos (23/25 chili) che una volta ridotti in poltiglia (pasta di Aszù) vengono aggiunti al mosto ottenuto da grappoli non botritizzati nelle botti da 136 litri (gònc); il numero di puttonyos aggiunti determina la classificazione (da tre a otto): maggiore è la presenza di puttonyos, più dolce ed alcolico è il Tokaj Aszù. Perfetto con foie gras, formaggi erborinati e dolci da forno.

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L’eleganza tutta francese del Sauternes

A Bordeaux, c'è una zona lungo il fiume Garonna che diventa molto umida e coperta di nebbia, condizioni ideali per lo sviluppo del marciume benefico Botrytis cinerea. Qui le uve Sémillon, Sauvignon Blanc e Muscadelle si fondono insieme per dare vita a questo vino che sa di mela cotogna, marmellata, miele, zenzero e spezie. Conosciuto anche come vino muffato, il Sauternes segue la classificazione ufficiale dei vini di Bordeaux del 1855. Da il meglio di sé bevuto non giovane e ha un sapore dolce, opulento e imperioso, vellutato e quasi oleoso. L’abbinamento giusto è con prodotti altrettanto goduriosi: gamberi in salsa, aragoste, formaggi erborinati, foie gras.

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Icewine, il vino che viene dal ghiaccio

Sembra un paradosso a pensarci, vendemmie fatte nel gelo per dare vita a un vino dolcissimo. Ecco il Vino ghiacciato, in tedesco, “eiswein”,  che si fa con uva lasciata sulla vite durante l'inverno fino a quando questa non congela. A questo punto viene pigiata in modo che fuoriesca solo lo zucchero: questo liquido sciropposo viene poi fatto fermentare in vino. I migliori vini ghiacciati sono in genere prodotti con uve Riesling e Grüner Veltliner e provengono da luoghi in cui fa piuttosto freddo. Il principale produttore mondiale di icewine è infatti il Canada, seguito da Germania e Austria. Colpisce per l’intensa varietà di aromi e sapori che vanno da un mix di frutta tropicale, noci e spezie, fino ai profumi floreali. Potrebbe essere sorseggiato a fine pasto, al posto della portata del dolce.

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In Portogallo con il Porto 

La valle del Douro in Portogallo è stata la seconda regione vinicola ufficiale del mondo (ufficializzata nel 1757) ed è la patria del vino di Porto. La maggior parte delle bottiglie che troviamo in commercio sono delle Ruby Port, un’etichetta di qualità base, ma alcune annate sono così buone da essere riconosciute come  “vintage" e in questo caso si può arrivare anche a vini che hanno cento anni e oltre. È prodotto a partire da uve di Tinta Barroca, Tinta Cão, Tempranillo, Touriga Francesa e Touriga Nacional. Vero fenomeno negli abbinamenti, spazia dalla mousse al cioccolato alla crostata di frutta, dai cantucci, al tiramisù. Passando al salato invece i formaggi consigliati sono il Castelmagno e il Cheddar.

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